Questo il commento del Presidente nazionale dell’Anpi, Raimondo Ricci, all’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano svolto il 20 dicembre 2010 in occasione dell’incontro con le Alte Magistrature della Repubblica.
In questo intervento emerge la conferma dell’attenzione e della preoccupazione con cui il Presidente Napolitano sta seguendo l’evoluzione politica del nostro Paese, inserendo le sue riflessioni nel quadro delle problematiche relative all’Unione Europea.
Partecipando alla cerimonia delle Alte Magistrature, e salutando con profonda stima la scomparsa di Tommaso Padoa Schioppa, Napolitano ha colto l’occasione per porre agli italiani una riflessione densa di responsabilità per il presente e il futuro prossimo. Il Presidente della repubblica ha dunque scelto un profilo alto per esprimere, in modo del tutto condivisibile, quella esigenza di sinergia costruttiva fra le varie forze parlamentari che consenta, non solo di essere fedeli al nostro passato politico (la fondazione dell’Unione Europea attraverso il Trattato di Roma), ma anche di saper indirizzare gli sforzi e la dialettica politica verso una stabilità necessaria per la crescita economica, sociale e istituzionale. Napolitano si è così prodigato per promuovere l’avvertimento di non anteporre a queste esigenze di carattere economico, finalizzate alla salvaguardia del bene comune italiano ed europeo, le conflittualità del parlamento.
Il discorso del Presidente merita di essere pubblicato sul nostro sito anche per l’assoluto rigore espresso nei confronti dei principi contenuti nella Costituzione, ai quali la nostra Associazione si ispira nel ruolo che intende svolgere, oggi come in passato. Rigore costituzionale, quello di Napolitano, che si esprime anche, per l’occasione, nella tutela e nella valorizzazione della funzione della magistratura, così come nel senso di responsabilità per i problemi ambientali e sociali – dalle alluvioni venete ai rifiuti napoletani, alla riforma universitaria e al problema della precarietà che assilla i giovani e i lavoratori - che inquietano, in diverse zone d’Italia, questa fine dell’anno.
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mercoledì 29 dicembre 2010
DISCORSO DI NAPOLITANO ALL' INCONTRO CON LE ALTE MAGISTRATURE DELLA REPUBBLICA
Palazzo del Quirinale, 20/12/2010
Vengo dal rendere omaggio, che rinnovo qui a nome di voi tutti, alla memoria di una personalità di alto profilo europeo e internazionale come Tommaso Padoa Schioppa, repentinamente scomparso.
Nell'aprire questa cerimonia, desidero innanzitutto ringraziare vivamente il Presidente Schifani, che ha nel suo indirizzo di saluto evocato temi e formulato voti nei quali mi riconosco, e lo ha fatto rivolgendomi espressioni di caloroso apprezzamento per il ruolo che esercito in stretto rapporto con le altre istituzioni della Repubblica.
L'attenzione pubblica, in Italia e perfino fuori d'Italia, è stata largamente attratta dalle nostre recenti vicende politico-parlamentari, anche per i loro tratti piuttosto inconsueti. Ma sarebbe per me improprio e non avrebbe senso richiamarle oggi qui, se non per qualche riferimento obbligato nell'ambito di una riflessione che può e deve darsi un orizzonte più ampio.
Quali nodi sono per il nostro paese venuti al pettine nel corso di quest'anno e già si proiettano nell'anno che sta per iniziare? Non altro è il filo che cercherò di svolgere. Sono, a mio parere, i nodi del rapporto tra l'Italia e l'Europa in un mondo mai apparsoci così globalizzato e gravido di sfide, e i nodi del rapporto tra società, politica e istituzioni in una fase critica per la nostra economia, per il nostro sviluppo.
Parto dalla constatazione che è divenuto letteralmente impossibile disgiungere qualsiasi ragionamento sulle condizioni e sulle prospettive dell'Italia dalla considerazione del contesto e del possibile percorso dell'Europa, dell'Unione Europea. L'attenzione a tale contesto è stata, in effetti, discontinua e inadeguata anche nel corso del 2010, benché proprio nel corso di quest'anno abbiamo sentito stringersi attorno a noi il quadro dei condizionamenti, dei vincoli come degli stimoli al livello europeo.
Ha senza dubbio pesato, in modo particolare sul confronto politico, un serio deficit di analisi, di approfondimento, di assunzione impegnativa dei temi della realtà europea e dell'evoluzione in atto nell'Unione Europea.
La crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008 ha fin dall'inizio minacciato e ben presto provocato gravi ricadute sull'economia in Europa, ma è stato nella seconda metà del 2010 che ha specificamente e direttamente investito l'Euro e gli equilibri nell'Eurozona.
Non occorre rievocare le tensioni che hanno scosso la Grecia, una volta venuto alla luce il dissesto dei suoi conti pubblici, e poi l'Irlanda, in relazione al dissesto del suo sistema bancario, la cui spregiudicata gestione aveva come corresponsabili istituti creditizi di altri paesi europei. Quel che vale la pena di mettere in evidenza è che di fronte a queste tensioni e minacce di possibile estensione ad altri Stati membri dell'Unione, sono venute a nudo insufficienze strutturali della costruzione europea e ambiguità, debolezze, divisioni sul piano politico rispetto agli sviluppi da dare a quel processo.
Anche dopo la riunione del Consiglio Europeo di qualche giorno fa, rimangono aperte questioni relative all'impegno comune per affrontare e prevenire crisi finanziarie nei singoli Stati, per definire una governance efficace, per garantire a sostegno della moneta unica quell'indispensabile coordinamento delle politiche di bilancio ed economiche, per la stabilità e per la crescita, che è finora mancato.
Non si è ancora pienamente usciti, com'è invece necessario, da una situazione in cui è apparso a rischio, anche attraverso imprudenti esternazioni, il destino dell'Euro se non della stessa Unione, ed è apparso dubbio l'impegno a difendere e rafforzare entrambe quelle storiche, irrinunciabili conquiste.
Ebbene, l'Italia non può che essere - in coerenza con una scelta e una linea di condotta più che cinquantennali - in prima linea non solo nel sostenere le ragioni di fondo del processo di integrazione e del suo ulteriore sviluppo ma nel rivendicare la validità della scelta dell'Euro, ciò che essa ha significato, nell'interesse di tutti, per l'unità dell'Europa, per la sua stabilità e per la sua crescita, per il suo ruolo nel mondo.
Perciò l'Italia sostiene oggi proposte come quella prospettata da una nostra autorevole personalità europeista, e avanzata dal nostro ministro dell'Economia insieme col presidente dell'Eurogruppo Junker, per soluzioni non attendiste, d'incerta e insufficiente portata, ancora caso per caso, ma organiche e credibili, dinanzi alla crisi dell'Euro.
Voci significative si sono levate in questo senso - e non c'è bisogno di segnalare l'importanza di ciò - anche in Germania, denunciando il rischio che può comportare "una mancanza di coraggio politico".
Il mio auspicio, e il mio personale impegno, è per una rinnovata capacità dell'Italia di contribuire al rilancio della volontà politica comune a sostegno dello sviluppo dell'integrazione europea. Ciò comporta però - sia chiaro - la massima serietà da parte nostra nel misurarci in Europa con una condivisa "cultura della stabilità", nel fare quindi i conti con l'imperativo di ridurre il così grave peso del debito pubblico accumulato dallo Stato italiano, che ovviamente penalizza anche il nostro sviluppo.
Noi abbiamo ragione di mettere in evidenza - lo ha ribadito di recente anche il governatore della Banca d'Italia, con parole che faccio mie - come "l'Italia abbia punti di forza che altri paesi non hanno", disponendo di una "struttura finanziaria robusta", registrando "il più basso indebitamento delle famiglie nell'Unione" e contando su banche "uscite indenni dalla crisi" grazie alla "qualità dei loro assets" e alla prudenza dei loro comportamenti.
E' giusto adoperarsi, come il governo ha fatto, perché questi punti di forza vengano riconosciuti nelle sedi europee. Ed è giusto ricordare e sottolineare che, come rilevano studiosi d'indubbio rigore, stabilità finanziaria e crescita economica sono inscindibili, che la spesa pubblica per investimenti andrebbe valutata e trattata distintamente dalla spesa corrente, che la traiettoria del rientro dal debito pubblico per ciascun paese va definita - tenendo conto della situazione complessiva che esso presenta - in tempi e termini tali da evitare una controproducente contrazione delle possibilità di crescita.
Ma detto tutto ciò non si può illusoriamente girare attorno alla necessità di un impegno forte e continuativo, in Italia, per la riduzione del debito pubblico. Il che richiede nuovi approfondimenti circa le strade da prendere, molti ripensamenti, correzioni, sacrifici rispetto ad abitudini e aspettative radicate, e discussioni più oggettive, concrete ed aperte sulle priorità da osservare nella destinazione delle risorse finanziarie pubbliche disponibili. Possibile che su questa questione non si pensi a una sede di riflessione e ricerca bipartisan?
E con essa va congiuntamente affrontata la questione di fondo, che neppure può più essere elusa, delle cause della bassa crescita, da troppo tempo stentata, della nostra economia, e della sua scarsa produttività. E sappiamo come la rimozione di quelle cause implichi un insieme di riforme, di varia natura, di cui ancora si parla senza riuscire ad assicurarne il decollo.
E' a queste questioni da me ora sommariamente richiamate che mi riferivo di recente nel sollecitare come essenziale un nuovo "spirito di condivisione", che conduca le forze politiche e le forze sociali a individuare, fuori di ogni schema e contrapposizione pregiudiziale, i temi, le esigenze, le sfide ineludibili per qualsiasi soggetto rappresentativo responsabile.
Si confrontino liberamente, s'intende, le diverse proposte configurabili per le riforme da adottare, per le politiche pubbliche di medio e lungo termine da perseguire, per i comportamenti collettivi da stimolare : ma nessuno si sottragga a questo esercizio di responsabilità.
L'Italia può e deve farcela nell'attuale, per quanto difficile fase storica : ne abbiamo le potenzialità, le risorse umane, le energie culturali, tecniche, imprenditoriali. E possiamo nuovamente esprimere lo stesso formidabile scatto di volontà, impegno costruttivo, slancio innovativo che ci portò a celebrare, nel 1961, centenario dell'Unità d'Italia, i risultati superiori a ogni previsione conseguiti uscendo dalla dittatura e da una guerra distruggitrice. Ma la condizione per farcela ora è guardare in modo impietoso alle debolezze da superare, alle sfide da non perdere. La condizione è prendere piena consapevolezza, noi tutti, dei rischi che corriamo e della durezza delle prove che ci attendono non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni.
Lasciatemi dire che da questa comune consapevolezza siamo oggi lontani. Ne sono lontani i fatti e le amare cronache della politica, i contenuti e i toni di una continua contesa che tanto incide negativamente sulla vita delle istituzioni repubblicane, soprattutto al livello nazionale, impedendo loro più fecondi confronti, precludendo loro più soddisfacenti risultati.
Decisivo è dunque, in Italia, un salto di qualità della politica. Decisivo per la stabilità e continuità della vita istituzionale, e per la tenuta del sistema Italia in un contesto europeo percorso da così forti scosse e tensioni. Ho naturalmente sempre presenti le distinzioni essenziali. La sorte di ogni governo è decisa dal Parlamento, che accorda e revoca la fiducia. La durata delle legislature parlamentari è fissata in Costituzione, in termini temporali analoghi a quelli fissati negli altri paesi democratici : termini non fissati casualmente, ma corrispondenti al tempo necessario per l'attuazione di un programma politico di adeguato respiro.
A esigenze di governabilità e di stabilità dell'Esecutivo ha mirato la riforma elettorale del 1993, cui non sono peraltro seguite coerenti riforme istituzionali. Ma l'esperienza compiuta ci dice che anche in Parlamenti eletti con leggi maggioritarie, è pur sempre la politica - è l'evolversi dei rapporti e dei conflitti politici, ed è la capacità di padroneggiarli - che determina la stabilità della coalizione di governo premiata dagli elettori.
Resta invece, nel nostro ordinamento, prerogativa del Capo dello Stato - poco importa che la si possa beceramente sminuire a parole - sancire l'impossibilità di completare una legislatura parlamentare e quindi sciogliere le Camere. Quella degli scioglimenti anticipati è stata un'improvvida prassi tutta italiana, da cui speravamo di esserci liberati e al cui ripetersi sono tenuto a resistere nell'interesse generale. Specie in periodi così gravidi di incognite. Non a caso io ritenni, a metà agosto - mentre, a seguito di una clamorosa rottura politica nel maggior partito di governo, già precipitosamente si evocavano elezioni anticipate - di dover chiamare tutte le forze politiche a riflettere sulle conseguenze per il paese dell'andare "verso un vuoto politico e verso un durissimo scontro elettorale".
La conquista, a partire dal 1994, di un'effettiva democrazia dell'alternanza, non deve essere messa in forse. Si guardi tuttavia a come in Europa paesi con sistemi politici da lungo tempo fondati su schemi bipolari o bipartitici consolidatisi nei decenni stiano conoscendo mutamenti di scenario e sperimentando le soluzioni che risultano possibili e opportune. E si torni a riflettere su esigenze di rinnovamento costituzionale, che sembrava non fosse difficile soddisfare in questa legislatura almeno con misure di riforma già apparentemente condivise.
Continuerò dal canto mio a sollecitare la continuità della vita istituzionale e dunque di una legislatura al cui termine mancano più di due anni : sempre che, beninteso, vi sia la prospettiva di un'efficace azione di governo e di un produttivo svolgimento dell'attività delle Camere. Opererò in ogni circostanza, secondo regole e prassi costituzionali cui intendo doverosamente attenermi, nei limiti del mio ruolo e delle obbiettive possibilità, tenendo ben conto della volontà espressa dal corpo elettorale nel 2008.
Opererò soprattutto perché ora e nel futuro - indipendentemente dalla definizione delle soluzioni di governo - si realizzi quello "spirito di condivisione" di cui ho detto chiarendo il senso di quell'espressione, il valore di quell'istanza. E' qui il "salto di qualità della politica" che in larga misura il paese si attende. Che esso si attende perché è in giuoco la moralità e dignità della politica. Che esso si attende perché c'è stanchezza verso la chiusura in sé stesso del mondo politico, verso la quotidiana gara delle opposte faziosità, verso il muro dell'incomunicabilità tra maggioranza e opposizione. C'è da colmare un distacco ormai allarmante tra la politica, le istituzioni e le forze sociali e culturali, in un paese che pure continua a dare tante prove di senso di responsabilità, di dinamismo, di coesione e di solidarietà.
Tante prove. Penso all'impegno delle imprese - in gran numero piccole e medie - che si lanciano ad esplorare lontani mercati in impetuoso sviluppo e a competere con successo. Penso al senso di responsabilità con cui tanti lavoratori stanno affrontando le dure prove della perdita dell'occupazione o della riduzione del salario in cassa integrazione. Penso allo sforzo delle rappresentanze sociali per concertare proposte sui principali temi economico-sociali : sforzo che mi auguro prosegua e trovi concrete risposte. Penso ai peculiari, qualificanti apporti dell'associazionismo, della cooperazione, del volontariato. Ma penso anche ai risultati della tenace quotidiana azione di quanti operano con scrupolo al servizio di fondamentali strutture dello Stato.
E a questo proposito mi limito a citare i preziosi esempi di dedizione delle nostre Forze Armate, e in prima linea dei militari che nelle missioni all'estero fanno in tutti i sensi onore all'Italia. E cito egualmente i rilevanti risultati conseguiti, con grande tenacia, perizia e passione dalla magistratura e dalle forze di polizia contro la criminalità organizzata, secondo misure e linee d'intervento che hanno ottenuto in Parlamento consensi ben oltre i confini della maggioranza di governo.
Si tratta di un insieme di realtà vive e di attive presenze, che hanno bisogno del riferimento e del sostegno del quadro politico-istituzionale nel suo insieme. Si possono da ciò ricavare sostanziali motivi di fiducia nelle forze e risorse del paese e insieme forti stimoli critici.
Tutte le considerazioni che sono venuto svolgendo si collegano a quel senso dell'unità nazionale che è per noi tutti naturale condividere e che uscirà - ne sono convinto - arricchito e rilanciato dalle celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Le celebrazioni - cui ha voluto significativamente concorrere la Chiesa italiana attraverso il suo "Progetto culturale" - hanno nel corso di quest'anno guadagnato via via in profondità e diffusione. Lo si deve soprattutto all'impegno delle istituzioni culturali, a cominciare dalle maggiori, della scuola, delle forze intellettuali e anche dell'editoria e dei mezzi di informazione. Lo si deve al moltiplicarsi di iniziative locali, promosse o sostenute dalle istituzioni rappresentative.
Insufficiente è rimasto l'impegno politico nazionale, che avrà modo di dispiegarsi attorno alle date emblematiche del prossimo anno e di correlarsi anche all'interesse che per il nostro anniversario si manifesta fuori d'Italia, in numerosi paesi amici memori della nostra storia.
Potremo in conclusione meglio misurare l'attaccamento a quel che storicamente ci unisce come Nazione e che fa del nostro Stato unitario un presidio irrinunciabile nell'era globale in cui siamo chiamati a misurarci.
E' un attaccamento più profondo di quanto talvolta sommariamente ci dicono gli schemi correnti : mi ha colpito, recandomi poco più di un mese fa nei Comuni veneti duramente colpiti dalle alluvioni, e incontrando diecine di Sindaci, sentire come da italiani lì si facesse appello all'Italia, anche denunciando incomprensioni ed esprimendo posizioni critiche, e lo si facesse nel momento stesso in cui ci si metteva comunque esemplarmente all'opera per superare l'emergenza.
Questo accade anche perché lo Stato nazionale è cambiato e sta cambiando, superando ogni residuo marchio storico di centralizzazione, evolvendo in senso ulteriormente autonomistico e federalistico, secondo un percorso finora ampiamente condiviso.
La più seria e preoccupante incompiutezza - non mi stanco di ripeterlo - del nostro processo unitario resta invece il divario tra Nord e Sud : un divario che si deve evitare assuma gli aspetti di una frattura e che quindi esige un approccio nuovo e risoluto come quello richiesto da altre debolezze strutturali destinate a diventare - ne ho parlato in precedenza - rischi fatali per il nostro paese, da disinnescare nei prossimi anni.
E infine : l'impegno per il centocinquantenario, il discorso sulla nostra storia, sulle radici e le ragioni della nostra unità, deve raggiungere i giovani e incrociare, dandovi valide risposte ideali, il loro crescente malessere. Guai a sottovalutarlo : è malessere concreto, per la disoccupazione e per la precarietà e scarsa qualità dell'occupazione, per l'inadeguata formazione, e più in generale per l'incertezza del futuro, per il vacillare delle speranze e degli slanci che dovrebbero accompagnare l'ingresso nell'età adulta.
Così dobbiamo leggere anche le recenti contestazioni, non riferibili solo a un singolo provvedimento di legge. C'è, al fondo, anche la reazione a una tendenza a trascurare, prestandovi scarsa attenzione e mezzi palesemente insufficienti, la risorsa cultura, in tutte le sue espressioni, a cominciare dalla ricerca e dall'alta formazione.
E' dunque necessario e urgente cercare, e aprire, nuovi canali di comunicazione e di scambio con le nuove generazioni. Invitando al tempo stesso i giovani che esercitano il diritto di riunirsi, manifestare, protestare, a stare in guardia, a tenere fermamente le distanze da gruppi portatori di una intollerabile illegalità e violenza distruttiva, foriera di sconfitta per le forze giovanili e di drammatico danno per la democrazia.
Ho concluso. A voi che reggete la trama delle istituzioni repubblicane, un grazie per l'ascolto, e il mio quinto augurio dal Quirinale per Natale e per il nuovo anno. Ed è per tutti noi l'augurio che qualche seme della riflessione di oggi possa essere raccolto nei fatti.
Vengo dal rendere omaggio, che rinnovo qui a nome di voi tutti, alla memoria di una personalità di alto profilo europeo e internazionale come Tommaso Padoa Schioppa, repentinamente scomparso.
Nell'aprire questa cerimonia, desidero innanzitutto ringraziare vivamente il Presidente Schifani, che ha nel suo indirizzo di saluto evocato temi e formulato voti nei quali mi riconosco, e lo ha fatto rivolgendomi espressioni di caloroso apprezzamento per il ruolo che esercito in stretto rapporto con le altre istituzioni della Repubblica.
L'attenzione pubblica, in Italia e perfino fuori d'Italia, è stata largamente attratta dalle nostre recenti vicende politico-parlamentari, anche per i loro tratti piuttosto inconsueti. Ma sarebbe per me improprio e non avrebbe senso richiamarle oggi qui, se non per qualche riferimento obbligato nell'ambito di una riflessione che può e deve darsi un orizzonte più ampio.
Quali nodi sono per il nostro paese venuti al pettine nel corso di quest'anno e già si proiettano nell'anno che sta per iniziare? Non altro è il filo che cercherò di svolgere. Sono, a mio parere, i nodi del rapporto tra l'Italia e l'Europa in un mondo mai apparsoci così globalizzato e gravido di sfide, e i nodi del rapporto tra società, politica e istituzioni in una fase critica per la nostra economia, per il nostro sviluppo.
Parto dalla constatazione che è divenuto letteralmente impossibile disgiungere qualsiasi ragionamento sulle condizioni e sulle prospettive dell'Italia dalla considerazione del contesto e del possibile percorso dell'Europa, dell'Unione Europea. L'attenzione a tale contesto è stata, in effetti, discontinua e inadeguata anche nel corso del 2010, benché proprio nel corso di quest'anno abbiamo sentito stringersi attorno a noi il quadro dei condizionamenti, dei vincoli come degli stimoli al livello europeo.
Ha senza dubbio pesato, in modo particolare sul confronto politico, un serio deficit di analisi, di approfondimento, di assunzione impegnativa dei temi della realtà europea e dell'evoluzione in atto nell'Unione Europea.
La crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008 ha fin dall'inizio minacciato e ben presto provocato gravi ricadute sull'economia in Europa, ma è stato nella seconda metà del 2010 che ha specificamente e direttamente investito l'Euro e gli equilibri nell'Eurozona.
Non occorre rievocare le tensioni che hanno scosso la Grecia, una volta venuto alla luce il dissesto dei suoi conti pubblici, e poi l'Irlanda, in relazione al dissesto del suo sistema bancario, la cui spregiudicata gestione aveva come corresponsabili istituti creditizi di altri paesi europei. Quel che vale la pena di mettere in evidenza è che di fronte a queste tensioni e minacce di possibile estensione ad altri Stati membri dell'Unione, sono venute a nudo insufficienze strutturali della costruzione europea e ambiguità, debolezze, divisioni sul piano politico rispetto agli sviluppi da dare a quel processo.
Anche dopo la riunione del Consiglio Europeo di qualche giorno fa, rimangono aperte questioni relative all'impegno comune per affrontare e prevenire crisi finanziarie nei singoli Stati, per definire una governance efficace, per garantire a sostegno della moneta unica quell'indispensabile coordinamento delle politiche di bilancio ed economiche, per la stabilità e per la crescita, che è finora mancato.
Non si è ancora pienamente usciti, com'è invece necessario, da una situazione in cui è apparso a rischio, anche attraverso imprudenti esternazioni, il destino dell'Euro se non della stessa Unione, ed è apparso dubbio l'impegno a difendere e rafforzare entrambe quelle storiche, irrinunciabili conquiste.
Ebbene, l'Italia non può che essere - in coerenza con una scelta e una linea di condotta più che cinquantennali - in prima linea non solo nel sostenere le ragioni di fondo del processo di integrazione e del suo ulteriore sviluppo ma nel rivendicare la validità della scelta dell'Euro, ciò che essa ha significato, nell'interesse di tutti, per l'unità dell'Europa, per la sua stabilità e per la sua crescita, per il suo ruolo nel mondo.
Perciò l'Italia sostiene oggi proposte come quella prospettata da una nostra autorevole personalità europeista, e avanzata dal nostro ministro dell'Economia insieme col presidente dell'Eurogruppo Junker, per soluzioni non attendiste, d'incerta e insufficiente portata, ancora caso per caso, ma organiche e credibili, dinanzi alla crisi dell'Euro.
Voci significative si sono levate in questo senso - e non c'è bisogno di segnalare l'importanza di ciò - anche in Germania, denunciando il rischio che può comportare "una mancanza di coraggio politico".
Il mio auspicio, e il mio personale impegno, è per una rinnovata capacità dell'Italia di contribuire al rilancio della volontà politica comune a sostegno dello sviluppo dell'integrazione europea. Ciò comporta però - sia chiaro - la massima serietà da parte nostra nel misurarci in Europa con una condivisa "cultura della stabilità", nel fare quindi i conti con l'imperativo di ridurre il così grave peso del debito pubblico accumulato dallo Stato italiano, che ovviamente penalizza anche il nostro sviluppo.
Noi abbiamo ragione di mettere in evidenza - lo ha ribadito di recente anche il governatore della Banca d'Italia, con parole che faccio mie - come "l'Italia abbia punti di forza che altri paesi non hanno", disponendo di una "struttura finanziaria robusta", registrando "il più basso indebitamento delle famiglie nell'Unione" e contando su banche "uscite indenni dalla crisi" grazie alla "qualità dei loro assets" e alla prudenza dei loro comportamenti.
E' giusto adoperarsi, come il governo ha fatto, perché questi punti di forza vengano riconosciuti nelle sedi europee. Ed è giusto ricordare e sottolineare che, come rilevano studiosi d'indubbio rigore, stabilità finanziaria e crescita economica sono inscindibili, che la spesa pubblica per investimenti andrebbe valutata e trattata distintamente dalla spesa corrente, che la traiettoria del rientro dal debito pubblico per ciascun paese va definita - tenendo conto della situazione complessiva che esso presenta - in tempi e termini tali da evitare una controproducente contrazione delle possibilità di crescita.
Ma detto tutto ciò non si può illusoriamente girare attorno alla necessità di un impegno forte e continuativo, in Italia, per la riduzione del debito pubblico. Il che richiede nuovi approfondimenti circa le strade da prendere, molti ripensamenti, correzioni, sacrifici rispetto ad abitudini e aspettative radicate, e discussioni più oggettive, concrete ed aperte sulle priorità da osservare nella destinazione delle risorse finanziarie pubbliche disponibili. Possibile che su questa questione non si pensi a una sede di riflessione e ricerca bipartisan?
E con essa va congiuntamente affrontata la questione di fondo, che neppure può più essere elusa, delle cause della bassa crescita, da troppo tempo stentata, della nostra economia, e della sua scarsa produttività. E sappiamo come la rimozione di quelle cause implichi un insieme di riforme, di varia natura, di cui ancora si parla senza riuscire ad assicurarne il decollo.
E' a queste questioni da me ora sommariamente richiamate che mi riferivo di recente nel sollecitare come essenziale un nuovo "spirito di condivisione", che conduca le forze politiche e le forze sociali a individuare, fuori di ogni schema e contrapposizione pregiudiziale, i temi, le esigenze, le sfide ineludibili per qualsiasi soggetto rappresentativo responsabile.
Si confrontino liberamente, s'intende, le diverse proposte configurabili per le riforme da adottare, per le politiche pubbliche di medio e lungo termine da perseguire, per i comportamenti collettivi da stimolare : ma nessuno si sottragga a questo esercizio di responsabilità.
L'Italia può e deve farcela nell'attuale, per quanto difficile fase storica : ne abbiamo le potenzialità, le risorse umane, le energie culturali, tecniche, imprenditoriali. E possiamo nuovamente esprimere lo stesso formidabile scatto di volontà, impegno costruttivo, slancio innovativo che ci portò a celebrare, nel 1961, centenario dell'Unità d'Italia, i risultati superiori a ogni previsione conseguiti uscendo dalla dittatura e da una guerra distruggitrice. Ma la condizione per farcela ora è guardare in modo impietoso alle debolezze da superare, alle sfide da non perdere. La condizione è prendere piena consapevolezza, noi tutti, dei rischi che corriamo e della durezza delle prove che ci attendono non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni.
Lasciatemi dire che da questa comune consapevolezza siamo oggi lontani. Ne sono lontani i fatti e le amare cronache della politica, i contenuti e i toni di una continua contesa che tanto incide negativamente sulla vita delle istituzioni repubblicane, soprattutto al livello nazionale, impedendo loro più fecondi confronti, precludendo loro più soddisfacenti risultati.
Decisivo è dunque, in Italia, un salto di qualità della politica. Decisivo per la stabilità e continuità della vita istituzionale, e per la tenuta del sistema Italia in un contesto europeo percorso da così forti scosse e tensioni. Ho naturalmente sempre presenti le distinzioni essenziali. La sorte di ogni governo è decisa dal Parlamento, che accorda e revoca la fiducia. La durata delle legislature parlamentari è fissata in Costituzione, in termini temporali analoghi a quelli fissati negli altri paesi democratici : termini non fissati casualmente, ma corrispondenti al tempo necessario per l'attuazione di un programma politico di adeguato respiro.
A esigenze di governabilità e di stabilità dell'Esecutivo ha mirato la riforma elettorale del 1993, cui non sono peraltro seguite coerenti riforme istituzionali. Ma l'esperienza compiuta ci dice che anche in Parlamenti eletti con leggi maggioritarie, è pur sempre la politica - è l'evolversi dei rapporti e dei conflitti politici, ed è la capacità di padroneggiarli - che determina la stabilità della coalizione di governo premiata dagli elettori.
Resta invece, nel nostro ordinamento, prerogativa del Capo dello Stato - poco importa che la si possa beceramente sminuire a parole - sancire l'impossibilità di completare una legislatura parlamentare e quindi sciogliere le Camere. Quella degli scioglimenti anticipati è stata un'improvvida prassi tutta italiana, da cui speravamo di esserci liberati e al cui ripetersi sono tenuto a resistere nell'interesse generale. Specie in periodi così gravidi di incognite. Non a caso io ritenni, a metà agosto - mentre, a seguito di una clamorosa rottura politica nel maggior partito di governo, già precipitosamente si evocavano elezioni anticipate - di dover chiamare tutte le forze politiche a riflettere sulle conseguenze per il paese dell'andare "verso un vuoto politico e verso un durissimo scontro elettorale".
La conquista, a partire dal 1994, di un'effettiva democrazia dell'alternanza, non deve essere messa in forse. Si guardi tuttavia a come in Europa paesi con sistemi politici da lungo tempo fondati su schemi bipolari o bipartitici consolidatisi nei decenni stiano conoscendo mutamenti di scenario e sperimentando le soluzioni che risultano possibili e opportune. E si torni a riflettere su esigenze di rinnovamento costituzionale, che sembrava non fosse difficile soddisfare in questa legislatura almeno con misure di riforma già apparentemente condivise.
Continuerò dal canto mio a sollecitare la continuità della vita istituzionale e dunque di una legislatura al cui termine mancano più di due anni : sempre che, beninteso, vi sia la prospettiva di un'efficace azione di governo e di un produttivo svolgimento dell'attività delle Camere. Opererò in ogni circostanza, secondo regole e prassi costituzionali cui intendo doverosamente attenermi, nei limiti del mio ruolo e delle obbiettive possibilità, tenendo ben conto della volontà espressa dal corpo elettorale nel 2008.
Opererò soprattutto perché ora e nel futuro - indipendentemente dalla definizione delle soluzioni di governo - si realizzi quello "spirito di condivisione" di cui ho detto chiarendo il senso di quell'espressione, il valore di quell'istanza. E' qui il "salto di qualità della politica" che in larga misura il paese si attende. Che esso si attende perché è in giuoco la moralità e dignità della politica. Che esso si attende perché c'è stanchezza verso la chiusura in sé stesso del mondo politico, verso la quotidiana gara delle opposte faziosità, verso il muro dell'incomunicabilità tra maggioranza e opposizione. C'è da colmare un distacco ormai allarmante tra la politica, le istituzioni e le forze sociali e culturali, in un paese che pure continua a dare tante prove di senso di responsabilità, di dinamismo, di coesione e di solidarietà.
Tante prove. Penso all'impegno delle imprese - in gran numero piccole e medie - che si lanciano ad esplorare lontani mercati in impetuoso sviluppo e a competere con successo. Penso al senso di responsabilità con cui tanti lavoratori stanno affrontando le dure prove della perdita dell'occupazione o della riduzione del salario in cassa integrazione. Penso allo sforzo delle rappresentanze sociali per concertare proposte sui principali temi economico-sociali : sforzo che mi auguro prosegua e trovi concrete risposte. Penso ai peculiari, qualificanti apporti dell'associazionismo, della cooperazione, del volontariato. Ma penso anche ai risultati della tenace quotidiana azione di quanti operano con scrupolo al servizio di fondamentali strutture dello Stato.
E a questo proposito mi limito a citare i preziosi esempi di dedizione delle nostre Forze Armate, e in prima linea dei militari che nelle missioni all'estero fanno in tutti i sensi onore all'Italia. E cito egualmente i rilevanti risultati conseguiti, con grande tenacia, perizia e passione dalla magistratura e dalle forze di polizia contro la criminalità organizzata, secondo misure e linee d'intervento che hanno ottenuto in Parlamento consensi ben oltre i confini della maggioranza di governo.
Si tratta di un insieme di realtà vive e di attive presenze, che hanno bisogno del riferimento e del sostegno del quadro politico-istituzionale nel suo insieme. Si possono da ciò ricavare sostanziali motivi di fiducia nelle forze e risorse del paese e insieme forti stimoli critici.
Tutte le considerazioni che sono venuto svolgendo si collegano a quel senso dell'unità nazionale che è per noi tutti naturale condividere e che uscirà - ne sono convinto - arricchito e rilanciato dalle celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Le celebrazioni - cui ha voluto significativamente concorrere la Chiesa italiana attraverso il suo "Progetto culturale" - hanno nel corso di quest'anno guadagnato via via in profondità e diffusione. Lo si deve soprattutto all'impegno delle istituzioni culturali, a cominciare dalle maggiori, della scuola, delle forze intellettuali e anche dell'editoria e dei mezzi di informazione. Lo si deve al moltiplicarsi di iniziative locali, promosse o sostenute dalle istituzioni rappresentative.
Insufficiente è rimasto l'impegno politico nazionale, che avrà modo di dispiegarsi attorno alle date emblematiche del prossimo anno e di correlarsi anche all'interesse che per il nostro anniversario si manifesta fuori d'Italia, in numerosi paesi amici memori della nostra storia.
Potremo in conclusione meglio misurare l'attaccamento a quel che storicamente ci unisce come Nazione e che fa del nostro Stato unitario un presidio irrinunciabile nell'era globale in cui siamo chiamati a misurarci.
E' un attaccamento più profondo di quanto talvolta sommariamente ci dicono gli schemi correnti : mi ha colpito, recandomi poco più di un mese fa nei Comuni veneti duramente colpiti dalle alluvioni, e incontrando diecine di Sindaci, sentire come da italiani lì si facesse appello all'Italia, anche denunciando incomprensioni ed esprimendo posizioni critiche, e lo si facesse nel momento stesso in cui ci si metteva comunque esemplarmente all'opera per superare l'emergenza.
Questo accade anche perché lo Stato nazionale è cambiato e sta cambiando, superando ogni residuo marchio storico di centralizzazione, evolvendo in senso ulteriormente autonomistico e federalistico, secondo un percorso finora ampiamente condiviso.
La più seria e preoccupante incompiutezza - non mi stanco di ripeterlo - del nostro processo unitario resta invece il divario tra Nord e Sud : un divario che si deve evitare assuma gli aspetti di una frattura e che quindi esige un approccio nuovo e risoluto come quello richiesto da altre debolezze strutturali destinate a diventare - ne ho parlato in precedenza - rischi fatali per il nostro paese, da disinnescare nei prossimi anni.
E infine : l'impegno per il centocinquantenario, il discorso sulla nostra storia, sulle radici e le ragioni della nostra unità, deve raggiungere i giovani e incrociare, dandovi valide risposte ideali, il loro crescente malessere. Guai a sottovalutarlo : è malessere concreto, per la disoccupazione e per la precarietà e scarsa qualità dell'occupazione, per l'inadeguata formazione, e più in generale per l'incertezza del futuro, per il vacillare delle speranze e degli slanci che dovrebbero accompagnare l'ingresso nell'età adulta.
Così dobbiamo leggere anche le recenti contestazioni, non riferibili solo a un singolo provvedimento di legge. C'è, al fondo, anche la reazione a una tendenza a trascurare, prestandovi scarsa attenzione e mezzi palesemente insufficienti, la risorsa cultura, in tutte le sue espressioni, a cominciare dalla ricerca e dall'alta formazione.
E' dunque necessario e urgente cercare, e aprire, nuovi canali di comunicazione e di scambio con le nuove generazioni. Invitando al tempo stesso i giovani che esercitano il diritto di riunirsi, manifestare, protestare, a stare in guardia, a tenere fermamente le distanze da gruppi portatori di una intollerabile illegalità e violenza distruttiva, foriera di sconfitta per le forze giovanili e di drammatico danno per la democrazia.
Ho concluso. A voi che reggete la trama delle istituzioni repubblicane, un grazie per l'ascolto, e il mio quinto augurio dal Quirinale per Natale e per il nuovo anno. Ed è per tutti noi l'augurio che qualche seme della riflessione di oggi possa essere raccolto nei fatti.
martedì 28 dicembre 2010
DIALOGARE CON GLI STUDENTI
Questo il commento di Luciano Guerzoni, della Segreteria Nazionale ANPI, sul movimento degli studenti che contesta la riforma Gelmini.
Da quando ha preso corpo l’autoritarismo berlusconiano con le sue attitudini classiste e di manomissione della Costituzione e dell’ordine repubblicano, i partigiani e gli antifascisti – innanzitutto quelli che si raccolgono nell’ANPI – con tenacia paziente e risoluta, impegnano se stessi e tutte le forze sociali e politiche democratiche per ridare fiducia e speranza indispensabili a rendere sempre più ampio, unitario, possente e vincente il campo delle forze che si battono per il cambiamento.
Fiducia e speranza sono dunque nostri obiettivi: quelli stessi della “nuova stagione dell’ANPI” che oggi, con il movimento degli studenti contro la “riforma Gelmini”, emergono come frontiere possibili. E avranno il loro peso innanzitutto nell’azione volta a contrastare validamente l’attuazione di un progetto governativo dagli effetti nefasti per l’università pubblica, la ricerca e la cultura, rese così incapaci di essere, come potrebbero, volano di crescita economica, sociale e civile e, oltretutto, tali da essere forieri di un classismo ancora più brutale di quello attuale nell’accesso al sapere della nostra gioventù.
Gli studenti, con la loro lotta determinata ma gioiosa e pacifica, hanno spiazzato la violenza e i violenti poiché consapevoli che lì sta un nemico di cui il potere governativo si giova per isolarli dall’opinione pubblica, ma, non di meno, hanno spiazzato anche il governo: sordo alle loro richieste. Asserragliato nei “palazzi della zona rossa”. Cinico e anche violento con il suo ricorso alla criminalizzazione dei giovani, rivelatore di pulsioni repressive, reazionarie e fasciste.
Nell’incontro con il Presidente della Repubblica e nel dialogo con Susanna Camusso gli studenti hanno evidenziato una disponibilità al confronto con le istituzioni e le forze sociali e politiche. E’ una potenzialità preziosa che si iscrive pienamente nell’alveo della democrazia repubblicana conquistata con la Resistenza e sancita dalla Costituzione.
Cogliere questa disponibilità, farla in valore, è compito della politica, innanzitutto dei partiti e delle forze sociali dell’opposizione antifascista e democratica. Non farlo sarebbe un grave errore assolutamente non giustificato dalla repulsa e dalla diffidenza verso i radicalismi, gli estremismi verbali o la retorica rivoluzionaria, più presenti in un movimento studentesco autonomo, unitario, che semmai sono da contrastare nel merito ma da non confondere con attitudini alla violenza.
Non faranno questo errore i partigiani e gli antifascisti. L’ANPI promuoverà in ogni parte del Paese incontri con gli studenti aprendo i suoi congressi di Sezione e provinciali alla loro voce.
La università pubblica che vogliono è la metafora di un futuro desiderabile per le nuove generazioni: di studio, lavoro e progetti di vita. E a ben vedere coincide con lo stesso desiderabile futuro dell’Italia.
Investire di questa questione cruciale la politica, le istituzioni, i sindacati e le forze sociali e della cultura, è urgente e necessario.
E’ così alla prova, ancora una volta, la democrazia repubblicana, la sua capacità di garantire partecipazione, di assecondare il cambiamento. Al tempo stesso, questa è un’occasione importante per le istituzioni, i partiti e la politica di rigenerarsi e rinnovarsi.
lunedì 27 dicembre 2010
PDL CONTRO L'ANPI A SANT'ANNA DI STAZZEMA
Il Pdl è contrario alla presenza dell'ANPI nella costituenda Fondazione del Parco nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema. La replica dell’Anpi: è solo livore antidemocratico.
Ecco il commento di Didala Ghilarducci, presidente del Comitato Provinciale Anpi Lucca.
“La presenza dell’ANPI tra i fondatori morali della Fondazione del Parco
della Pace di Sant’Anna di Stazzema non è una onorificenza data ad una parte di italiani - quelli che si batterono contro il nazifascismo e consentirono la costruzione dell’Italia democratica – contro altri, ma è il
riconoscimento delle comuni radici di tutti gli italiani. Ne gioiscono perciò tutti coloro che si riconoscono in questa Italia democratica, che la Costituzione ha sancito antifascista e pacifista. Chissà quali “verità” e quali “responsabilità” risultano ancora da chiarire al coordinatore del PdL di Stazzema, al quale suggeriamo di informarsi sulla ricca produzione storiografica su Sant’ Anna pubblicata negli ultimi decenni, di meditare gli atti della Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi e infine di andarsi a leggere la sentenza emessa cinque anni or sono, con la piena soddisfazione dei suoi concittadini, dal Tribunale Militare della Spezia. Afferma questa sentenza che la strage fu perpretata “senza necessità e senza giustificato motivo, per cause non estranee alla guerra e anzi nell’ambito e con finalità di un’ampia operazione di rastrellamento pianificata e condotta contro i partigiani e la popolazione civile che a quelli si mostrava solidale”.
Ecco il commento di Didala Ghilarducci, presidente del Comitato Provinciale Anpi Lucca.
“La presenza dell’ANPI tra i fondatori morali della Fondazione del Parco
della Pace di Sant’Anna di Stazzema non è una onorificenza data ad una parte di italiani - quelli che si batterono contro il nazifascismo e consentirono la costruzione dell’Italia democratica – contro altri, ma è il
riconoscimento delle comuni radici di tutti gli italiani. Ne gioiscono perciò tutti coloro che si riconoscono in questa Italia democratica, che la Costituzione ha sancito antifascista e pacifista. Chissà quali “verità” e quali “responsabilità” risultano ancora da chiarire al coordinatore del PdL di Stazzema, al quale suggeriamo di informarsi sulla ricca produzione storiografica su Sant’ Anna pubblicata negli ultimi decenni, di meditare gli atti della Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi e infine di andarsi a leggere la sentenza emessa cinque anni or sono, con la piena soddisfazione dei suoi concittadini, dal Tribunale Militare della Spezia. Afferma questa sentenza che la strage fu perpretata “senza necessità e senza giustificato motivo, per cause non estranee alla guerra e anzi nell’ambito e con finalità di un’ampia operazione di rastrellamento pianificata e condotta contro i partigiani e la popolazione civile che a quelli si mostrava solidale”.
BASTA CON GLI INSULTI AI MAGISTRATI
Siamo profondamente indignati per i continui, violenti, volgari attacchi alla Magistratura ed alla Corte Costituzionale. Evidentemente, c’è chi vuole disconoscere princìpi e valori fondamentali della Costituzione, come la divisione dei poteri, l’autonomia e indipendenza della Magistratura, la funzione di garanzia della Corte Costituzionale, il rispetto dovuto alle istituzioni.
E’ una campagna vergognosa, condotta in prima persona da esponenti del Governo, per denigrare e delegittimare organi fondamentali di garanzia come la Magistratura e la Corte Costituzionale.
Un attacco del genere – che non ha nulla a che fare con la critica lecita – non colpisce solo i Magistrati, ma investe l’intero sistema costituzionale, e mette a repentaglio i diritti dei cittadini e la stessa convivenza civile, quale si addice ad uno Stato democratico.
Non si tratta solo, come pure è doveroso, di esprimere solidarietà alla Magistratura ed alla Corte Costituzionale, ma di riaffermare princìpi fondamentali, nell’interesse prima di tutto dei cittadini, di ribadire che i Magistrati e gli organismi di garanzia devono operare senza insulti, pressioni e intimidazioni, di riaffermare il dovere di tutti di rispettare le regole e il diritto, ugualmente di tutti, a vederle pienamente osservate.
L’ANPI trasmetterà questo comunicato, oltreché ai propri iscritti, agli organi rappresentativi della Magistratura milanese, riservandosi di individuare – d’intesa con i medesimi – le forme ed i modi più efficaci per illustrare ai cittadini la situazione reale della giustizia e per riaffermare i più volte ricordati princìpi di fondo del nostro sistema costituzionale, pretendendone l’assoluto rispetto.
Il Presidente dell'Anpi milanese, Carlo Smuraglia
E’ una campagna vergognosa, condotta in prima persona da esponenti del Governo, per denigrare e delegittimare organi fondamentali di garanzia come la Magistratura e la Corte Costituzionale.
Un attacco del genere – che non ha nulla a che fare con la critica lecita – non colpisce solo i Magistrati, ma investe l’intero sistema costituzionale, e mette a repentaglio i diritti dei cittadini e la stessa convivenza civile, quale si addice ad uno Stato democratico.
Non si tratta solo, come pure è doveroso, di esprimere solidarietà alla Magistratura ed alla Corte Costituzionale, ma di riaffermare princìpi fondamentali, nell’interesse prima di tutto dei cittadini, di ribadire che i Magistrati e gli organismi di garanzia devono operare senza insulti, pressioni e intimidazioni, di riaffermare il dovere di tutti di rispettare le regole e il diritto, ugualmente di tutti, a vederle pienamente osservate.
L’ANPI trasmetterà questo comunicato, oltreché ai propri iscritti, agli organi rappresentativi della Magistratura milanese, riservandosi di individuare – d’intesa con i medesimi – le forme ed i modi più efficaci per illustrare ai cittadini la situazione reale della giustizia e per riaffermare i più volte ricordati princìpi di fondo del nostro sistema costituzionale, pretendendone l’assoluto rispetto.
Il Presidente dell'Anpi milanese, Carlo Smuraglia
giovedì 23 dicembre 2010
martedì 21 dicembre 2010
MESSAGGIO DI FINE ANNO DEL PRESIDENTE RAIMONDO RICCI
Care compagne e cari compagni,
ritengo sia doveroso, in queste ultime settimane di dicembre 2010, compiere con voi una valutazione in ordine alle novità che sono intervenute sulla scena della politica italiana, sulle prospettive e sulle alternative che in ordine ad essa stanno maturando. Sul ruolo che la nostra associazione, l' ANPI, è chiamata a svolgere in nome dei valori, dei principi e degli impegni che caratterizzano la nostra stessa ragion d'essere.
Il presente messaggio non è peraltro indirizzato soltanto ai militanti della Nostra Associazione e delle altre associazioni che intendono mantenere viva la memoria della Resistenza e di tutto ciò che essa ha rappresentato e tuttora rappresenta nella storia d'Italia. È diretto anche e soprattutto alle forze politiche cui spetta il compito di garantire quanto più possibile, in una fase di profonda crisi globale, il progresso e il benessere della nostra comunità nazionale. Inoltre questo messaggio deve essere valutato da parte di ogni componente della nostra comunità, a cominciare dalle generazioni più giovani; e ciò al fine di contribuire a quel risveglio delle coscienze oggi più che mai indispensabile.
Non credo sia necessario enumerare in dettaglio tutti i comportamenti personali e quelli relativi alla gestione politica instaurati dal premier e dai suoi sodali.
Tutte le insufficienze, le deviazioni da un trasparente rispetto dei principi e delle regole sanciti dalla nostra Costituzione, le arbitrarietà anche interpretative che si collocano del tutto al di fuori della nostra Carta fondamentale e le illusioni sull'oggettiva realtà dei problemi che travagliano il nostro Paese. L'uso di aggressioni mediatiche nei confronti di chi non si attiene o si ribella a quelle illusioni. Il tentativo di stravolgere la Costituzione realizzato a livello parlamentare da una maggioranza ottenuta dal premier con gli strumenti di un populismo mediatico e fortunatamente bocciato da una larga maggioranza del popolo con il referendum del giugno 2006. L'attacco martellante nei confronti delle istituzioni di garanzia previste dalla Costituzione, a cominciare dalla Magistratura, un attacco alcuna volta esteso al Presidente della Repubblica che oggi può definirsi il più solido baluardo contro una minacciata deriva autoritaria. La tolleranza da parte del premier di attività contrarie alle leggi vigenti. L'ossessiva volontà di ricorrere a leggi “ad personam” per fronteggiare i propri guai giudiziari, senza curarsi (vedi la legge sul cosiddetto processo breve) degli effetti di cancellazione di migliaia di processi in corso.
Ossessione affiancata da una pretesa riforma della giustizia indirizzata ad aggredire il requisito di autonomia e indipendenza della Magistratura e a sottrarre ad essa strumenti indispensabili per l'accertamento di reati, anche molto gravi, come quelli concernenti la criminalità organizzata.
Il complesso delle attività sopra citate è stato tale da suscitare il dissenso e la reazione di una parte stessa della destra, quella che fa capo al Presidente della Camera Gianfranco Fini il quale, nel suo intervento programmatico di Perugia, ha chiaramente enunciato la necessità di una destra che nel suo agire politico si muova in conformità ai principi e alle regole disegnati dalla Costituzione.
Non è un caso che la Legge Fondamentale sia stata elaborata tra la metà del 1946 e fine 1947 in modo da elaborare un testo condiviso e approvato a larghissima maggioranza, fra tutte le forze politiche democratiche in campo, dai comunisti ai democristiani, agli azionisti ai liberali.
Oggi ci troviamo di fronte ad un'emergenza che non vede tanto una contrapposizione tra destra e sinistra quanto un conflitto tra chi intende muoversi nel solco della Costituzione e chi invece da essa vuole divorziare, onde conseguire un potere assoluto che pur non presentandosi con gli stessi attributi esplicitamente dittatoriali del fascismo intende instaurare un nuovo potere autoritario. Questo è il vero e concreto obiettivo del berlusconismo. In sostanza, il populismo è lo strumento di chi oggi governa l'Italia, l'autoritarismo è il risultato cui vuole pervenire.
Martedì 14 dicembre il premier Berlusconi ha evitato la sfiducia per soli tre voti, dopo un'indecente attività di mercato. Ed ora si ripropone espressamente di operare, al fine di rafforzare la sua maggioranza, in modo da continuare questa sua deprecabile attività. La prospettiva è preoccupante, considerando la spregiudicatezza dei suoi comportamenti.
Per sconfiggere questa deriva che consegnerebbe il nostro Paese ad un ulteriore degrado dal quale sarebbe enormemente difficile risollevarsi, l'unica risposta non può che essere un'alleanza di tutte le forze d'opposizione che a questo disegno si oppongono in modo concreto e operante, senza alcuna esclusione. È necessaria la realizzazione di una sorta di CLN dettato dall'emergenza, capace di ricreare le condizioni fondamentali affinché la normale dialettica politica possa ricostituirsi su basi nuove nell'ambito delle forme e dei limiti della nostra Carta Fondamentale. È un progetto verso il quale occorre muoversi, con una piena disponibilità di quelle forze che furono un tempo capaci dell'approvazione della nostra Legge fondamentale.
Nel concludere questo mio messaggio ritengo necessario soffermarmi sul disagio profondo che pervade studenti e giovani privati di una prospettiva futura, disagio latente da tempo,che negli ultimi giorni ha portato ad una reazione fondamentalmente giusta. Noi tutti però dobbiamo evitare che la violenza venga ritenuta l'ultima risorsa di chi è disperato. Per questo ai giovani in particolare,desidero dire che la degenerazione della protesta in atti violenti porta come conseguenza il dare involontariamente ragione ai responsabili dell'attuale degrado. D’altro canto, le proposte di arresto preventivo – che riecheggiano leggi fasciste – e le altre iniziative volte a rafforzare la repressione dimostrano chiaramente l’intenzione dell’attuale governo di ridurre a questione di ordine pubblico il profondo anelito di giustizia e progresso che costituisce l’essenza delle proteste di studenti e precari. Per modificare le cose bisogna isolare le frange violente, di qualunque tipo esse siano e impegnare le migliori energie, a cominciare dalle nuove generazioni, nello sforzo comune per il cambiamento, forti del fatto che la coscienza del Paese è dalla parte delle legittime aspirazioni dei suoi giovani.
Con un fraterno augurio a tutti voi, per il prossimo Natale e per il nuovo anno, rendiamo sempre più operante il nostro impegno per il Bene della nostra Italia
Raimondo Ricci, presidente nazionale ANPI
ritengo sia doveroso, in queste ultime settimane di dicembre 2010, compiere con voi una valutazione in ordine alle novità che sono intervenute sulla scena della politica italiana, sulle prospettive e sulle alternative che in ordine ad essa stanno maturando. Sul ruolo che la nostra associazione, l' ANPI, è chiamata a svolgere in nome dei valori, dei principi e degli impegni che caratterizzano la nostra stessa ragion d'essere.
Il presente messaggio non è peraltro indirizzato soltanto ai militanti della Nostra Associazione e delle altre associazioni che intendono mantenere viva la memoria della Resistenza e di tutto ciò che essa ha rappresentato e tuttora rappresenta nella storia d'Italia. È diretto anche e soprattutto alle forze politiche cui spetta il compito di garantire quanto più possibile, in una fase di profonda crisi globale, il progresso e il benessere della nostra comunità nazionale. Inoltre questo messaggio deve essere valutato da parte di ogni componente della nostra comunità, a cominciare dalle generazioni più giovani; e ciò al fine di contribuire a quel risveglio delle coscienze oggi più che mai indispensabile.
Non credo sia necessario enumerare in dettaglio tutti i comportamenti personali e quelli relativi alla gestione politica instaurati dal premier e dai suoi sodali.
Tutte le insufficienze, le deviazioni da un trasparente rispetto dei principi e delle regole sanciti dalla nostra Costituzione, le arbitrarietà anche interpretative che si collocano del tutto al di fuori della nostra Carta fondamentale e le illusioni sull'oggettiva realtà dei problemi che travagliano il nostro Paese. L'uso di aggressioni mediatiche nei confronti di chi non si attiene o si ribella a quelle illusioni. Il tentativo di stravolgere la Costituzione realizzato a livello parlamentare da una maggioranza ottenuta dal premier con gli strumenti di un populismo mediatico e fortunatamente bocciato da una larga maggioranza del popolo con il referendum del giugno 2006. L'attacco martellante nei confronti delle istituzioni di garanzia previste dalla Costituzione, a cominciare dalla Magistratura, un attacco alcuna volta esteso al Presidente della Repubblica che oggi può definirsi il più solido baluardo contro una minacciata deriva autoritaria. La tolleranza da parte del premier di attività contrarie alle leggi vigenti. L'ossessiva volontà di ricorrere a leggi “ad personam” per fronteggiare i propri guai giudiziari, senza curarsi (vedi la legge sul cosiddetto processo breve) degli effetti di cancellazione di migliaia di processi in corso.
Ossessione affiancata da una pretesa riforma della giustizia indirizzata ad aggredire il requisito di autonomia e indipendenza della Magistratura e a sottrarre ad essa strumenti indispensabili per l'accertamento di reati, anche molto gravi, come quelli concernenti la criminalità organizzata.
Il complesso delle attività sopra citate è stato tale da suscitare il dissenso e la reazione di una parte stessa della destra, quella che fa capo al Presidente della Camera Gianfranco Fini il quale, nel suo intervento programmatico di Perugia, ha chiaramente enunciato la necessità di una destra che nel suo agire politico si muova in conformità ai principi e alle regole disegnati dalla Costituzione.
Non è un caso che la Legge Fondamentale sia stata elaborata tra la metà del 1946 e fine 1947 in modo da elaborare un testo condiviso e approvato a larghissima maggioranza, fra tutte le forze politiche democratiche in campo, dai comunisti ai democristiani, agli azionisti ai liberali.
Oggi ci troviamo di fronte ad un'emergenza che non vede tanto una contrapposizione tra destra e sinistra quanto un conflitto tra chi intende muoversi nel solco della Costituzione e chi invece da essa vuole divorziare, onde conseguire un potere assoluto che pur non presentandosi con gli stessi attributi esplicitamente dittatoriali del fascismo intende instaurare un nuovo potere autoritario. Questo è il vero e concreto obiettivo del berlusconismo. In sostanza, il populismo è lo strumento di chi oggi governa l'Italia, l'autoritarismo è il risultato cui vuole pervenire.
Martedì 14 dicembre il premier Berlusconi ha evitato la sfiducia per soli tre voti, dopo un'indecente attività di mercato. Ed ora si ripropone espressamente di operare, al fine di rafforzare la sua maggioranza, in modo da continuare questa sua deprecabile attività. La prospettiva è preoccupante, considerando la spregiudicatezza dei suoi comportamenti.
Per sconfiggere questa deriva che consegnerebbe il nostro Paese ad un ulteriore degrado dal quale sarebbe enormemente difficile risollevarsi, l'unica risposta non può che essere un'alleanza di tutte le forze d'opposizione che a questo disegno si oppongono in modo concreto e operante, senza alcuna esclusione. È necessaria la realizzazione di una sorta di CLN dettato dall'emergenza, capace di ricreare le condizioni fondamentali affinché la normale dialettica politica possa ricostituirsi su basi nuove nell'ambito delle forme e dei limiti della nostra Carta Fondamentale. È un progetto verso il quale occorre muoversi, con una piena disponibilità di quelle forze che furono un tempo capaci dell'approvazione della nostra Legge fondamentale.
Nel concludere questo mio messaggio ritengo necessario soffermarmi sul disagio profondo che pervade studenti e giovani privati di una prospettiva futura, disagio latente da tempo,che negli ultimi giorni ha portato ad una reazione fondamentalmente giusta. Noi tutti però dobbiamo evitare che la violenza venga ritenuta l'ultima risorsa di chi è disperato. Per questo ai giovani in particolare,desidero dire che la degenerazione della protesta in atti violenti porta come conseguenza il dare involontariamente ragione ai responsabili dell'attuale degrado. D’altro canto, le proposte di arresto preventivo – che riecheggiano leggi fasciste – e le altre iniziative volte a rafforzare la repressione dimostrano chiaramente l’intenzione dell’attuale governo di ridurre a questione di ordine pubblico il profondo anelito di giustizia e progresso che costituisce l’essenza delle proteste di studenti e precari. Per modificare le cose bisogna isolare le frange violente, di qualunque tipo esse siano e impegnare le migliori energie, a cominciare dalle nuove generazioni, nello sforzo comune per il cambiamento, forti del fatto che la coscienza del Paese è dalla parte delle legittime aspirazioni dei suoi giovani.
Con un fraterno augurio a tutti voi, per il prossimo Natale e per il nuovo anno, rendiamo sempre più operante il nostro impegno per il Bene della nostra Italia
Raimondo Ricci, presidente nazionale ANPI
MILANO, NON ABBASSARE LA GUARDIA
Come è noto, a Milano c’è stata, il 18 dicembre, una grande manifestazione antifascista, promossa dall’ANPI, dalla Camera del lavoro, dalla Comunità ebraica, da Libera, da tutti i partiti del centro sinistra e da tante associazioni. Una manifestazione pacifica, in cui i brevi discorsi del Presidente dell’ANPI milanese e del Segretario della Camera del lavoro di Milano, Rosati, sono stati intercalati da musiche, cori, letture di brani significativi, effettuate da artisti di grande professionalità e di grande impegno civile.
La manifestazione voleva essere una testimonianza di antifascismo, a fronte dei reiterati tentativi di trasformare Milano in una città fascista, contro le sue tradizioni e contro i suoi connotati profondamente democratici. L’occasione era stata l’annuncio dell’apertura di una nuova sede di “Forza Nuova” proprio in una zona centrale di Milano. La concessione fatta, con evidente leggerezza, dal Comune di Milano, proprietario dei locali, era stata - nei giorni scorsi - revocata, ma essenzialmente per ragioni di ordine pubblico, comunque tardivamente. In ogni caso, Forza Nuova aveva comunicato di essere decisa ad effettuare, l’apertura della sede. C’è voluta tutta la pressione dei promotori della manifestazione antifascista e la loro fermezza nel preannunciare e mantenere una manifestazione di segno contrario.
Prendiamo atto che fin qui è andata bene. Ma di certo non è finita e restano aperti alcuni interrogativi e alcuni problemi seri.
Anzitutto, gli esponenti di Forza Nuova dichiarano che hanno impugnato la delibera del Comune di revoca della concessione, e dunque ora la parola è al TAR. Ma c’è di più; essi aggiungono che sarebbero in corso trattative con l’Amministrazione comunale per avere comunque altri locali per la nuova sede.
Dunque, dobbiamo aspettarci ancora eventuali “sorprese” ed essere pronti a reagire.
Ma restano anche aperti i problemi di fondo.
Perché i neo-fascisti, negli ultimi tempi, hanno ripreso tanto vigore e con crescente frequenza tornano alla ribalta, soprattutto a Milano, ma anche altrove?
La risposta mi pare evidente: da un lato si sentono in qualche modo “protetti” da una parte dalle istituzioni; dall’altra, vi sono reali e chiare dimostrazioni che in diversi organismi istituzionali c’è molto di più della semplice tolleranza. Significative, al riguardo, le sprezzanti parole pronunciate dal Vicesindaco di Milano in relazione alla grande manifestazione antifascista del 18 dicembre.
Per alcuni, si tratta di quella che i poeti (ma qui non c’è nulla di poetico) chiamavano “corrispondenza di amorosi sensi”; tant’è che alcuni Consiglieri comunali si erano dichiarati pronti a “difendere” la nuova sede con gli amici (o camerati?) di Forza Nuova. Per altri, c’è una straordinaria e rivelatrice prontezza nel concedere sedi e patrocinare iniziative, anche se di sapore schiettamente fascista, se non peggio. Per altri ancora, c’è un’evidente soggezione ad alcuni organi dello Stato, dove – come è noto – si annidano altri amici (o camerati?). Ed è così che anche le peggiori iniziative sono state tollerate oppure – al più – vietate non per quel che sono, ma per motivi di “ordine pubblico”.
Questo insieme di elementi non solo dimostra la pervicacia di quelli che non possono più essere definiti solo come “nostalgici”, ma rivela anche un “clima” istituzionale, nel quale evidentemente non solo gli aderenti a Forza Nuova, ma anche tutti gli appartenenti all’ampia galassia di movimenti di tipo fascista o nazista, confidano di poter riporre fiducia. In estrema sintesi, non è privo di significato il fatto che da un lato si concede a gruppi neofascisti di aprire nuove sedi e dall’altro si dimezzano, a livello nazionale, i contributi ad una Associazione come l’ANPI, che fin dal 1945 è stata riconosciuta come Ente morale.
Per questo, possiamo essere soddisfatti per una manifestazione chiara, lineare e ben riuscita (anche se qualcuno ha protestato lo stesso, perché sarebbero diminuite le vendite – se c’è davvero - prenatalizie, in quella zona, dimenticando che il calo delle vendite è dovuto alla crisi), ma non possiamo riporre nel fodero le nostre “armi” (democratiche) e dobbiamo insistere perché ci si ricordi che questa Repubblica è, per definizione democratica e antifascista, come si rileva non solo da singoli articoli, ma dall’intero complesso del sistema costituzionale. E una Repubblica democratica non può tollerare simboli, scritte, manifestazioni che ci riportano ad un passato di orrore e di sangue. E’ inutile che si voglia continuare a far credere che gli italiani sono sempre “brava gente”, assolvendo così il fascismo nel suo complesso.
Questi “bravi” fascisti ci hanno condotto alla rovina, ci hanno fatto partecipare (e perdere) a una guerra rovinosa, hanno torturato, deportato e fatto morire tante persone inermi e tante impegnate nella ricerca della libertà.
Tutto questo non può essere dimenticato e non deve tornare mai più in nessuna forma. Abbiamo il dovere morale di “presidiare” ogni giorno questa Repubblica ancora immatura in alcuni gangli dello Stato e fare in modo che essa divenga, fino in fondo, quella che i partigiani, i deportati, i combattenti per la libertà hanno sognato e che è chiaramente definita nella Carta Costituzionale.
Carlo Smuraglia
La manifestazione voleva essere una testimonianza di antifascismo, a fronte dei reiterati tentativi di trasformare Milano in una città fascista, contro le sue tradizioni e contro i suoi connotati profondamente democratici. L’occasione era stata l’annuncio dell’apertura di una nuova sede di “Forza Nuova” proprio in una zona centrale di Milano. La concessione fatta, con evidente leggerezza, dal Comune di Milano, proprietario dei locali, era stata - nei giorni scorsi - revocata, ma essenzialmente per ragioni di ordine pubblico, comunque tardivamente. In ogni caso, Forza Nuova aveva comunicato di essere decisa ad effettuare, l’apertura della sede. C’è voluta tutta la pressione dei promotori della manifestazione antifascista e la loro fermezza nel preannunciare e mantenere una manifestazione di segno contrario.
Prendiamo atto che fin qui è andata bene. Ma di certo non è finita e restano aperti alcuni interrogativi e alcuni problemi seri.
Anzitutto, gli esponenti di Forza Nuova dichiarano che hanno impugnato la delibera del Comune di revoca della concessione, e dunque ora la parola è al TAR. Ma c’è di più; essi aggiungono che sarebbero in corso trattative con l’Amministrazione comunale per avere comunque altri locali per la nuova sede.
Dunque, dobbiamo aspettarci ancora eventuali “sorprese” ed essere pronti a reagire.
Ma restano anche aperti i problemi di fondo.
Perché i neo-fascisti, negli ultimi tempi, hanno ripreso tanto vigore e con crescente frequenza tornano alla ribalta, soprattutto a Milano, ma anche altrove?
La risposta mi pare evidente: da un lato si sentono in qualche modo “protetti” da una parte dalle istituzioni; dall’altra, vi sono reali e chiare dimostrazioni che in diversi organismi istituzionali c’è molto di più della semplice tolleranza. Significative, al riguardo, le sprezzanti parole pronunciate dal Vicesindaco di Milano in relazione alla grande manifestazione antifascista del 18 dicembre.
Per alcuni, si tratta di quella che i poeti (ma qui non c’è nulla di poetico) chiamavano “corrispondenza di amorosi sensi”; tant’è che alcuni Consiglieri comunali si erano dichiarati pronti a “difendere” la nuova sede con gli amici (o camerati?) di Forza Nuova. Per altri, c’è una straordinaria e rivelatrice prontezza nel concedere sedi e patrocinare iniziative, anche se di sapore schiettamente fascista, se non peggio. Per altri ancora, c’è un’evidente soggezione ad alcuni organi dello Stato, dove – come è noto – si annidano altri amici (o camerati?). Ed è così che anche le peggiori iniziative sono state tollerate oppure – al più – vietate non per quel che sono, ma per motivi di “ordine pubblico”.
Questo insieme di elementi non solo dimostra la pervicacia di quelli che non possono più essere definiti solo come “nostalgici”, ma rivela anche un “clima” istituzionale, nel quale evidentemente non solo gli aderenti a Forza Nuova, ma anche tutti gli appartenenti all’ampia galassia di movimenti di tipo fascista o nazista, confidano di poter riporre fiducia. In estrema sintesi, non è privo di significato il fatto che da un lato si concede a gruppi neofascisti di aprire nuove sedi e dall’altro si dimezzano, a livello nazionale, i contributi ad una Associazione come l’ANPI, che fin dal 1945 è stata riconosciuta come Ente morale.
Per questo, possiamo essere soddisfatti per una manifestazione chiara, lineare e ben riuscita (anche se qualcuno ha protestato lo stesso, perché sarebbero diminuite le vendite – se c’è davvero - prenatalizie, in quella zona, dimenticando che il calo delle vendite è dovuto alla crisi), ma non possiamo riporre nel fodero le nostre “armi” (democratiche) e dobbiamo insistere perché ci si ricordi che questa Repubblica è, per definizione democratica e antifascista, come si rileva non solo da singoli articoli, ma dall’intero complesso del sistema costituzionale. E una Repubblica democratica non può tollerare simboli, scritte, manifestazioni che ci riportano ad un passato di orrore e di sangue. E’ inutile che si voglia continuare a far credere che gli italiani sono sempre “brava gente”, assolvendo così il fascismo nel suo complesso.
Questi “bravi” fascisti ci hanno condotto alla rovina, ci hanno fatto partecipare (e perdere) a una guerra rovinosa, hanno torturato, deportato e fatto morire tante persone inermi e tante impegnate nella ricerca della libertà.
Tutto questo non può essere dimenticato e non deve tornare mai più in nessuna forma. Abbiamo il dovere morale di “presidiare” ogni giorno questa Repubblica ancora immatura in alcuni gangli dello Stato e fare in modo che essa divenga, fino in fondo, quella che i partigiani, i deportati, i combattenti per la libertà hanno sognato e che è chiaramente definita nella Carta Costituzionale.
Carlo Smuraglia
domenica 19 dicembre 2010
18 DICEMBRE ANTIFASCISTA A MILANO.
Le immagini del presidio antifascista tenutosi a Milano ieri pomeriggio.
Potete ascoltare integralmente l'intervento di Smuraglia !
Potete ascoltare integralmente l'intervento di Smuraglia !
venerdì 17 dicembre 2010
ANCORA ATTACCHI NEOFASCISTI A PAVIA
Secondo atto vandalico contro le lapidi di partigiani a Pavia nel giro di pochi giorni. Dopo la distuzione, avvenuta l’8 Dicembre scorso, della stele che commemorava Giovanni Cazzamali (fucilato dai nazifascisti a 25 anni a pochi giorni dalla Liberazione), situata nel rione Pelizza, nella notte tra il 15 e il 16 Dicembre un’altra lapide è stata danneggiata seriamente in San Pietro in Verzolo.
È quella in ricordo di due partigiani fucilati dai nazifascisti, uno dei due resistenti ricordati in essa è il partigiano Amati.
Siamo di fronte all’ennesimo atto di matrice fascista che tocca Pavia.
Non dimentichiamo che nei giorni scorsi sono state danneggiate anche alcune sedi di partito. Le forza democratiche ed antifasciste della città hanno rivolto un’appello al Prefetto ed al Questore perché si facciano carico della situazione di tensione che sta vivendo Pavia.
Le forze politiche del centro-sinistra, la CGIL, l’ANPI, l’ARCI, l’UDU hanno organizzato per Lunedì 20 Dicembre 2010 , alle ore 18,15, un presidio, in piazza della Vittoria, con una fiaccolata che partirà dalla prefettura per arrivare davanti al Comune dove, alle ore 20, si terrà un consiglio comunale in cui i gruppi consiliari dell’opposizione presenteranno, in maniera unitaria, un’appello contro le violenze e le aggressioni che si sono verificate in questi giorni nel capoluogo pavese.
È quella in ricordo di due partigiani fucilati dai nazifascisti, uno dei due resistenti ricordati in essa è il partigiano Amati.
Siamo di fronte all’ennesimo atto di matrice fascista che tocca Pavia.
Non dimentichiamo che nei giorni scorsi sono state danneggiate anche alcune sedi di partito. Le forza democratiche ed antifasciste della città hanno rivolto un’appello al Prefetto ed al Questore perché si facciano carico della situazione di tensione che sta vivendo Pavia.
Le forze politiche del centro-sinistra, la CGIL, l’ANPI, l’ARCI, l’UDU hanno organizzato per Lunedì 20 Dicembre 2010 , alle ore 18,15, un presidio, in piazza della Vittoria, con una fiaccolata che partirà dalla prefettura per arrivare davanti al Comune dove, alle ore 20, si terrà un consiglio comunale in cui i gruppi consiliari dell’opposizione presenteranno, in maniera unitaria, un’appello contro le violenze e le aggressioni che si sono verificate in questi giorni nel capoluogo pavese.
giovedì 16 dicembre 2010
domenica 12 dicembre 2010
REVOCATA L'ASSEGNAZIONE DELLA NUOVA SEDE A FORZA NUOVA
L'organizzazione di estrema destra si era aggiudicata i locali di Palazzo Marino in corso Buenos Aires provocando la protesta delle sigle antifasciste. La decisione concordata con il prefetto
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha revocato l'assegnazione di uno spazio commerciale di circa 200 metri quadri in corso Buenos Aires e di proprietà comunale che il partito di Forza Nuova si era aggiudicato mediante una gara a evidenza pubblica per farne una propria sede.
La decisione del primo cittadino arriva a nove giorni dalla prevista inaugurazione dei nuovi spazi dell'organizzazione di estrema destra, sui quali si era già scatenata una accesa polemica da parte delle più diverse sigle antifasciste, dal Pd all'Anpi fino ai centri sociali. A quanto si è appreso la decisione, assunta dal sindaco Moratti, è stata presa di concerto con il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, e con le autorità di pubblica sicurezza.
La notizia della revoca è stata accolta con un applauso e esultanza dai manifestanti scesi in Piazza Fontana. "La nostra mobilitazione è servita a bloccarli, almeno per ora - ha commentato un rappresentante dei 'Partigiani in ogni quartiere', che riunisce associazioni antifasciste, collettivi e alcuni centri sociali - Toccherà a noi l'anno prossimo continuare a bloccare nuovi possibili spazi".
tratto da Repubblica.it
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha revocato l'assegnazione di uno spazio commerciale di circa 200 metri quadri in corso Buenos Aires e di proprietà comunale che il partito di Forza Nuova si era aggiudicato mediante una gara a evidenza pubblica per farne una propria sede.
La decisione del primo cittadino arriva a nove giorni dalla prevista inaugurazione dei nuovi spazi dell'organizzazione di estrema destra, sui quali si era già scatenata una accesa polemica da parte delle più diverse sigle antifasciste, dal Pd all'Anpi fino ai centri sociali. A quanto si è appreso la decisione, assunta dal sindaco Moratti, è stata presa di concerto con il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, e con le autorità di pubblica sicurezza.
La notizia della revoca è stata accolta con un applauso e esultanza dai manifestanti scesi in Piazza Fontana. "La nostra mobilitazione è servita a bloccarli, almeno per ora - ha commentato un rappresentante dei 'Partigiani in ogni quartiere', che riunisce associazioni antifasciste, collettivi e alcuni centri sociali - Toccherà a noi l'anno prossimo continuare a bloccare nuovi possibili spazi".
tratto da Repubblica.it
sabato 11 dicembre 2010
NOLA: VIA I FASCISTI DALL'AULA CONSILIARE
NOLA - “Si nega l’aula consiliare per il villaggio preistorico, la si concede per il libro su CasaPound”. Salvatore Velardi (Cgil) non ci sta, e cita i valori dell’antifascismo di cui Nola, medaglia d’oro al valor militare, è sempre stata portatrice. Citando anche l’intervento dell’associazione nazionale partigiani d’Italia, che sulla vicenda della presentazione in aula consiliare del libro “Nessun dolore, una storia di CasaPound” di Domenico Di Tullio, ha contestato “il comportamento del sindaco, che concede ad organizzazioni anti-Costituzionali le sedi democratiche, scaturite dalla lotta del popolo italiano al nazi-fascismo”. “Il presidente del consiglio di Nola si è assunta una grave e pesante responsabilità, creando anche un precedente che peserà nel futuro ??" dichiara Velardi- se solo si pensa che appena il mese scorso lo stesso presidente aveva negato l'aula consiliare per tenere il convegno sul villaggio preistorico che prevedeva anche la presenza del sindaco biancardi. Che tristezza, siamo ridotti veramente male”. La nota dell'Anpi prosegue: “Chiediamo che venga revocata immediatamente la disponibilità della sala consiliare di Nola ad organizzazioni neofasciste, razziste ed apertamente reazionarie, lascito nostalgico del passato, che dileggiano apertamente i valori e le idee democratiche previsti dalla Costituzione della Repubblica italiana”. “Altresì- continua- chiediamo alle Forze dell'Ordine ed alla Magistratura l'applicazione della XII Disposizione transitoria e definitiva della Costituzione, della Legge Scelba del 1952 e della Legge Mancino del 1993, che vietano nel modo più deciso l'apologia di fascismo, sancite come reato penale, e propugnano lo scioglimento immediato delle organizzazioni che fanno richiamo al razzismo, alla violenza e ad un passato di guerra, miseria e lutto, sconfitto dalla lotta di liberazione del popolo italiano dal nazifascismo. Chiediamo altresì a tutte i cittadini e le organizzazioni democratiche che si riconoscono nell'antifascismo e nei valori fondativi della nostra Costituzione, di vigilare e mobilitarsi affinché un episodio del genere non si possa più verificare”.
tratto da ilnolano.it
tratto da ilnolano.it
venerdì 10 dicembre 2010
martedì 7 dicembre 2010
lunedì 6 dicembre 2010
AD ANTONIO INGROIA LA TESSERA ONORARIA DELL'ANPI
venerdì 3 dicembre 2010
MONTESILVANO, NEOFASCISTI CONTRO ROM E STRANIERI
Questa che vi raccontiamo è una storia triste. Spia di un’Italia egoista e razzista. Una storia che ha come teatro Montesilvano (Pescara). Tutto ha inizio con la “notizia” che apre una circolo politico “rom”. In un mondo normale tutti ne dovrebbero essere contenti perchè un circolo significa aggregazione, impegno, partecipazione, insomma, più democrazia. Non è così in questa Italia che, troppo spesso, negli ultimi anni, sembra vivere in un un mondo capovolto.
Già perchè l’annuncio diviene strumento di un attacco politico da parte dei neofascisti di Forza Nuova. Il cui segretario ha le idee chiarissime: e naturalmente fascistissime. La pensa così: il circolo deve chiudere e nel caso un suo rappresentante avesse idea di candidarsi, prontissimo, addirittura, a far saltare le elezioni.
La risposta dell’Anpi è ferma. Il comitato provinciale di Pescara mette insieme due fatti: la contestata apertura del circolo politico rom e l'attacco al monumento della Brigata Majella a Bologna.
"Due episodi - si legge in una nota - da non far passare sotto silenzio, due facce della stessa medaglia, due indizi ulteriori della malattia profonda della democrazia in Italia, due conferme che bisogna tornare a parlare con i cittadini, e soprattutto con i giovani, dei valori civili sui quali si basa la Repubblica". “Tanti - conclude la nota - lavorano per ricreare confini, paletti, barriere, muri, pre-giudizi, in una parola lavorano contro la democrazia e la libertà. È questo che accomuna i due episodi", per cui l'associazione invita tutti a svegliarsi”.
Storia chiusa? No, perchè Forza Nuova torna alla carica. Ancora con il razzismo. "Domenica 5 dicembre distribuiremo a Montesilvano beni e prodotti (gratuitamente), agli italiani (sono esclusi gli immigrati, comunitari e non, e rom) con particolare attenzione ad anziani sopra i 65 anni di età e diversamente abili". Segue precisazione: "L'erogazione sarà effettuata attraverso dei simbolici sacchetti preconfezionati intorno ai quali saranno allegati volantini contro la Grande Distribuzione ed a favore dei piccoli e medi esercizi commerciali del proprio quartiere e contro i sempre più numerosi negozi etnici e cinesi".
Commento di Luciano Guerzoni, segretario nazionale dell’Anpi: “Una iniziativa che suscita disgusto e indignazione. Una iniziativa cinica, razzista, discriminatoria e demagogica”. E oltre a denunciarla “senza esitazione”, la “segnala alle Istituzioni ed alle forze preposte all'ordine pubblico affinché non sia tollerata in quanto contrastante con i valori e le norme costituzionali della Repubblica e con le leggi dello Stato”. Dichiarazione che si chiude con un invito, “agli antifascisti e a tutti i democratici, di sinistra e di destra, a scendere in campo per dire un no deciso".
Già perchè l’annuncio diviene strumento di un attacco politico da parte dei neofascisti di Forza Nuova. Il cui segretario ha le idee chiarissime: e naturalmente fascistissime. La pensa così: il circolo deve chiudere e nel caso un suo rappresentante avesse idea di candidarsi, prontissimo, addirittura, a far saltare le elezioni.
La risposta dell’Anpi è ferma. Il comitato provinciale di Pescara mette insieme due fatti: la contestata apertura del circolo politico rom e l'attacco al monumento della Brigata Majella a Bologna.
"Due episodi - si legge in una nota - da non far passare sotto silenzio, due facce della stessa medaglia, due indizi ulteriori della malattia profonda della democrazia in Italia, due conferme che bisogna tornare a parlare con i cittadini, e soprattutto con i giovani, dei valori civili sui quali si basa la Repubblica". “Tanti - conclude la nota - lavorano per ricreare confini, paletti, barriere, muri, pre-giudizi, in una parola lavorano contro la democrazia e la libertà. È questo che accomuna i due episodi", per cui l'associazione invita tutti a svegliarsi”.
Storia chiusa? No, perchè Forza Nuova torna alla carica. Ancora con il razzismo. "Domenica 5 dicembre distribuiremo a Montesilvano beni e prodotti (gratuitamente), agli italiani (sono esclusi gli immigrati, comunitari e non, e rom) con particolare attenzione ad anziani sopra i 65 anni di età e diversamente abili". Segue precisazione: "L'erogazione sarà effettuata attraverso dei simbolici sacchetti preconfezionati intorno ai quali saranno allegati volantini contro la Grande Distribuzione ed a favore dei piccoli e medi esercizi commerciali del proprio quartiere e contro i sempre più numerosi negozi etnici e cinesi".
Commento di Luciano Guerzoni, segretario nazionale dell’Anpi: “Una iniziativa che suscita disgusto e indignazione. Una iniziativa cinica, razzista, discriminatoria e demagogica”. E oltre a denunciarla “senza esitazione”, la “segnala alle Istituzioni ed alle forze preposte all'ordine pubblico affinché non sia tollerata in quanto contrastante con i valori e le norme costituzionali della Repubblica e con le leggi dello Stato”. Dichiarazione che si chiude con un invito, “agli antifascisti e a tutti i democratici, di sinistra e di destra, a scendere in campo per dire un no deciso".
mercoledì 1 dicembre 2010
ESITO DEL CONGRESSO DELL'ANPI DI CARATE BRIANZA
Comunicato stampa.
Domenica 28 novembre si è svolto presso la sede di piazza Risorgimento 1 il congresso dell’ Anpi sezione di Carate Brianza. Ciò in preparazione al XV congresso nazionale della nostra associazione che si terrà a Torino dal 24 al 27 marzo 2011.
Durante l’assemblea è stata ribadita la necessità di tenere alti i valori della memoria storica della lotta di Liberazione e di non solo difendere ma attuare pienamente i dettati della Costituzione Italiana. L’Anpi, che ribadiamo non è un partito, in questo periodo di crisi sociale, politica ed economica, si pone come “coscienza critica” del Paese, casa di tutti gli antifascisti e dei democratici.
Nel 2010 la sezione conta 45 iscritti, raddoppiati rispetto all’anno precedente.
Buon riscontro ha ottenuto il sito internet, www.anpicaratebrianza.blogspot.com , nato nel novembre 2009 e che nell’arco di un anno ha raggiunto quasi tremila contatti.
È stato eletto il nuovo direttivo di sezione così composto:
Presidente PAOLA POZZOLI
Vicepresidenti STEFANO FORLEO e MARCO FUMAGALLI
Consiglieri DAVIDE BONELLI, FRANCO BRUNO, CARLO FARINA, EUGENIO LONGONI,ENRICO MASON, ZACCHEO MOSCHENI, MARIA TIBERIO
Revisore dei conti LUCA RADAELLI
Domenica 28 novembre si è svolto presso la sede di piazza Risorgimento 1 il congresso dell’ Anpi sezione di Carate Brianza. Ciò in preparazione al XV congresso nazionale della nostra associazione che si terrà a Torino dal 24 al 27 marzo 2011.
Durante l’assemblea è stata ribadita la necessità di tenere alti i valori della memoria storica della lotta di Liberazione e di non solo difendere ma attuare pienamente i dettati della Costituzione Italiana. L’Anpi, che ribadiamo non è un partito, in questo periodo di crisi sociale, politica ed economica, si pone come “coscienza critica” del Paese, casa di tutti gli antifascisti e dei democratici.
Nel 2010 la sezione conta 45 iscritti, raddoppiati rispetto all’anno precedente.
Buon riscontro ha ottenuto il sito internet, www.anpicaratebrianza.blogspot.com , nato nel novembre 2009 e che nell’arco di un anno ha raggiunto quasi tremila contatti.
È stato eletto il nuovo direttivo di sezione così composto:
Presidente PAOLA POZZOLI
Vicepresidenti STEFANO FORLEO e MARCO FUMAGALLI
Consiglieri DAVIDE BONELLI, FRANCO BRUNO, CARLO FARINA, EUGENIO LONGONI,ENRICO MASON, ZACCHEO MOSCHENI, MARIA TIBERIO
Revisore dei conti LUCA RADAELLI
MIRANO, LA PROTESTA PER L' INTITOLAZIONE DI UNA VIA AD ALMIRANTE
Le note di «Bella Ciao» al Consiglio comunale di Mirano (Ve) per dire no all'intitolazione di una via ad Almirante. L'Anpi, scende in piazza contro le decisioni della giunta e invade l'aula con slogan e bandiere, contestando pubblicamente Roberto Cappelletto, il sindaco leghista.
Tutto questo è avvenuto a un mese dalla manifestazione del 31 ottobre con cui l'ANPI a Chioggia ha ribadito la difesa della Costituzione e i valori dell'antifascismo ed ha fatto desistere l'amministrazione di centrodestra dall'intitolare l'aula magna della sede del Bo (sezione staccata dell’Università di Padova, medaglia d’oro alla Resistenza) allo stesso Almirante (il 30 novembre si è dimesso Romano Tiozzo, Sindaco di quella Città).
A Mirano il ritrovo dei partigiani, insieme ai partiti del centrosinistra, inizia simbolicamente in piazza Martiri della Libertà. Libertà invocata da circa 60 tra reduci e giovani, arrivati per denunciare la beffa di una via Almirante che sorgerà vicino a via Matteotti, ucciso dai fascisti. «Nessun riguardo da parte di questa giunta per chi ha vissuto in questo Paese, lottando per la libertà - accusa Bruno Tonolo, segretario del'Anpi miranese - tolgano il nome di Almirante tra le vie di questa città o invaderemo di nuovo questa piazza di bandiere». Il cuore di Tonolo e di molti altri partigiani batte ancora forte per la grande manifestazione di un anno fa contro il razzismo. Tra loro strappa applausi la requisitoria storica del segretario provinciale Marcello Basso: «Abbiamo già riempito questa piazza - dice - se servirà faremo un'altra manifestazione, più grande». E qualcuno il cartello della nuova via lo porta in piazza, un provocatorio: «Via Giorgio Almirante, razzista e fucilatore».
A megafono spento partigiani e sinistra parlano di mobilitazione permanente: nessuna tregua finché la giunta non farà retromarcia. Altrimenti Tonolo avverte: «Scenderemo in piazza a chiedere le dimissioni del sindaco». Tra i manifestanti c'è anche il consigliere regionale del Prc Pietrangelo Pettenò: «Mirano città simbolo dell'antifascismo - ricorda - e prima ancora Chioggia: il disegno è chiaro». Il corteo sfila verso la sala consiliare di villa Errera, che d'ora in poi dovrebbe chiamarsi Caduti delle foibe, intonando canti della Resistenza.
In aula la tensione sale velocemente. Luigi Gasparini, Prc, concorda la lettura di documento contrario alla giunta, per non esacerbare gli animi. Cappelletto dà l'ok, ma sottolinea: «Noi siamo democratici, ascoltiamo le idee di tutti. Beninteso che l'Anpi rappresenta solo una parte dei cittadini». E' la provocazione che scatena il coro di «Bella Ciao», intonato più volte da partigiani e giovani che zittiscono il sindaco.
Tutto questo è avvenuto a un mese dalla manifestazione del 31 ottobre con cui l'ANPI a Chioggia ha ribadito la difesa della Costituzione e i valori dell'antifascismo ed ha fatto desistere l'amministrazione di centrodestra dall'intitolare l'aula magna della sede del Bo (sezione staccata dell’Università di Padova, medaglia d’oro alla Resistenza) allo stesso Almirante (il 30 novembre si è dimesso Romano Tiozzo, Sindaco di quella Città).
A Mirano il ritrovo dei partigiani, insieme ai partiti del centrosinistra, inizia simbolicamente in piazza Martiri della Libertà. Libertà invocata da circa 60 tra reduci e giovani, arrivati per denunciare la beffa di una via Almirante che sorgerà vicino a via Matteotti, ucciso dai fascisti. «Nessun riguardo da parte di questa giunta per chi ha vissuto in questo Paese, lottando per la libertà - accusa Bruno Tonolo, segretario del'Anpi miranese - tolgano il nome di Almirante tra le vie di questa città o invaderemo di nuovo questa piazza di bandiere». Il cuore di Tonolo e di molti altri partigiani batte ancora forte per la grande manifestazione di un anno fa contro il razzismo. Tra loro strappa applausi la requisitoria storica del segretario provinciale Marcello Basso: «Abbiamo già riempito questa piazza - dice - se servirà faremo un'altra manifestazione, più grande». E qualcuno il cartello della nuova via lo porta in piazza, un provocatorio: «Via Giorgio Almirante, razzista e fucilatore».
A megafono spento partigiani e sinistra parlano di mobilitazione permanente: nessuna tregua finché la giunta non farà retromarcia. Altrimenti Tonolo avverte: «Scenderemo in piazza a chiedere le dimissioni del sindaco». Tra i manifestanti c'è anche il consigliere regionale del Prc Pietrangelo Pettenò: «Mirano città simbolo dell'antifascismo - ricorda - e prima ancora Chioggia: il disegno è chiaro». Il corteo sfila verso la sala consiliare di villa Errera, che d'ora in poi dovrebbe chiamarsi Caduti delle foibe, intonando canti della Resistenza.
In aula la tensione sale velocemente. Luigi Gasparini, Prc, concorda la lettura di documento contrario alla giunta, per non esacerbare gli animi. Cappelletto dà l'ok, ma sottolinea: «Noi siamo democratici, ascoltiamo le idee di tutti. Beninteso che l'Anpi rappresenta solo una parte dei cittadini». E' la provocazione che scatena il coro di «Bella Ciao», intonato più volte da partigiani e giovani che zittiscono il sindaco.
lunedì 29 novembre 2010
COMITATO IMMIGRATI MILANO, ADESIONI
Comunicato stampa.
Dal 5 novembre un gruppo d’immigrati è salito in cima alla torre ex Carlo Erba in Via Imbonati a Milano. Non scenderanno fino a che non sarà data risposta alla richiesta di veder riconosciuto il diritto a una vita dignitosa.
Il comitato Antifascista per la difesa della Democrazia Milano zona sei invia piena adesione e solidarietà al comitato Immigrati Milano. Riteniamo nostri concittadini a tutti gli effetti questi donne, questi uomini.
Il lavoro, la dignità, i diritti, l’identità sono nostre e vostre radici comuni. Ed anche in questo caso ci sia da faro la nostra bella Costituzione…
“Art. 3" : Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Siamo con voi.
Comitato Antifascista per la difesa della Democrazia. Milano zona 6.
Dal 5 novembre un gruppo d’immigrati è salito in cima alla torre ex Carlo Erba in Via Imbonati a Milano. Non scenderanno fino a che non sarà data risposta alla richiesta di veder riconosciuto il diritto a una vita dignitosa.
Il comitato Antifascista per la difesa della Democrazia Milano zona sei invia piena adesione e solidarietà al comitato Immigrati Milano. Riteniamo nostri concittadini a tutti gli effetti questi donne, questi uomini.
Il lavoro, la dignità, i diritti, l’identità sono nostre e vostre radici comuni. Ed anche in questo caso ci sia da faro la nostra bella Costituzione…
“Art. 3" : Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Siamo con voi.
Comitato Antifascista per la difesa della Democrazia. Milano zona 6.
NO AL FASCISMO, VIVA LA COSTITUZIONE !
Milano: Convegni razzisti e xenofobi, manifestazioni d’odio e violenza, aperture di sedi fasciste.
L’assegnazione al gruppo militante Forza Nuova, di un locale di proprietà pubblica in C.so Buenos Aires, importante zona centrale di Milano, compiuta dal Comune, è un atto inqualificabile, offensivo e inaccettabile.
Chiediamo al Sindaco Moratti di revocare immediatamente questo incredibile contratto. Con questa vergogna il centrodestra milanese si ripete, infatti, sono passate soltanto poche settimane dalla concessione di un altro spazio di proprietà pubblica, nelle case popolari di Viale Brianza 20 a un’altra formazione esplicitamente nazifascista.
A Milano, sono in atto insidiosi tentativi di radicamento territoriale di gruppi fascisti e razzisti con tanto di supporto delle Istituzioni comunali, provinciali e regionali. Preoccupante sostegno d’Istituzioni che dimenticano che l’apologia di fascismo è reato, che dimenticano che Milano è città medaglia d’oro alla Resistenza, che dimenticano i valori su cui è fondata la nostra Costituzione.
Il comitato Antifascista per la difesa della Democrazia. Milano zona sei condanna fermamente questa brutta pagina della storia Milanese, e chiede a tutte le organizzazioni democratiche e antifasciste di organizzare una mobilitazione unitaria in difesa del patrimonio ideale e culturale della Resistenza.
Che da tutte le forze democratiche della città si alzi forte un grido:
Viva la Democrazia, viva la Costituzione, no al fascismo.
Comitato Antifascista per la difesa della Democrazia.
Milano zona 6.
L’assegnazione al gruppo militante Forza Nuova, di un locale di proprietà pubblica in C.so Buenos Aires, importante zona centrale di Milano, compiuta dal Comune, è un atto inqualificabile, offensivo e inaccettabile.
Chiediamo al Sindaco Moratti di revocare immediatamente questo incredibile contratto. Con questa vergogna il centrodestra milanese si ripete, infatti, sono passate soltanto poche settimane dalla concessione di un altro spazio di proprietà pubblica, nelle case popolari di Viale Brianza 20 a un’altra formazione esplicitamente nazifascista.
A Milano, sono in atto insidiosi tentativi di radicamento territoriale di gruppi fascisti e razzisti con tanto di supporto delle Istituzioni comunali, provinciali e regionali. Preoccupante sostegno d’Istituzioni che dimenticano che l’apologia di fascismo è reato, che dimenticano che Milano è città medaglia d’oro alla Resistenza, che dimenticano i valori su cui è fondata la nostra Costituzione.
Il comitato Antifascista per la difesa della Democrazia. Milano zona sei condanna fermamente questa brutta pagina della storia Milanese, e chiede a tutte le organizzazioni democratiche e antifasciste di organizzare una mobilitazione unitaria in difesa del patrimonio ideale e culturale della Resistenza.
Che da tutte le forze democratiche della città si alzi forte un grido:
Viva la Democrazia, viva la Costituzione, no al fascismo.
Comitato Antifascista per la difesa della Democrazia.
Milano zona 6.
BOLOGNA, ENNESIMO ATTACCO VANDALICO NEOFASCISTA
«Un oltraggioso sfregio è stato commesso al monumento dedicato alla Brigata Maiella di via Barbacci-angolo viale Lenin nei confronti dei macigni donati alla nostra città». Lo rende noto il Comitato provinciale dell’Anpi di Bologna denunciando la comparsa di scritte inneccianti al Duce con una serie di croci celtiche e definendolo «l’ennesimo atto vandalico fascista perpetrato contro il monumento».
Il sito è dedicato alla Brigata Maiella, decorata di Medaglia d’Oro al Valor Militare, ed è composto da una serie di rocce donate dai partigiani abruzzesi della Brigata al Comune di Bologna, i quali parteciparono alla Liberazione della città il 21 aprile 1945.
sabato 27 novembre 2010
CONGRESSO DELL'ANPI DI CARATE BRIANZA
Domenica 28 Novembre 2010 dalle ore 9,15 presso la sede di sezione in piazza Risorgimento 1, si svolgerà il Congresso della Sezione ANPI di Carate Brianza, in preparazione al XV Congresso Nazionale dell’ANPI che si terrà a Torino dal 24 al 27 marzo 2011.
PROGRAMMA CONGRESSUALE
apertura dei lavori; nomina del Presidente, del Segretario e degli Scrutatori dell’Assemblea; nomina delle commissioni per la preparazione al XV Congresso Nazionale ANPI
• relazione politica del segretario di sezione
• presentazione del bilancio 2009
• votazione del bilancio 2009
• discussione documento nazionale, eventuali emendamenti e votazione
• elezione nuovo Comitato di Sezione e delegati al Congresso Provinciale
Come da regolamento nazionale avranno diritto di voto gli iscritti alla data del 16 settembre 2010.
Per la Presidenza
Paola Pozzoli
PROGRAMMA CONGRESSUALE
apertura dei lavori; nomina del Presidente, del Segretario e degli Scrutatori dell’Assemblea; nomina delle commissioni per la preparazione al XV Congresso Nazionale ANPI
• relazione politica del segretario di sezione
• presentazione del bilancio 2009
• votazione del bilancio 2009
• discussione documento nazionale, eventuali emendamenti e votazione
• elezione nuovo Comitato di Sezione e delegati al Congresso Provinciale
Come da regolamento nazionale avranno diritto di voto gli iscritti alla data del 16 settembre 2010.
Per la Presidenza
Paola Pozzoli
venerdì 26 novembre 2010
giovedì 25 novembre 2010
ACCADE A PRATO
Saverio Tommasi aveva cancellato simboli e slogan e ha messo il filmato su youtube. Subito gli sono state recapitate delle scritte intimidatorie: "Non ci fermerai" contornato da due svastiche
La stazione di Prato Borgonuovo era piena di svastiche e croci celtiche. Ce n'erano ovunque, dai muretti ai poggiamano, fino ai gradini che dividono la banchina dai binari. Così ad ottobre l'attore/regista Saverio Tommasi ha deciso di ripulire tutta la fermata coprendo gli slogan fascisti. L'ha fatto facendosi riprendere con la telecamera mentre dava la vernice sopra i simboli di estrema destra. Poi ha pubblicato il video su youtube. Da quel momento ha iniziato a ricevere insulti, sia nei commenti che via mail. Infine sulla banchina ripulita è apparsa una scritta rivolta a lui: “Saverio Tommasi non ci fermerai”, contornato da due svastiche.
L’artista fiorentino, noto per le sue azioni estemporanee, era andato a Borgonuovo su segnalazione di alcune persone. «L’obiettivo - spiega - era quello di dare un segno di decoro civile». Ma non tutti l’hanno pensata allo stesso modo.
Su youtube sono apparsi commenti del tipo: «Comunisti e Antifa feccia varia fuori dalla nostra città, i ragazzi pratesi son di destra, non c'è posto per voi rossi criminali di guerra», «beduini e ridicoli», accusando Tommasi di essere un «falso perbenista» e gli immigrati cinesi di aver rovinato la città. Infine è apparsa la scritta tra le svastiche.
Tommasi ha cercato di sdrammatizzare, rispondendo con una lettera in cui invita questi «ragazzi» a «cercare su internet le immagini di Auschwitz, a respirarne l’orrore, e sarete voi per primi a seppellire la svastica nella spazzatura della storia».
La stazione di Prato Borgonuovo era piena di svastiche e croci celtiche. Ce n'erano ovunque, dai muretti ai poggiamano, fino ai gradini che dividono la banchina dai binari. Così ad ottobre l'attore/regista Saverio Tommasi ha deciso di ripulire tutta la fermata coprendo gli slogan fascisti. L'ha fatto facendosi riprendere con la telecamera mentre dava la vernice sopra i simboli di estrema destra. Poi ha pubblicato il video su youtube. Da quel momento ha iniziato a ricevere insulti, sia nei commenti che via mail. Infine sulla banchina ripulita è apparsa una scritta rivolta a lui: “Saverio Tommasi non ci fermerai”, contornato da due svastiche.
L’artista fiorentino, noto per le sue azioni estemporanee, era andato a Borgonuovo su segnalazione di alcune persone. «L’obiettivo - spiega - era quello di dare un segno di decoro civile». Ma non tutti l’hanno pensata allo stesso modo.
Su youtube sono apparsi commenti del tipo: «Comunisti e Antifa feccia varia fuori dalla nostra città, i ragazzi pratesi son di destra, non c'è posto per voi rossi criminali di guerra», «beduini e ridicoli», accusando Tommasi di essere un «falso perbenista» e gli immigrati cinesi di aver rovinato la città. Infine è apparsa la scritta tra le svastiche.
Tommasi ha cercato di sdrammatizzare, rispondendo con una lettera in cui invita questi «ragazzi» a «cercare su internet le immagini di Auschwitz, a respirarne l’orrore, e sarete voi per primi a seppellire la svastica nella spazzatura della storia».
E' SCOMPARSO LELLO PERUGIA
E' scomparso all'età di 91 anni uno degli ultimi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz. Figura storica della comunità ebraica, fu comandante partigiano e ex medaglia d'oro della Resistenza
Lello Perugia, uno degli ex deportati ad Auschwitz, è morto martedì notte all'ospedale San Camillo di Roma. Ex comandante partigiano e medaglia d'oro alla Resistenza, Lello Perugia era nato a Roma il 31 ottobre 1919: perseguitato politico, venne rinchiuso nel carcere di via Tasso e in quello di Regina Coeli. Successivamente fu dirigente dell'Anpi e dell'Aned.
La sua figura ispirò il personaggio di Cesare ne 'La tregua', il libro di Primo Levi, in cui viene narrato il viaggio di ritorno dal campo di sterminio di Auschwitz compiuto, a proprie spese, dallo scrittore e da Perugia. Dal libro fu realizzato un film in cui l'ex deportato era interpretato da Massimo Ghini. Perugia è stato anche Piero Sonnino nel celebre libro 'Se questo è un uomo', sempre di Levi
Lello Perugia, uno degli ex deportati ad Auschwitz, è morto martedì notte all'ospedale San Camillo di Roma. Ex comandante partigiano e medaglia d'oro alla Resistenza, Lello Perugia era nato a Roma il 31 ottobre 1919: perseguitato politico, venne rinchiuso nel carcere di via Tasso e in quello di Regina Coeli. Successivamente fu dirigente dell'Anpi e dell'Aned.
La sua figura ispirò il personaggio di Cesare ne 'La tregua', il libro di Primo Levi, in cui viene narrato il viaggio di ritorno dal campo di sterminio di Auschwitz compiuto, a proprie spese, dallo scrittore e da Perugia. Dal libro fu realizzato un film in cui l'ex deportato era interpretato da Massimo Ghini. Perugia è stato anche Piero Sonnino nel celebre libro 'Se questo è un uomo', sempre di Levi
mercoledì 24 novembre 2010
IL COMUNE DI MILANO DA' UNA SECONDA SEDE A FORZA NUOVA !
La sede che Forza nuova ha annunciato di voler aprile il 18 dicembre nel centro di Milano si trova in Corso Buenos Aires 19/20 ed è di proprietà del Comune. A dircelo sono gli stessi militanti del partito neofascista che sul forum Vivamafarka, imprudentemente (il camerata “Barracuda” non fa certo parte della categoria dei più furbi), hanno pubblicato il 24 novembre la scansione del documento del settore Demanio e patrimonio del Comune, oscurando inutilmente (si tratta di atti facilmente consultabili) con una riga di pennarello nero l’indirizzo esatto.
Nell’atto, protocollato e con tanto di marca da bollo è ufficializzata la “concessione di favore di Forza nuova dell’unità immobiliare di proprietà del Comune sita in Corso Buenos Aires 19/20 da destinare a ufficio (anche aperto al pubblico)”. L'affitto che verrà corrisposto sarà di 19.250 euro.
tratto dal sito osservatoriodemocratico.org
PARTECIPATE AI FORUM CONGRESSUALI
Il futuro dell' ANPI. Partono due forum di discussione sul congresso della nostra associazione. L'iniziativa è promossa dall' ANPI LOMBARDIA.
Due i primi interventi prodotti:
“ANPI Casa degli antifascisti e dei democratici”
Il primo intervento di Antonio Pizzinato, Presidente ANPI Lombardia.
“Il ruolo e l’iniziativa dell’ANPI nel 150° dell’Unità d’Italia”
Il primo intervento di Roberto Cenati, Vice responsabile Gruppo memoria storica ANPI Lombardia.
CLICCATE SUL LINK SOTTOSTANTE !
http://lombardia.anpi.it/lombardia.php?title=il_futuro_dell_anpi_partono_i_due_forum_&more=1&c=1&tb=1&pb=1
Due i primi interventi prodotti:
“ANPI Casa degli antifascisti e dei democratici”
Il primo intervento di Antonio Pizzinato, Presidente ANPI Lombardia.
“Il ruolo e l’iniziativa dell’ANPI nel 150° dell’Unità d’Italia”
Il primo intervento di Roberto Cenati, Vice responsabile Gruppo memoria storica ANPI Lombardia.
CLICCATE SUL LINK SOTTOSTANTE !
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ANCORA A VOGHERA
I promotori del Comitato unitario “per dignità non per odio” lo scorso sabato pomeriggio sono stati immediatamente informati circa la grave provocazione messa in atto ai danni di un giovane cittadino vogherese da parte di un soggetto identificato quale militante del gruppo di estrema destra skin-head. Per accordi presi con il giovane aggredito, che in alcune occasioni ha partecipato ai presidi di protesta contro la targa, i promotori del Comitato hanno scelto di non rilasciare dichiarazioni sull'accaduto, per evitare strumentalizzazioni o prestare il fianco a fantasiose ricostruzioni come peraltro già apparse su alcuni media.
Quello che come Comitato vorremmo far emergere è che l’uso della violenza da parte di talune formazioni della destra estrema è abituale, teorizzato, rivendicato e agito con la precisa finalità di ottenere la non-agibilità politica ma anche territoriale e fisica, di quelli che essi considerano nemici, “zecche”, rottami antifascisti. Le caratteristiche e le modalità delle loro azioni sono ben note alle forze dell’ordine e alle Procure, anche nella nostra Provincia, visto che recentemente per oltre un anno e mezzo Pavia ha vissuto quasi quotidianamente intimidazioni e aggressioni da parte di questi soggetti.
Niente di più lontano dalla protesta pacifica e composta che da oltre due mesi vede un ampio schieramento di Associazioni, forze politiche, sindacali, sociali, culturali e privati cittadini mobilitati in numero sempre crescente contro il subdolo e velenoso tentativo di sovvertire la Storia messo in atto dall’Amministrazione Comunale con la decisione di autorizzare la posa di una targa a sei brigatisti neri e sicheraisti, ossia di effettivi di reparti della Repubblica di Salò e delle cosiddette SS italiane.
Il Comitato unitario “per dignità non per odio”, che pratica i principi della non-violenza e che opera con gli strumenti della dialettica democratica, sarà fermissimo nel respingere ogni tentativo di infangare quella che è una doverosa protesta civile in difesa dei valori su cui è risorta l’Italia dopo la dittatura e la barbarie del nazifascismo. Nessuno deve pensare di poter riuscire a banalizzare ponderate argomentazioni riducendole ad uno scontro tra fazioni o, peggio, tra rossi e neri come ci è persino toccato di leggere nei titoli di alcuni giornali.
Auspichiamo- conclude la nota - una netta presa di posizione del Sindaco, della Giunta e dell’intero Consiglio comunale che chiamiamo a dichiarare pubblicamente, e subito, la condanna di atti di intimidazione e aggressione come quello accaduto lo scorso sabato, ma anche di dichiarazioni apertamente apologetiche del ricorso alla violenza. L’Amministrazione vogherese è tenuta ad operare con il massimo impegno per garantire la libera e pacifica espressione dei cittadini che continueranno a dare voce al dissenso contro la permanenza davanti al Castello della targa.
Il comitato ribadisce quanto già più volte sottolineato, ossia la grande preoccupazione che a Voghera si stia raccogliendo una realtà preoccupante per la sicurezza pubblica caratterizzata dalla presenza di estremisti di destra riconducibili ad organizzazioni neo-fasciste e neo-naziste, tra cui figurerebbero anche elementi colpiti da provvedimenti di diffida a circolare e soggiornare nel territorio del Comune di Pavia.
Il Comitato ringrazia infine le Forze di Pubblica Sicurezza, i Carabinieri e la Polizia Locale che da due mesi a questa parte vigilano con la loro presenza sul tranquillo svolgimento del presidio settimanale e delle pubbliche lezioni di storia ad esso collegate.
I promotori del Comitato Unitario “per dignità non per odio”
Comitato Unitario Voghera e Oltrepò Pavese. "per dignità non per odio"
c\o ANPI - Via Bellocchio, 18. 27058 Voghera
Quello che come Comitato vorremmo far emergere è che l’uso della violenza da parte di talune formazioni della destra estrema è abituale, teorizzato, rivendicato e agito con la precisa finalità di ottenere la non-agibilità politica ma anche territoriale e fisica, di quelli che essi considerano nemici, “zecche”, rottami antifascisti. Le caratteristiche e le modalità delle loro azioni sono ben note alle forze dell’ordine e alle Procure, anche nella nostra Provincia, visto che recentemente per oltre un anno e mezzo Pavia ha vissuto quasi quotidianamente intimidazioni e aggressioni da parte di questi soggetti.
Niente di più lontano dalla protesta pacifica e composta che da oltre due mesi vede un ampio schieramento di Associazioni, forze politiche, sindacali, sociali, culturali e privati cittadini mobilitati in numero sempre crescente contro il subdolo e velenoso tentativo di sovvertire la Storia messo in atto dall’Amministrazione Comunale con la decisione di autorizzare la posa di una targa a sei brigatisti neri e sicheraisti, ossia di effettivi di reparti della Repubblica di Salò e delle cosiddette SS italiane.
Il Comitato unitario “per dignità non per odio”, che pratica i principi della non-violenza e che opera con gli strumenti della dialettica democratica, sarà fermissimo nel respingere ogni tentativo di infangare quella che è una doverosa protesta civile in difesa dei valori su cui è risorta l’Italia dopo la dittatura e la barbarie del nazifascismo. Nessuno deve pensare di poter riuscire a banalizzare ponderate argomentazioni riducendole ad uno scontro tra fazioni o, peggio, tra rossi e neri come ci è persino toccato di leggere nei titoli di alcuni giornali.
Auspichiamo- conclude la nota - una netta presa di posizione del Sindaco, della Giunta e dell’intero Consiglio comunale che chiamiamo a dichiarare pubblicamente, e subito, la condanna di atti di intimidazione e aggressione come quello accaduto lo scorso sabato, ma anche di dichiarazioni apertamente apologetiche del ricorso alla violenza. L’Amministrazione vogherese è tenuta ad operare con il massimo impegno per garantire la libera e pacifica espressione dei cittadini che continueranno a dare voce al dissenso contro la permanenza davanti al Castello della targa.
Il comitato ribadisce quanto già più volte sottolineato, ossia la grande preoccupazione che a Voghera si stia raccogliendo una realtà preoccupante per la sicurezza pubblica caratterizzata dalla presenza di estremisti di destra riconducibili ad organizzazioni neo-fasciste e neo-naziste, tra cui figurerebbero anche elementi colpiti da provvedimenti di diffida a circolare e soggiornare nel territorio del Comune di Pavia.
Il Comitato ringrazia infine le Forze di Pubblica Sicurezza, i Carabinieri e la Polizia Locale che da due mesi a questa parte vigilano con la loro presenza sul tranquillo svolgimento del presidio settimanale e delle pubbliche lezioni di storia ad esso collegate.
I promotori del Comitato Unitario “per dignità non per odio”
Comitato Unitario Voghera e Oltrepò Pavese. "per dignità non per odio"
c\o ANPI - Via Bellocchio, 18. 27058 Voghera
lunedì 22 novembre 2010
sabato 20 novembre 2010
MANIFESTAZIONE CGIL PER I GIOVANI ED IL LAVORO. ADESIONE DELL'ANPI.
"L’ANPI aderisce con piena e appassionata convinzione alla manifestazione nazionale “Il futuro è dei giovani e del lavoro” promossa dalla CGIL per il 27 novembre a Roma". Inizia così un comunicato della Presidenza e della Segreteria nazionale dell'Anpi che così prosegue: "La nostra Associazione vive con profonda preoccupazione e indignazione i gravi effetti che la crisi economica ha prodotto e sta producendo nella vita di tanti lavoratori italiani, in particolare dei giovani. Precariato e disoccupazione sono un macigno che grava, come mai prima d’oggi, sulle speranze dei nostri ragazzi di costruirsi un normale progetto di vita. Questo è un fatto intollerabile per ogni nazione civile. Intollerabile, ancor di più, la condotta del governo che ha minimizzato la crisi, evitando di assumere di fatto i provvedimenti necessari a fronteggiarla".
La presa di posizione dell'Anpi così si conclude: "Favorito da queste nefaste e assenti politiche del governo, forte è l’attacco alla funzione costituzionale del sindacato, tale da consentire che tanti contratti non siano rinnovati. Si opera, da parte delle stesse destre - in modo aperto, cinico e spregiudicato - per la divisione sindacale oltre che per favorire soluzioni alle vertenze unilaterali e non contrattate, col risultato della pesante riduzione, quando non negazione, dei diritti. L’ANPI e l’antifascismo sono in campo a difesa della centralità e della dignità del lavoro e della imprescindibile funzione del sindacato, per la piena attuazione della Costituzione".
venerdì 19 novembre 2010
ENNESIMA RIUNIONE FASCISTA A MILANO. INVITATA LA MORATTI.
Letizia Moratti sarà presente domenica 21 novembre, a Milano, al convegno organizzato presso l’hotel Cavalieri da La Destra di Storace al quale parteciperanno, fra gli altri, Adriano Tilgher (già capo del Fronte Sociale Nazionale, un tempo in Avanguardia Nazionale, nonché braccio destro di Stefano Delle Chiaie) e Francesco Cappuccio (portavoce di Casa Pound Lombardia, ex capo del famigerato gruppo Cuore Nero di Milano).
Si tratta dell’ ennesima riunione fascista, in poche settimane, a Milano, città Medaglia d'oro della Resistenza. Il fatto politicamente più grave, che offende la Milano democratica e antifascista, è l'annunciata presenza del Sindaco, che ha già incassato l’appoggio de La Destra per le prossime elezioni comunali.
tratto da www.osservatoriodemocratico.org
Si tratta dell’ ennesima riunione fascista, in poche settimane, a Milano, città Medaglia d'oro della Resistenza. Il fatto politicamente più grave, che offende la Milano democratica e antifascista, è l'annunciata presenza del Sindaco, che ha già incassato l’appoggio de La Destra per le prossime elezioni comunali.
tratto da www.osservatoriodemocratico.org
LA STRAGE DI BRESCIA
L'Anpi provinciale di Brescia esprime profonda indignazione per le parole pronunciate alla Camera dei deputati dall'on. Viviana Beccalossi, la quale, come si legge nella trascrizione stenografica del dibattito svoltosi in aula, pubblicata sul sito www.camera.it, ha così dichiarato: "Io mi sento, da militante della destra italiana... ferita tanto quanto coloro che non hanno avuto giustizia...Chiedo che si ricordino... anche coloro che, seppure non fisicamente, sono caduti politicamente su finte verità che qualcuno ha voluto perseguire per 36 anni... Probabilmente, se per trentasei anni non avessimo insistito a seguire le indagini solo in una direzione, oggi la verità sarebbe più vicina per tutti i bresciani".
Il mancato raggiungimento della verità giudiziaria sarebbe, secondo la deputata bresciana, il risultato di indagini condotte a senso unico, cioè in direzione della sola destra estrema.
Sfugge all'on. Beccalossi che la sentenza di assoluzione con formula dubitativa pronunciata dalla Corte d'Assise di Brescia - della quale leggeremo le motivazioni - è frutto della difficoltà, a 36 anni di distanza e dopo una lunga serie di depistaggi, omertà, omissioni, silenzi e occultamenti della verità, di ricostruire una responsabilità individuale degli imputati, oltre ogni ragionevole dubbio.
Il processo svoltosi a Brescia, grazie allo straordinario impegno della Magistratura inquirente (nelle persone dei P.M. Francesco Piantoni e Roberto Di Martino) e di tutti gli avvocati di parte civile, ha, tuttavia, inequivocabilmente confermato, come dimostrano gli atti processuali, che la bomba di piazza della Loggia sia da ascrivere alla matrice della destra eversiva; verità storica ormai acquisita nella coscienza democratica del nostro Paese.
Alla luce delle parole pronunciate dall'on. Beccalossi, l'Anpi - associazione depositaria dei valori della Resistenza, trasfusi nella Costituzione repubblicana del 1948 - non può che segnalare con allarme il fatto che i tentativi di depistaggio, pur dopo 36 anni di distanza dalla terribile strage fascista del 28 maggio 1974, siano drammaticamente ancora in atto.
Sorge il dubbio -conclude la nota dell'Anpi Bresciano - che vi sia la volontà da parte di qualcuno di lavare Piazza della Loggia non più con gli idranti, ma attraverso la violenza mistificatrice delle parole.
L' ANPI A " L' INFEDELE " DI GAD LERNER
L'ANPI parteciperà - con interventi di suoi giovani iscritti - alla puntata de "L'Infedele" di lunedì 22 novembre, in onda su La7 alle ore 21.
Il tema sarà il revisionismo.
Non mancate l'appuntamento!
Per ora cliccate sul link sottostante per vedere l'anteprima.
http://www.la7.it/infedele/pvideo-stream?id=i359060
mercoledì 17 novembre 2010
APPELLO ALLA SOLIDARIETA'
Una delegazione dell'A.N.P.I delle sezioni di Bovisio Masciago, Carate Brianza e Monza ha partecipato all'assemblea promossa dal Comitato migranti che sostiene i lavoratori immigrati arrampicati sulla Torre della ex Carlo Erba di Milano.
"Meno male! Era ora! Siamo molto contenti che l'A.N.P.I. si sia fatta viva!" Con queste parole, Il 15 novembre, Jorge, incaricato di raccogliere le adesioni e tenere i contatti con le associazioni ha accolto la delegazione dell’Anpi. Che è stata informata della “fermissima intenzione” degli immigrati a proseguire la lotta fino all'ottenimento dei permessi di soggiorno. Lotta che – lo hanno ribadito più volte - sarà sempre e soltanto pacifica e non violenta. “Al di là di quello che è successo veramente a Brescia, anche se un po' diverso da quello che hanno raccontato tv e giornali”. Al termine dell’incontro è stato lanciato un appello sia a esercitare il massimo della pressione sulle istituzioni, sia a trovare forme di aiuto concreto per sostenere la protesta.
Il Comitato migranti chiede teloni impermeabili ed indumenti impermeabili, polistirolo per impedire infiltrazioni d'acqua nei tendoni, coperte, generi alimentari. Chiedono anche la disponibilità ad artisti, musicisti ed attori, ad esibirsi gratuitamente nell’area sottostante.
tratto dal sito nazionale dell'ANPI
"Meno male! Era ora! Siamo molto contenti che l'A.N.P.I. si sia fatta viva!" Con queste parole, Il 15 novembre, Jorge, incaricato di raccogliere le adesioni e tenere i contatti con le associazioni ha accolto la delegazione dell’Anpi. Che è stata informata della “fermissima intenzione” degli immigrati a proseguire la lotta fino all'ottenimento dei permessi di soggiorno. Lotta che – lo hanno ribadito più volte - sarà sempre e soltanto pacifica e non violenta. “Al di là di quello che è successo veramente a Brescia, anche se un po' diverso da quello che hanno raccontato tv e giornali”. Al termine dell’incontro è stato lanciato un appello sia a esercitare il massimo della pressione sulle istituzioni, sia a trovare forme di aiuto concreto per sostenere la protesta.
Il Comitato migranti chiede teloni impermeabili ed indumenti impermeabili, polistirolo per impedire infiltrazioni d'acqua nei tendoni, coperte, generi alimentari. Chiedono anche la disponibilità ad artisti, musicisti ed attori, ad esibirsi gratuitamente nell’area sottostante.
tratto dal sito nazionale dell'ANPI
QUANDO DI ETICA NON SI PARLAVA MA SI PRATICAVA
Si discute di etica, di moralità, ed anche del rapporto tra queste due parole e la politica. Se ne parla ovunque, persino nelle chiacchiere tra amici (segno che il tema è diventato “il problema” del Paese) soprattutto dopo che è venuta clamorosamente allo scoperto l’impresentabilità morale della figura del Presidente del Consiglio. La qualità del rapporto tra comportamento personale e ruolo istituzionale sta diventando elemento tanto pesante da ricacciare in secondo piano il giudizio sul fallimento delle politiche praticate dal suo governo.
Da qualche tempo alcuni intellettuali hanno cominciato a porsi delle domande sui motivi che hanno visto questo Paese precipitare da momenti alti - che hanno visto un popolo sostanzialmente unito pur nelle differenti convinzioni politiche, impegnarsi generosamente e disinteressatamente nella ricostruzione materiale dopo la fine di una guerra rovinosa, oltre che nel recupero della stima del mondo - all’attuale avvilente situazione.
Leggo tentativi di ricerca delle cause, anche lontane, di questo scivolamento al quale nessuna forza è stata in grado di opporsi ed anzi ha incontrato benevolenza, entusiastici consensi, tutt’al più deboli critiche come se il fascino delle presunte nuove istanze di modernità fossero riuscite ad incantare anche chi avrebbe dovuto possedere strumenti sufficienti per valutarle criticamente – qualche critica, più forte, è rimasta isolata.
Per cercare di capire, si è risaliti al carattere e alla storia degli italiani, alle cause profonde.
Penso che le persone della mia età, che hanno vissuto la guerra, la Resistenza, il periodo successivo segnato dagli sforzi immani compiuti per rimettere in piedi il Paese, non possono evitare di iscrivere almeno due motivi nell’elenco delle cause dell’attuale degrado,
Negli italiani c’è stata (forse sta riemergendo?) una forte capacità di indignarsi. Alla mia generazione è stata rivelata dalla catastrofe dell’ 8 settembre. Dalla reazione dei ragazzi che nelle caserme, abbandonati senza ordini dai comandi militari, primo fra tutti il capo supremo delle forze armate sua maestà il re Vittorio Emanuele III, spaventati ma soprattutto disgustati dal comportamento di chi avrebbe avuto il dovere di guidarli, hanno deciso di non consegnarsi ai tedeschi e di salire in montagna con le loro poche armi, senza avere ancora idee chiare su cosa avrebbero potuto fare e come, ma con un’idea precisa in testa: bisognava opporsi, reagire. La loro è stata una scelta morale.
E’ stata una scelta morale quella fatta da chi ha lasciato la casa di città, quel minimo di sicurezza che offriva pur sotto i bombardamenti e la cupa occupazione nazista, ed ha preso la strada della montagna. Capire dove stava il bene e il giusto è stato semplice per chi non aveva perduto o aveva ritrovato, davanti alla gravità degli avvenimenti, la capacità di indignarsi, di superare le domande sul prezzo che avrebbe dovuto personalmente pagare per quella decisione. Magari, al momento della scelta, non erano chiarissimi il sentimento dell’obbligo di assumersi responsabilità verso il Paese, né l’ ansia di riscattare una dignità e un rispetto perduti di fronte al mondo. Ancor meno chiara era la percezione che ognuno stava decidendo di schierarsi su un fronte della politica, ma di questo si trattava stante che la Resistenza avrebbe modificato l’esito della guerra, il giudizio sul nostro Paese e la posizione che l’Italia avrebbe avuto nel mondo.
Dunque in quel momento ciascuno si è trovato di fronte a una decisione strettamente personale, dalla quale dipendeva la sua vita, ed era allo stesso tempo morale e politica. Qualcuno si è nascosto, qualcun altro ha preferito consegnarsi ai tedeschi sperando di salvarsi la vita, chi possedeva abbastanza stima di sé e senso morale ha scelto la Resistenza.
Perché quella prima scelta potesse confermarsi e consolidarsi, è stata necessaria la presenza di uomini dotati di esperienza militare o politica, o tutt’e due, che si costituisse in qualche modo come classe dirigente, nel senso di sapere organizzare, governare, indirizzare, motivare le ragioni stesse di quel movimento in gran parte spontaneo.
Il Paese uscito da quei venti mesi, insieme alla gioia per la pace ritrovata e l’urgenza di partecipare alla costruzione di un mondo più giusto, portava in sé l’eredità di quelle norme di comportamento. La nuova classe dirigente era composta da uomini che certamente avevano idee politiche anche assai distanti tra loro, ma tutti erano egualmente convinti di alcuni principi e comportamenti; troppo noti per essere ricordati. E a parte i principi di fondo, che si possono riassumere nella fedeltà alla Costituzione, mi sembra giusto sottolineare il profondo disinteresse personale, l’ambizione di fare l’interesse del Paese sopra ogni altra cosa, l’ignoranza del privilegio. E molte altre cose di questo genere. Li incontravi per strada, qualcuno anche in autobus, vestiti decorosamente, quasi poveramente. Tutto il loro tempo e i loro pensieri erano chiaramente, interamente assorbiti dai terribili problemi lasciati dalla guerra. Sicuramente nessuno di loro ha mai trascorso una serata in una balera, che erano le popolari discoteche di allora.
Tempi lontani? Questione dei tremendi impegni che la ricostruzione poneva? Certo anche questo. Aggiungerei magari anche l’abitudine alle privazioni e alla sobrietà imposti dalla clandestinità dalla quale i più pervenivano. Ma alla base di tutto c’era l’idea della politica come servizio. Questo era il punto: che ha improntato di sé almeno due generazioni. La perdita di questo spirito che accomunava classe dirigente e popolo è il problema di oggi.
Sono stata una di quei funzionari del partito comunista dei quali si è detto tutto il male possibile. Una di quelli chiamati spregiativamente “professionisti della politica”. Oggi c’è forse una parte di verità in questa definizione, spesso ci si iscrive a una carriera più che a un partito e questo fa parte del degrado. Ma, riguardo agli anni in cui si imparava la politica, posso testimoniare che la spinta a impegnarsi totalmente era tutt’altra cosa. I funzionari erano operai che potevano permettersi di fare quella scelta perché c’era una moglie che lavorava e garantiva il mantenimento della famiglia. Erano ragazzi, studenti che potevano contare sui genitori. Lo stipendio del partito, equiparato al salario di un operaio di non ricordo quale categoria, spesso non pagato, era irrisorio.
La coscienza di essere al servizio della politica e di dovere costantemente dimostrarlo a chi ti seguiva era talmente forte da rasentare l’eccesso. Fu certamente eccessivamente austero il comportamento di mio padre che, nominato alla Liberazione direttore nella fabbrica dove aveva lavorato come operaio collaudatore, licenziato per ordine della Fiat che considerava finito il tempo dei direttori politici , distribuì la liquidazione, lauta per quei tempi, tra Camera del Lavoro, partito, ANPI , associazioni varie, trattenendo neppure una lira per sé. Oggi dico “eccessivo”, allora una tale decisione veniva considerata del tutto normale. Che io ricordi, non si facevano dibattiti sull’etica, l’etica semplicemente si praticava.
Quando, come e perché tra un simile spirito di servizio e l’oggi si spalancò un tale baratro? Cos’è accaduto perché il senso della politica venisse rovesciato e trasformato in qualcosa del quale servirsi per raggiungere privilegi, posti, carriere?
Certo lo scivolamento non fu improvviso, ma fu tutto sommato abbastanza veloce. Ho nella memoria due momenti e una parola, dai quali faccio discendere la consapevolezza che qualcosa di profondo stava cambiando e il mondo che stava arrivando non era più il mio. A quel mondo ero estranea. La parola è “moralismo”. Erano i primi anni Ottanta e, nel luogo in cui lavoravo, una persona della quale avevo grandissima stima a una mia osservazione rispose “questo è moralismo!” La parola diventò in breve il leitmotiv che mi sentii rinfacciare ogni qualvolta esprimevo indignazione per questo o quel comportamento. Stavano arrivando gli anni della Milano da bere e la parola d’ordine era “arricchitevi”, il come non era questione di cui occuparsi.
Erano anni confusi, dove si mescolavano molte idee anche contraddittorie ma forse non tanto. Il figlio della persona che rivelò il mio moralismo, apparteneva ai gruppi che praticavano la “spesa proletaria”. Mi venne data una spiegazione: noi eravamo la generazione dei doveri, loro quella dei diritti.
Direi che, fatte salve tutte le opinioni sul carattere degli italiani, sulla storia di questo Paese, sulla nascita traumatica dell’Italia unita (alla quale, mi permetto di osservare, poté tuttavia seguire un periodo come quello della Resistenza e della ricostruzione, quando la generosità e il sentimento del bene comune ebbero nuovamente la meglio) un decennio come quello che ho ricordato non è da sottovalutare. Secondo me lo slittamento cominciò o ebbe comunque un’accelerazione in quegli anni. Purtroppo l’accelerazione si è sviluppata anche in ampiezza avvelenando una parte grande di questo Paese. Tanto grande e tanto profondamente che la domanda adesso è: quante generazioni saranno necessarie perché cominci a rifiorire una civiltà dei sentimenti e dei comportamenti che riporti l’Italia alla grande cultura di cui è stata pure portatrice?
Marisa Ombra
Vice Presidente Nazionale dell’ANPI
Da qualche tempo alcuni intellettuali hanno cominciato a porsi delle domande sui motivi che hanno visto questo Paese precipitare da momenti alti - che hanno visto un popolo sostanzialmente unito pur nelle differenti convinzioni politiche, impegnarsi generosamente e disinteressatamente nella ricostruzione materiale dopo la fine di una guerra rovinosa, oltre che nel recupero della stima del mondo - all’attuale avvilente situazione.
Leggo tentativi di ricerca delle cause, anche lontane, di questo scivolamento al quale nessuna forza è stata in grado di opporsi ed anzi ha incontrato benevolenza, entusiastici consensi, tutt’al più deboli critiche come se il fascino delle presunte nuove istanze di modernità fossero riuscite ad incantare anche chi avrebbe dovuto possedere strumenti sufficienti per valutarle criticamente – qualche critica, più forte, è rimasta isolata.
Per cercare di capire, si è risaliti al carattere e alla storia degli italiani, alle cause profonde.
Penso che le persone della mia età, che hanno vissuto la guerra, la Resistenza, il periodo successivo segnato dagli sforzi immani compiuti per rimettere in piedi il Paese, non possono evitare di iscrivere almeno due motivi nell’elenco delle cause dell’attuale degrado,
Negli italiani c’è stata (forse sta riemergendo?) una forte capacità di indignarsi. Alla mia generazione è stata rivelata dalla catastrofe dell’ 8 settembre. Dalla reazione dei ragazzi che nelle caserme, abbandonati senza ordini dai comandi militari, primo fra tutti il capo supremo delle forze armate sua maestà il re Vittorio Emanuele III, spaventati ma soprattutto disgustati dal comportamento di chi avrebbe avuto il dovere di guidarli, hanno deciso di non consegnarsi ai tedeschi e di salire in montagna con le loro poche armi, senza avere ancora idee chiare su cosa avrebbero potuto fare e come, ma con un’idea precisa in testa: bisognava opporsi, reagire. La loro è stata una scelta morale.
E’ stata una scelta morale quella fatta da chi ha lasciato la casa di città, quel minimo di sicurezza che offriva pur sotto i bombardamenti e la cupa occupazione nazista, ed ha preso la strada della montagna. Capire dove stava il bene e il giusto è stato semplice per chi non aveva perduto o aveva ritrovato, davanti alla gravità degli avvenimenti, la capacità di indignarsi, di superare le domande sul prezzo che avrebbe dovuto personalmente pagare per quella decisione. Magari, al momento della scelta, non erano chiarissimi il sentimento dell’obbligo di assumersi responsabilità verso il Paese, né l’ ansia di riscattare una dignità e un rispetto perduti di fronte al mondo. Ancor meno chiara era la percezione che ognuno stava decidendo di schierarsi su un fronte della politica, ma di questo si trattava stante che la Resistenza avrebbe modificato l’esito della guerra, il giudizio sul nostro Paese e la posizione che l’Italia avrebbe avuto nel mondo.
Dunque in quel momento ciascuno si è trovato di fronte a una decisione strettamente personale, dalla quale dipendeva la sua vita, ed era allo stesso tempo morale e politica. Qualcuno si è nascosto, qualcun altro ha preferito consegnarsi ai tedeschi sperando di salvarsi la vita, chi possedeva abbastanza stima di sé e senso morale ha scelto la Resistenza.
Perché quella prima scelta potesse confermarsi e consolidarsi, è stata necessaria la presenza di uomini dotati di esperienza militare o politica, o tutt’e due, che si costituisse in qualche modo come classe dirigente, nel senso di sapere organizzare, governare, indirizzare, motivare le ragioni stesse di quel movimento in gran parte spontaneo.
Il Paese uscito da quei venti mesi, insieme alla gioia per la pace ritrovata e l’urgenza di partecipare alla costruzione di un mondo più giusto, portava in sé l’eredità di quelle norme di comportamento. La nuova classe dirigente era composta da uomini che certamente avevano idee politiche anche assai distanti tra loro, ma tutti erano egualmente convinti di alcuni principi e comportamenti; troppo noti per essere ricordati. E a parte i principi di fondo, che si possono riassumere nella fedeltà alla Costituzione, mi sembra giusto sottolineare il profondo disinteresse personale, l’ambizione di fare l’interesse del Paese sopra ogni altra cosa, l’ignoranza del privilegio. E molte altre cose di questo genere. Li incontravi per strada, qualcuno anche in autobus, vestiti decorosamente, quasi poveramente. Tutto il loro tempo e i loro pensieri erano chiaramente, interamente assorbiti dai terribili problemi lasciati dalla guerra. Sicuramente nessuno di loro ha mai trascorso una serata in una balera, che erano le popolari discoteche di allora.
Tempi lontani? Questione dei tremendi impegni che la ricostruzione poneva? Certo anche questo. Aggiungerei magari anche l’abitudine alle privazioni e alla sobrietà imposti dalla clandestinità dalla quale i più pervenivano. Ma alla base di tutto c’era l’idea della politica come servizio. Questo era il punto: che ha improntato di sé almeno due generazioni. La perdita di questo spirito che accomunava classe dirigente e popolo è il problema di oggi.
Sono stata una di quei funzionari del partito comunista dei quali si è detto tutto il male possibile. Una di quelli chiamati spregiativamente “professionisti della politica”. Oggi c’è forse una parte di verità in questa definizione, spesso ci si iscrive a una carriera più che a un partito e questo fa parte del degrado. Ma, riguardo agli anni in cui si imparava la politica, posso testimoniare che la spinta a impegnarsi totalmente era tutt’altra cosa. I funzionari erano operai che potevano permettersi di fare quella scelta perché c’era una moglie che lavorava e garantiva il mantenimento della famiglia. Erano ragazzi, studenti che potevano contare sui genitori. Lo stipendio del partito, equiparato al salario di un operaio di non ricordo quale categoria, spesso non pagato, era irrisorio.
La coscienza di essere al servizio della politica e di dovere costantemente dimostrarlo a chi ti seguiva era talmente forte da rasentare l’eccesso. Fu certamente eccessivamente austero il comportamento di mio padre che, nominato alla Liberazione direttore nella fabbrica dove aveva lavorato come operaio collaudatore, licenziato per ordine della Fiat che considerava finito il tempo dei direttori politici , distribuì la liquidazione, lauta per quei tempi, tra Camera del Lavoro, partito, ANPI , associazioni varie, trattenendo neppure una lira per sé. Oggi dico “eccessivo”, allora una tale decisione veniva considerata del tutto normale. Che io ricordi, non si facevano dibattiti sull’etica, l’etica semplicemente si praticava.
Quando, come e perché tra un simile spirito di servizio e l’oggi si spalancò un tale baratro? Cos’è accaduto perché il senso della politica venisse rovesciato e trasformato in qualcosa del quale servirsi per raggiungere privilegi, posti, carriere?
Certo lo scivolamento non fu improvviso, ma fu tutto sommato abbastanza veloce. Ho nella memoria due momenti e una parola, dai quali faccio discendere la consapevolezza che qualcosa di profondo stava cambiando e il mondo che stava arrivando non era più il mio. A quel mondo ero estranea. La parola è “moralismo”. Erano i primi anni Ottanta e, nel luogo in cui lavoravo, una persona della quale avevo grandissima stima a una mia osservazione rispose “questo è moralismo!” La parola diventò in breve il leitmotiv che mi sentii rinfacciare ogni qualvolta esprimevo indignazione per questo o quel comportamento. Stavano arrivando gli anni della Milano da bere e la parola d’ordine era “arricchitevi”, il come non era questione di cui occuparsi.
Erano anni confusi, dove si mescolavano molte idee anche contraddittorie ma forse non tanto. Il figlio della persona che rivelò il mio moralismo, apparteneva ai gruppi che praticavano la “spesa proletaria”. Mi venne data una spiegazione: noi eravamo la generazione dei doveri, loro quella dei diritti.
Direi che, fatte salve tutte le opinioni sul carattere degli italiani, sulla storia di questo Paese, sulla nascita traumatica dell’Italia unita (alla quale, mi permetto di osservare, poté tuttavia seguire un periodo come quello della Resistenza e della ricostruzione, quando la generosità e il sentimento del bene comune ebbero nuovamente la meglio) un decennio come quello che ho ricordato non è da sottovalutare. Secondo me lo slittamento cominciò o ebbe comunque un’accelerazione in quegli anni. Purtroppo l’accelerazione si è sviluppata anche in ampiezza avvelenando una parte grande di questo Paese. Tanto grande e tanto profondamente che la domanda adesso è: quante generazioni saranno necessarie perché cominci a rifiorire una civiltà dei sentimenti e dei comportamenti che riporti l’Italia alla grande cultura di cui è stata pure portatrice?
Marisa Ombra
Vice Presidente Nazionale dell’ANPI
martedì 16 novembre 2010
L' ARTE DELLA RESISTENZA
Due donne nude, dai corpi sofferenti, attendono il loro supplizio in un disegno di Ennio Morlotti del 1945 che sembra inciso con il pugnale. Mentre Aligi Sassu, nel 1941, dipinge nei colori del sangue un uomo fucilato steso a terra ai piedi del suo aguzzino, Renato Birolli immortala, con il suo tratto nervoso, la figura di un vescovo impegnato a benedire un teschio. Così cupo che il celebre storico dell' arte Corrado Maltese non esitò a paragonarlo a Goya. Sono solo alcuni dei 40 disegni della Resistenza che il Museo della Permanente ha allineato per la mostra che mette anche la parola fine alla storia di un' eredità sgradita. Quella del grande critico Mario De Micheli che, negli anni Ottanta, lasciò questo importante fondo di disegni, oltrea 16mila volumi di una biblioteca specializzata, al Comune di Trezzo sull' Adda che oggi, per un cambio di strategia della nuova giunta di centro destra, è stato liquidato, in polemica con gli eredi, e suddiviso fra la Permanente (i disegni) e la Biblioteca di via Senato (i libri). Fortuna sua, la nuova collocazione promette buone cure e una valorizzazione che parte proprio dalla mostra di oggi, dove lotte partigiane e contadini alla fame sono il succo di immagini che fanno accapponare la pelle per il realismo del disegno ma, soprattutto, per la verità dei fatti. Orrori della guerra firmati dai maestri che l' hanno combattuta e da chi l' ha documentata in prima linea, come Bruno Cassinari, autore qui del disegno che fu scelto per la copertina di Uomini e no di Elio Vittorini. In via Turati 34, fino al 9 gennaio. Info 026551445.
Tratto da Repubblica
Tratto da Repubblica
domenica 14 novembre 2010
SOLIDARIETA' AI MIGRANTI
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