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domenica 29 aprile 2012
CARLO SMURAGLIA, MANIFESTAZIONE NAZIONALE 25 APRILE
Ancora una volta, siamo qui a festeggiare il 25 aprile, in tantissimi, molti di più dell’anno scorso, siamo in 50.000, a dispetto di quelli che pensano che la Resistenza e la Liberazione vanno dimenticate.
Purtroppo, in questo anno, molti ci hanno lasciato; Nori Pesce, Stellina Vecchio, Rosario Bentivegna, Miriam Mafai, Giorgio Bocca e tanti altri. Sono qui con noi e li riuniamo tutti in un abbraccio commosso; non li dimenticheremo.
Nei giorni scorsi a Roma al Liceo Avogadro vi è stata la contestazione di un partigiano con domande sciocche e provocazioni puerili da parte di un gruppetto di giovani di destra e chiaramente fascisti.
Ma pochi giorni prima, di fronte al funerale di un eroe della Resistenza, a Roma, c’è stato chi aveva gridato “assassino”; e l’invettiva è stata ripetuta anche da parlamentari e dirigenti del Pdl.
Intanto una buona parte di commercianti milanesi ha preteso di tenere aperti i negozi, come se dall’apertura di questo pomeriggio dipendessero le sorti della crisi e come se fossero indifferenti all’idea di una festa che da tempo è stata dichiarata festa nazionale.
Tutto questo, a tanti anni di distanza, colpisce e preoccupa. In oltre 60 anni non è ancora passata l’idea che la Resistenza è una delle pagine più esaltanti e gloriose della storia del nostro Paese, di cui tutti dovrebbero essere fieri e andare orgogliosi. Continua il negazionismo, continua il revisionismo e l’uso politico della storia.
E intanto, periodicamente, ci parlano di una memoria condivisa; è il colmo dell’ipocrisia: deformare la memoria, negare pagine intere della nostra storia e poi pretendere una sorta di abbraccio generale, che sarebbe ipocrita e falso e rappresenterebbe una vera e propria negazione della storia.
Non perché noi vogliamo fomentare odi e mantenere divisioni, chè anzi siamo convinti che un Paese civile dovrebbe avere una memoria condivisa nel senso di un minimo di patto o di intesa tra forze politiche e forze sociali che individuasse almeno nella liberazione del nostro Paese e nella sua Costituzione le fondamenta per costruire qualcosa di comune, su cui fondare la convivenza civile, la memoria collettiva e su cui potrebbero assumere un senso vero ed attuale le cerimonie, le corone, gli onori resi alle lapidi e ai caduti. Questi ultimi sono certo tutti uguali di fronte alla morte; ma non possono essere uguali davanti alla storia, perché alcuni sono caduti per la libertà ed altri per la sopraffazione e la dittatura. E i loro sogni e le loro speranze troncate non potevano che essere profondamente diversi.
D’altronde, ad impedire una memoria condivisa c’è anche questo continuo rigurgito di neofascismo e neonazismo, in varie forme, in Italia e in Europa, quasi che il processo di liberazione che in forme diverse si è attuato in tutti i Paesi europei tra il ’43 e il ’45 fosse una pagina da dimenticare e superare.
Coloro che fanno manifestazioni fasciste, che inaugurano sedi con saluti e insegne fasciste, che innalzano le insegne di un tragico passato dovrebbero vergognarsi, perché tutto questo sa di orrore e di morte e ci obbliga a ricordare le migliaia di caduti per la libertà i militari uccisi per non aver voluto sottostare alla prepotenza tedesca, i combattenti e deportati, le donne che hanno fatto irruzione nella storia politica, in quel periodo, come mai era caduto nel passato, i contadini e i civili che hanno aiutato i partigiani in ogni momento e di fronte ad ogni difficoltà. E’ un ricordo che nessun revisionismo può cancellare. E’ una memoria che bisogna aiutare a sconfiggere gli insulti del tempo e gli attacchi dei revisionisti; è una memoria da rendere viva, come materia di conoscenza e di riflessione, per tutti coloro che non hanno vissuto quella esperienza, ma amano la democrazia ed aspirano ad un futuro migliore.
Certo, come si può ancora sperare in un Paese degradato e smarrito come il nostro? Come si può reagire contro il degrado politico e morale, contro la corruzione dilagante, contro la conquista da parte delle varie mafie perfino di zone che un tempo ne erano indenni, contro la caduta verticale della politica, contro la perdita del lavoro e la dignità del lavoro, contro le disuguaglianze, il razzismo, la xenofobia, contro una riforma del mercato del lavoro che mira al rovesciamento dell’intero nostro sistema lavorista, costruito in tanti anni di lavoro e di lotta? Come si può reagire contro la stagnazione, contro la crisi, contro lo strapotere delle banche e del mondo finanziario? Con quali strumenti e con quali alleanze?
C’è chi ha proposto con forza il tema delle indignazione: bisogna indignarsi di più, vincere l’indifferenza, l’assenteismo, il rifiuto della politica come tale, e lo scoraggiamento. Abbiamo detto mille volte che siamo d’accordo, che bisogna combattere contro quei nemici della democrazia e reagire allo sconforto e dunque indignarsi di più. Ma abbiamo anche aggiunto che indignarsi non basta, se non si propongono e costruiscono vere alternative, se non si individuano gli strumenti e i mezzi per riportare in primo piano i valori della Costituzione nata dalla Resistenza.
Non ci sono scorciatoie. Le grandi lotte del 68 – 69 avevano obiettivi ambiziosi; i lavoratori scendevano in piazza non solo per difendere i contratti di lavoro o per ottenerne di migliori, ma anche per rivendicare il diritto alla casa, alle riforme sociali necessarie per garantire a tutti lavoro, dignità e sicurezza sociale, per garantire la presenza dei lavoratori e dei loro sindacati nelle fabbriche. E furono raggiunti, nonostante tutto, alcuni obiettivi fondamentali fra i quali vanno sempre ricordato lo statuto dei lavoratori, ma anche la legge sul divorzio, sull’aborto, sul diritto di famiglia, la riforma carceraria del 1975 e così via.
E’ quella della lotta e dell’unità fra le forze antifasciste democratiche l’unica strada che può pagare ed aiutarci ad uscire da questo terribile degrado. Del quale non si esce con la violenza; quando lo si è fatto, a Roma, nell’ottobre scorso, il risultato è stato quello di vanificare perfino una manifestazione pacifica degli indignados, che si stava svolgendo contemporaneamente in tutti i Paesi del mondo. Qualcuno, è bene saperlo, può giocare anche su questo, perfino sulla nostra indignazione. Ed è facile convincersene guardando alla storia, che dimostra quante volte risposte violente ma senza sbocchi alla crisi hanno favorito un ulteriore degrado ed hanno portato il Paese in mano alla destra, al fascismo, al nazismo.
Noi non vogliamo finire così, noi ricordiamo che la liberazione dell’Italia dai tedeschi e fascisti è stata possibile perché tutti sono riusciti a mettere da parte qualcosa dei loro convincimenti e dei propri obiettivi, per cercare di trovare la forza di combattere insieme per un duplice obiettivo: quello della liberazione dai tedeschi e dai fascisti e per la democrazia.
Festeggiare il 25 aprile deve servirci per ricordare quel grande esempio, al quale dobbiamo il privilegio di disporre di una Costituzione tra le più belle ed avanzate del mondo. Una Costituzione rimasta in gran parte inattuata proprio perché l’unità della resistenza si ruppe, e non si trovò più la possibilità di compiere insieme il cammino necessario almeno per realizzare il bene comune ed attualizzare ed attuare i princìpi e i valori costituzionali.
In questi anni abbiamo visto di tutto: gli attacchi alla democrazia, le stragi, il terrorismo; abbiamo visto anche ripetuti attacchi alla stessa carta Costituzionale, con tentativi di modificarla o vanificarla, in forme espliciti o addirittura striscianti. Il Paese ha resistito perché nonostante le divisioni c’è stata almeno una volontà comune di difendere il terreno democratico. Hanno tentato perfino di imporci, come modello, il perseguimento dell’interesse individuale e personale a scapito di quello generale. Ma anche quel tentativo è nella sostanza fallito anche se ha lasciato sul terreno tanti effetti nefasti: non solo gli scandali, ma il disprezzo delle regole, le collusioni con le mafie, la caduta morale e culturale del Paese, il disagio dei cittadini, il distacco crescente nei confronti di questa politica. Ma abbiamo resistito anche a questo ed abbiamo dato tante prove di una volontà di riscatto, come la manifestazione delle donne del 13 febbraio 2011, i successi di forze nuove e democratiche in alcune città come Milano, Cagliari e Napoli (e qui ne abbiamo un esempio con la presenza del Sindaco Pisapia), il successo nei referendum del giugno scorso; l’enorme raccolta di firme per l’abrogazione di un’iniqua legge elettorale, che i partiti non si decidono ancora a modificare in senso favorevole ai cittadini e per restituire ad essi la libertà di decidere e di scegliere.
Su questa strada bisogna insistere, perché non è la strada della sola sinistra, ma è quella di tutti coloro che credono nei valori fondamentali nell’antifascismo, nella Costituzione, nella democrazia.
Ecco perché insistiamo a ripetere che questa giornata è e deve essere la festa di tutti, nel ricordo di un impegno diffuso e comune per la libertà e la democrazia. E’ in nome di quei combattenti, di quei caduti, che oggi dobbiamo assumere l’impegno solenne di fare tutti insieme – nelle istituzioni, nei partiti, nei movimenti, nelle organizzazioni sociali e nella nostra stessa vita quotidiana – tutto ciò che è necessario perché di fascismo non si possa parlare mai più, perché si esca dalla crisi con un progresso dell’intera società e col riconoscimento dei diritti delle categorie finora più disagiate; perché si costruisca un Paese depurato dagli scandali e dalla corruzione dilagante, ma anche ispirato all’equità ed all’utilità sociale, come vuole la nostra Costituzione; un Paese in cui non ci sia posto per disuguaglianze e razzismo, in cui il bene comune prevalga sempre e comunque sugli interessi individuali; in cui insomma i valori a cui oggi ci richiamiamo ricordando la Resistenza, divengano finalmente e fino in fondo i valori e i princìpi su cui si regge la vita, faticosa e difficile, del nostro Paese, nel quadro di un consolidato antifascismo e di una più forte e robusta democrazia.
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