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sabato 31 dicembre 2011
MARIO VATTANI, CONSOLE FASCISTA
"Le ridicole, "nere" esibizioni notturne di Mario Vattani, console italiano in Giappone, non possono non preoccuparci in quanto rivelatrici di un clima di "nostalgismo fascista" che è penetrato fin dentro le istituzioni. L'ANPI, nel richiamare tutte le coscienze sensibili e responsabili ad una vigilanza attiva, non cesserà di condannare fermamente ogni gesto o azione che faccia riferimento a quel momento cupo e criminale della vita del Paese che fu il fascismo, già condannato dalla storia e fuori da ogni consesso che si dica civile e democratico".
CARLO SMURAGLIA - PRESIDENTE NAZIONALE ANPI
Ecco la vicenda.
Inneggia alla Repubblica Sociale italiana, celebra squadristi e bandiere nere e ricorda, con orgoglio, le botte date ad un antifascista, all'università. Parole d'odio e di militanza nera, quelle che risuonano nelle canzoni del Katanga, leader del gruppo "Sotto fascia semplice". Uno che ai concerti, promossi da CasaPound, viene accolto con le braccia tese. Cantore fascio-rock e, allo stesso tempo, rappresentante diplomatico italiano all'estero: dietro allo pseudonimo, ben noto sulla scena neofascista italiana, si cela, come ha rivelato l'Unità, Mario Vattani. Ex braccio destro del sindaco Gianni Alemanno (è stato suo "ministro degli Esteri": dal 2008 al 2011 ha ricoperto il ruolo di consigliere diplomatico), figlio del più famoso Umberto, uno dei diplomatici più potenti d'Italia, attualmente ha il compito di rappresentare il nostro Paese in Giappone. Dallo scorso mese di luglio è stato, infatti, promosso console generale d'Italia a Osaka. Ma la Farnesina, presa visione del caso, ha deciso di deferirlo.
Sul sito della rappresentanza diplomatica italiana viene riportato il suo curriculum "ufficiale": ha guidato l'ufficio economico commerciale all'ambasciata di Tokyo, è stato consigliere diplomatico di Alemanno quando era ministro delle politiche agricole e forestali e console d'Italia a Il Cairo. Classe 1966, formazione internazionale, grazie al background e ai mezzi che gli ha messo a disposizione il padre, è entrato nella carriera diplomatica nel 1991. Anni durante i quali era già un leader della musica identitaria, che animava (e anima) gli incontri della destra estrema negli spazi occupati e nei pub neri. Quella delle celtiche e dei raduni nostalgici a Predappio. Voce degli "Intolleranza" prima, fondatore nel 1996 dei "Sotto fascia semplice", non aveva mai cantato live. Anche se, come testimoniano le interviste rilasciate con lo pseudonimo "Katanga", era un sogno che aveva sempre coltivato. La musica, per lui, è sempre stata militanza. Una potente arma da usare per inculcare nei giovani quei valori fascisti di cui le canzoni sono impregnate. A documentare una delle sue prime uscite pubbliche, su Youtube, c'è un video che racconta l'esibizione presso "La tana delle tigri", raduno organizzato da CasaPound nei pressi dello stadio Olimpico.
Canta con Gianluca Iannone, voce degli Zeta Zero Alfa, e attacca pacifisti e disobbedienti. E' la prima esibizione pubblica dei "Sotto fascia semplice". Sul palco esibisce braccia ricoperte di tatuaggi, quelli che poi, nei viaggi da diplomatico, ha sempre celato dietro ad eleganti completi gessati, protetto dalle maniche lunghe. Anche nelle missioni estere con il sindaco Alemanno, da Auschwitz ad Hiroshima (un incarico retribuito con oltre 228 mila euro lordi annui). Una doppia vita anche nel look per il fascio-console. In Campidoglio è tornato, tre settimane fa, per salutare il sindaco e i suoi vecchi collaboratori - che ben conoscevano la sua attività di fascio-cantante. Le sue parole sono musica per l'orda nera: "Una repubblica fondata sui valori degli epuratori - canta in "Repubblica", uno dei suoi cavalli di battaglia - Da chi senza tante storie e con l'aiuto degli stranieri ha fatto fuori quegli ultimi italiani che fino alla fine hanno combattuto per un'altra repubblica".
L'altra Repubblica a cui si riferiva - come spiega in un'intervista concessa ad uno di quei siti di controinformazione che lo osannavano - in contrapposizione a quella italiana ("fondata sui valori della resistenza, sui valori della violenza, sui valori del tradimento e dell'arroganza. Una repubblica fondata sulla lotta armata fatta da banditi e disertori, dinamitardi e bombaroli") è quella della Repubblica sociale, e oggi rappresenta "quella che ognuno di noi può incarnare attraverso la sua attività quotidiana, e non parlo solo di militanza". Un nickname, Katanga, che gli è stato dato a Bologna, durante una trasferta "in pullman - recita il testo della canzone dei Sotto fascia Semplice 'Automito' - le ore di canti, di grida, di inni di sezione. Il grande raduno, i saluti romani davanti alla stazione". In quegli anni militava nel Fronte della Gioventù, gli scontri con i "pelosi" antifascisti (come li chiama lui) erano all'ordine del giorno. Anni difficili, durante i quali, insieme ad altri militanti dell'estrema destra, finirà sui giornali in seguito al pestaggio di due giovani di sinistra davanti al cinema Capranica (salvo poi essere prosciolto). Ma dei pestaggi sembra andar fiero. E lo scrive, nero su bianco, con assai poca diplomazia. Nella canzone "Ancora in piedi" racconta di quando, dopo essere stato malmenato nella facoltà di Scienze Politiche, a Roma, si è vendicato dei suoi aggressori: "Siamo tornati col Matto e con Sergio, siamo passati dalla porta di dietro. Vicino ai cessi dalla parte dell'aula quarta c'era il bastardo che mi aveva aggredito. L'abbiamo messo per terra e cercava di scappare, ma è rimasto appeso a una maniglia. Gli ho dato tanti di quei calci, ed era tanta la rabbia, che mi sono quasi storto una caviglia". Definisce le sue canzoni "musica per i camerati". E la musica potrebbe essere il primo passo per sbarcare nell'attività politica, come ha lasciato intuire in un'altra intervista: "Ritornare a suonare dal vivo - ammetteva - significherebbe riprendere a fare politica attivamente. E' una cosa a cui sto pensando molto in questo periodo". E' venuto il momento - diceva - "in cui ognuno di noi capisce che è venuto il momento per lasciare l'isolamento".
La Farnesina si limita in una prima fase a difendere il primogenito di Umberto Vattani (e a definire la sua musica "un fatto di costume"). Poi, nel pomeriggio, rilascia un comunicato più netto: "Il Ministro degli Esteri Terzi, dopo aver preso conoscenza del caso, ha sin da ieri dato istruzioni affinché esso venga immediatamente deferito alla Commissione di disciplina del Ministero degli esteri, del che il funzionario interessato, Mario Vattani, è stato prontamente messo al corrente".
La doppia vita del diplomatico approderà in Parlamento, con un'interrogazione preparata da Roberto Morassut (Pd): "Presenteremo un'interrogazione urgente al Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, per sapere se ritenga opportuna la nomina a console generale d'Italia in Giappone di Vattani, funzionario della Farnesina e leader di un gruppo musicale vicino agli ambienti di CasaPound. Crediamo che, nel momento in cui è ancora aperta l'indagine della Magistratura sull'ipotesi che alcuni esponenti di CasaPound siano responsabili di aggressioni e di violenze ai danni di militanti del Pd, non si possa derubricare a 'fatto di costumè la partecipazione di un diplomatico, nominato console in Giappone, a manifestazioni dove si inneggia alla Repubblica di Salò e ai rituali di una destra identitaria. Per quanto riguarda nomine importanti come quelle di diplomatici, che rappresentano il Paese all'estero, ci permettiamo di sollevare alcuni dubbi sui criteri adottati e sulla presentabilità politica del console Vattani".
L'associazione Libertà e Giustizia, tramite il coordinatore del circolo di Roma, Massimo Marnetto, chiede, con una lettera inviata al ministro Terzi, la rimozione immediata dal console: "Qui non si tratta di 'una questione personale' come ha tentato di minimizzare con inspiegabile leggerezza il portavoce della Farnesina. Infatti, Mario Vattani si pone contro il dettato dell'art. 54 della Costituzione, che vincola tutti i cittadini al dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione. Inoltre, come titolare di delicate funzioni pubbliche di rappresentanza diplomatica, il Vattani-Katanga ha 'il dovere di adempierle con disciplina ed onore', come prescrive sempre l'art.54 della Carta. Per questi gravi e comprovati motivi, le chiediamo di provvedere affinché Mario Vattani sia rimosso al più presto dalla sua funzione, come segno di intransigente rispetto dei valori costituzionali, nati dal superamento della tragedia fascista". Preoccupazione viene espressa dal presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia: "Le ridicole, 'nere' esibizioni notturne di Mario Vattani, console italiano in Giappone, non possono non preoccuparci in quanto rivelatrici di un clima di 'nostalgismo fascistà che è penetrato fin dentro le istituzioni. L'ANPI, nel richiamare tutte le coscienze sensibili e responsabili ad una vigilanza attiva, con cesserà di condannare fermamente ogni gesto e azione che faccia riferimento a quel momento cupo e criminale della vita del Paese che fu il fascismo, già condannato dalla storia e fuori da ogni consesso che si dica civile e democratico".
Tratto da Repubblica.it
giovedì 29 dicembre 2011
lunedì 26 dicembre 2011
E' SCOMPARSO GIORGIO BOCCA
Partigiano, giornalista, scrittore, uomo sempre libero. Questo era Giorgio Bocca morto nel giorno di Natale a Milano.
"E' morto - commenta Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell'Anpi - un grande italiano, un patriota, un partigiano che non dimenticheremo mai. Per tanto tempo ci ha accompagnato commentando, da par suo, le vicende che il Paese stava vivendo, con passione, talvolta con indignazione, sempre con fermezza. Partigiano in Piemonte, ha combattuto con Giustizia e Libertà".
"Quando due anni fa - ricorda Smuraglia - abbiamo raccolto la sua voce in una intervista da trasmettere nel corso di un convegno dedicato proprio al contributo degli azionisti all'antifascismo e alla Guerra di Liberazione, Bocca tenne a sottolineare l'unitarietà d'intenti anche fra forze di ispirazione diversa nella Resistenza; e ricordò le sue esperienze di guerra partigiana con inalterata passione e con un profondo sentimento unitario. Grande giornalista, scrittore illustre, e polemista di razza, con lui scompare una voce importante della parte migliore del Paese".
"Lo ricorderemo degnamente e con la dovuta ampiezza nella sede nazionale dell'Anpi, associazione alla quale, negli ultimi anni, Giorgio Bocca non ha fatto mancare il suo sostegno anche pubblicamente. Oggi - conclude Smuraglia - lo piangiamo con sincero dolore e ci stringiamo con affetto ai suoi familiari. L'ANPI di Milano partecipa al profondo dolore per la scomparsa del comandante partigiano Giorgio Bocca".
L'ANPI Provinciale di Milano si unisce al profondo dolore dei familiari, degli antifascisti, del giornalismo italiano e di tutto il mondo della cultura per la scomparsa di Giorgio Bocca, partigiano, giornalista, scrittore", inizia così il ricordo di Giorgio Bocca da parte dell presidente dell'Anpi milanese, Roberto Cenati.
Nativo di Cuneo e cresciuto in una famiglia della borghesia piemontese, nel 1943 Bocca decide di aderire, nella clandestinità, al Partito d'azione. A questa scelta lo induce l'esempio dell'amico Benedetto Dalmastro assai vicino a Tancredi Duccio Galimberti.
L'8 settembre, alla firma dell'armistizio, raggiunge con Dalmastro e un gruppo di compagni, dopo aver raccolto le armi abbandonate nelle caserme di Cuneo, la frazione Frise di Monterosso Grana. Nasce così il primo nucleo della locale banda partigiana di "Italia Libera". Comandante di banda della formazione in Valle Maira, nella primavera del 1944 Bocca é inviato a stabilire le basi della Brigata Giustizia e Libertà "Rolando Besana" in Valle Varaita e ne diviene il comandante. Il 5 maggio 1944, con Benedetto Dalmastro, Luigi Ventre e Costanzo Picco partecipa a un incontro tra partigiani italiani e francesi organizzato il 12 maggio 1944 a Colle Sautron. All'incontro faranno seguito le intese politico-militari tra i due movimenti, stipulate il 22 maggio e il 30 maggio 1944.
Nei primi giorni del 1945 Bocca è nominato comandante della decima divisione Langhe delle formazioni "Giustizia e Libertà". Torna quindi in Val Maira, divenendo commissario politico della seconda Divisione "Giustizia e Libertà". Tra le sue numerose azioni, si ricorda quella che tra il 12 e 13 aprile 1945 conduce alla cattura, nella cittadina di Busca, della compagnia controcarro della Divisione "Littorio" della Repubblica Sociale Italiana.
Per l'attività partigiana Giorgio Bocca riceve la medaglia d'argento al valor militare. Dopo la Liberazione, Bocca si avvia alla carriera di giornalista, dapprima a Torino, nel quotidiano di Giustizia e Libertà e quindi, a Milano, come redattore del settimanale l'Europeo e come corrispondente del quotidiano torinese La Gazzetta del Popolo.
Quando nasce Il Giorno, nel 1956, ne diviene inviato. Nel 1976 è tra i fondatori del quotidiano La Repubblica. Il suo è un giornalismo militante, che attraverso reportage, inchieste, commenti e interviste, si propone di denunciare i guasti della società italiana. La sua critica si accentua negli anni più recenti, forte di una scrittura semplice ma dura, concreta e aspra, di intensa comunicazione, sostenuta da un'alta moralità e da un legame mai interrotto con l'esperienza resistenziale.
I suoi articoli sono diventati, spesso, traccia e ossatura dei suoi numerosi libri, tra reportage, ricerca storica, pamphlet e autobiografia.
Lo ricorderemo sempre tra le figure di spicco del movimento partigiano e per essere rimasto sempre coerente a quella sua fondamentale scelta di campo per la libertà e la democrazia maturata durante la Resistenza.
sabato 24 dicembre 2011
venerdì 16 dicembre 2011
giovedì 15 dicembre 2011
NO ALLA CULTURA DELL'ODIO E DEL RAZZISMO
L'ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA - REGIONE TOSCANA esprime sgomento e sconcerto per quanto è avvenuto ieri a Firenze a danno della comunità senegalese, alla quale rivolge i sentimenti di solidarietà di tutti gli iscritti. Gli episodi che hanno insanguinato le vie cittadine e sconvolto la normale convivenza civile, si iscrivono in un fenomeno che, al di là della follia di un singolo, testimonia che l'ideologia di cui questo individuo era portatore, è essa stessa caratterizzata dalla follia, dall'odio e dal razzismo.
L'ANPI, per evitare qualsiasi pericoloso ritorno di un passato oscuro, si è sempre costantemente impegnata sul terreno della solidarietà, della cultura della pace e della eguaglianza fra i popoli.
L'ANPI ritiene che episodi di questo genere, al di là degli squilibri mentali di un singolo, sono il risultato di una cultura dell'intolleranza, dell'odio e del razzismo che non può avere cittadinanza in un sistema democratico.
Ennio Saccenti - vice presidente vicario dell'ANPI Regionale Toscana
L'ANPI, per evitare qualsiasi pericoloso ritorno di un passato oscuro, si è sempre costantemente impegnata sul terreno della solidarietà, della cultura della pace e della eguaglianza fra i popoli.
L'ANPI ritiene che episodi di questo genere, al di là degli squilibri mentali di un singolo, sono il risultato di una cultura dell'intolleranza, dell'odio e del razzismo che non può avere cittadinanza in un sistema democratico.
Ennio Saccenti - vice presidente vicario dell'ANPI Regionale Toscana
lunedì 12 dicembre 2011
E' SCOMPARSA TINA MANTOVANI
Oggi, improvvisamente, è deceduta Tina, la cara moglie di Egeo Mantovani, presidente onorario dell’ANPI di Monza e Brianza.
Tutta l’ANPI è vicina a Egeo e a tutti i suoi familiari in questo momento tanto doloroso.
Per espresso desiderio di Egeo e della sua famiglia, i funerali si svolgeranno in forma strettamente privata.
Il presidente dell’ANPI Provinciale di Monza e Brianza
Loris Maconi
domenica 11 dicembre 2011
MONZA, INTITOLAZIONE CENTRO SPORTIVO AD ENRICO BRACESCO
Domenica 11 dicembre i ragazzi della Foa Boccaccio hanno intitolato il centro sportivo in via Rosmini a Monza ad Enrico Bracesco.
Ecco i video dell'iniziativa e, a seguire, la biografia di Enrico Bracesco.
Enrico Bracesco, caposquadra attrezzeria alla Breda V, arrestato il 13 marzo per strada a Monza. È il primo mutilato della Resistenza operaia. Di lui, oltre alla moglie Maria, diversi compagni hanno lasciato testimonianza, come Antonio Paleari, operaio nella stessa sezione, arrestato già nel gennaio con L. S. Bersan, G. Marchetti e M. Rizzardi davanti al Bar Prealpi di Sesto durante un passaggio di armi.
Anche nel caso di Bracesco l'antifascismo è «di famiglia»: il fratello Carlo gestisce una trattoria a Monza che funge da cerniera di collegamento tra l'organizzazione clandestina delle fabbriche sestesi le brigate Garibaldine delle montagne del lecchese. L'arresto di Enrico come quello dei compagni davanti al Bar Prealpi, intende provocare la rottura dei collegamenti con la montagna.
Nella testimonianza di Maria Bracesco, dopo 1'8 settembre, Enrico è costretto ad «andare in montagna»: più di una volta è stato individuato per la sua attività clandestina. L'essere promotore degli scioperi del marzo 1943 gli avevano già causato circa un mese di carcere - tra attesa del processo e detenzione - e il conseguente licenziamento dalla Breda. Condannato a un anno perché «colpevole di abbandono del servizio» (durante il fascismo il termine «sciopero era stato abolito), veniva tuttavia liberato poiché la sentenza era passata nel frattempo in giudicato. Grazie all'intervento dei compagni di lavoro riusciva a farsi riassumere alla Breda, ben accolto anche dagli ingegneri Vezzani e Vallerani.
Quando inizia la Resistenza, Bracesco inizialmente si divide tra attività clandestina in fabbrica e fuori di essa; successivamente è conosciuto tra gli antifascisti più attivi come «il corriere delle armi». Il 4 novembre è a Sesto San Giovanni con un grande quantitativo di mitra caricati su di un camioncino, viene da Monza e ha l'incarico di portarle a Michele Robecchi a Muggiò.
(Sono armi che i militari in fuga dopo 1'8 settembre avevano sotterrato nel cortile della scuola Ugo Foscolo di Monza, delle quali i gappisti riescono a reinpossessarsi con grande coraggio, poiché la scuola nel frattempo era stata occupata dai repubblichini. Trattandosi di un grosso quantitativo, 72 mitra e 2 mitragliatrici il «corriere delle armi», E. Bracesco, provvede man mano a distribuirle).
La consegna viene eseguita con successo sennonché al ritorno, sulla strada tra Cinisello Balsamo e lo stabilimento staccato della Breda V, la «Taccona», verso il quale è diretto, il camioncino si rovescia. Viene trasportato all'ospedale di Monza dove è costretto a subire l'amputazione della gamba destra. Bracesco è un uomo coraggioso e non sarà questa disgrazia a fermarlo: è un gappista e fa parte del gruppo armato della Breda V. Persone sospette lo spiano anche in ospedale.
Una volta a casa, a Monza, in attesa della protesi per la gamba amputata e di una completa guarigione della ferita, egli continua a mantenere i collegamenti con la Resistenza. Persone sospette sorvegliano la sua casa. Ci sono appena stati gli scioperi e la moglie cerca di convincerlo a sfollare in campagna presso parenti. La difficoltà di camminare è però un grave impedimento. Inoltre Bracesco vorrebbe stare vicino al fratello Carlo, anche lui in pericolo per i suoi collegamenti con i partigiani. Per tali motivi, Bracesco resta,. limitandosi a rimanere nascosto durante la notte presso la sorella, la quale abita poco distante da casa sua. Un mattino però, mentre si avvia zoppicando verso la sua abitazione, viene arrestato. La moglie di quei giorni ricorda:
“lo non sapevo che l'avevano arrestato. Viene uno in casa mia, mi dice: «Dov'è Enrico?». lo gli dico che è a farsi curare per la gamba tagliata e lui mi dice di seguirlo con la mia bambina. Vengo caricata su una camionetta, mi portano al macello, dove ci sono le carceri. Lui era già lì, ma io non l'ho visto. Loro [sic!] mi hanno interrogato chiedendomi dove fosse Enrico. Io ho risposto: «Non lo so, magari ce l'avete già qui voi». Volevano sapere da me tante cose di Enrico, ma io sono sempre stata vaga. Tra l'altro, da mia sorella, avevo appena saputo, prima che venisse quell'uomo a casa mia, che Enrico l'avevano:. arrestato, ma non sapevo dove fosse.
Enrico Bracesco dopo una permanenza di più di un mese nel carcere di S. Vittore, trascorrerà tre mesi nel campo di transito di Fossoli e quasi due settimane in quello di Bolzano, dopodiché caricato assieme ad altri deportati negli usuali carri bestiame piombati a loro riservati, verrà condotto al KL di Mauthausen, dove verrà assassinato luogo della sua morte (Istituto eutanasia di Hartheim).
Il castello di Hartheim, vicino a Linz, nell’inverno 1940 fu trasformato in un edificio per "l’azione-eutanasia" ordinata da Hitler, il cui scopo era "dare la bella morte agli ammalati inguaribili". L'Aktion T4 fu il programma nazista di eugenetica che prevedeva la soppressione o la sterilizzazione di persone affette da malattie genetiche, inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche.
Tratto dal sito dell'Anpi di Lissone
Ecco i video dell'iniziativa e, a seguire, la biografia di Enrico Bracesco.
Enrico Bracesco, caposquadra attrezzeria alla Breda V, arrestato il 13 marzo per strada a Monza. È il primo mutilato della Resistenza operaia. Di lui, oltre alla moglie Maria, diversi compagni hanno lasciato testimonianza, come Antonio Paleari, operaio nella stessa sezione, arrestato già nel gennaio con L. S. Bersan, G. Marchetti e M. Rizzardi davanti al Bar Prealpi di Sesto durante un passaggio di armi.
Anche nel caso di Bracesco l'antifascismo è «di famiglia»: il fratello Carlo gestisce una trattoria a Monza che funge da cerniera di collegamento tra l'organizzazione clandestina delle fabbriche sestesi le brigate Garibaldine delle montagne del lecchese. L'arresto di Enrico come quello dei compagni davanti al Bar Prealpi, intende provocare la rottura dei collegamenti con la montagna.
Nella testimonianza di Maria Bracesco, dopo 1'8 settembre, Enrico è costretto ad «andare in montagna»: più di una volta è stato individuato per la sua attività clandestina. L'essere promotore degli scioperi del marzo 1943 gli avevano già causato circa un mese di carcere - tra attesa del processo e detenzione - e il conseguente licenziamento dalla Breda. Condannato a un anno perché «colpevole di abbandono del servizio» (durante il fascismo il termine «sciopero era stato abolito), veniva tuttavia liberato poiché la sentenza era passata nel frattempo in giudicato. Grazie all'intervento dei compagni di lavoro riusciva a farsi riassumere alla Breda, ben accolto anche dagli ingegneri Vezzani e Vallerani.
Quando inizia la Resistenza, Bracesco inizialmente si divide tra attività clandestina in fabbrica e fuori di essa; successivamente è conosciuto tra gli antifascisti più attivi come «il corriere delle armi». Il 4 novembre è a Sesto San Giovanni con un grande quantitativo di mitra caricati su di un camioncino, viene da Monza e ha l'incarico di portarle a Michele Robecchi a Muggiò.
(Sono armi che i militari in fuga dopo 1'8 settembre avevano sotterrato nel cortile della scuola Ugo Foscolo di Monza, delle quali i gappisti riescono a reinpossessarsi con grande coraggio, poiché la scuola nel frattempo era stata occupata dai repubblichini. Trattandosi di un grosso quantitativo, 72 mitra e 2 mitragliatrici il «corriere delle armi», E. Bracesco, provvede man mano a distribuirle).
La consegna viene eseguita con successo sennonché al ritorno, sulla strada tra Cinisello Balsamo e lo stabilimento staccato della Breda V, la «Taccona», verso il quale è diretto, il camioncino si rovescia. Viene trasportato all'ospedale di Monza dove è costretto a subire l'amputazione della gamba destra. Bracesco è un uomo coraggioso e non sarà questa disgrazia a fermarlo: è un gappista e fa parte del gruppo armato della Breda V. Persone sospette lo spiano anche in ospedale.
Una volta a casa, a Monza, in attesa della protesi per la gamba amputata e di una completa guarigione della ferita, egli continua a mantenere i collegamenti con la Resistenza. Persone sospette sorvegliano la sua casa. Ci sono appena stati gli scioperi e la moglie cerca di convincerlo a sfollare in campagna presso parenti. La difficoltà di camminare è però un grave impedimento. Inoltre Bracesco vorrebbe stare vicino al fratello Carlo, anche lui in pericolo per i suoi collegamenti con i partigiani. Per tali motivi, Bracesco resta,. limitandosi a rimanere nascosto durante la notte presso la sorella, la quale abita poco distante da casa sua. Un mattino però, mentre si avvia zoppicando verso la sua abitazione, viene arrestato. La moglie di quei giorni ricorda:
“lo non sapevo che l'avevano arrestato. Viene uno in casa mia, mi dice: «Dov'è Enrico?». lo gli dico che è a farsi curare per la gamba tagliata e lui mi dice di seguirlo con la mia bambina. Vengo caricata su una camionetta, mi portano al macello, dove ci sono le carceri. Lui era già lì, ma io non l'ho visto. Loro [sic!] mi hanno interrogato chiedendomi dove fosse Enrico. Io ho risposto: «Non lo so, magari ce l'avete già qui voi». Volevano sapere da me tante cose di Enrico, ma io sono sempre stata vaga. Tra l'altro, da mia sorella, avevo appena saputo, prima che venisse quell'uomo a casa mia, che Enrico l'avevano:. arrestato, ma non sapevo dove fosse.
Enrico Bracesco dopo una permanenza di più di un mese nel carcere di S. Vittore, trascorrerà tre mesi nel campo di transito di Fossoli e quasi due settimane in quello di Bolzano, dopodiché caricato assieme ad altri deportati negli usuali carri bestiame piombati a loro riservati, verrà condotto al KL di Mauthausen, dove verrà assassinato luogo della sua morte (Istituto eutanasia di Hartheim).
Il castello di Hartheim, vicino a Linz, nell’inverno 1940 fu trasformato in un edificio per "l’azione-eutanasia" ordinata da Hitler, il cui scopo era "dare la bella morte agli ammalati inguaribili". L'Aktion T4 fu il programma nazista di eugenetica che prevedeva la soppressione o la sterilizzazione di persone affette da malattie genetiche, inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche.
Tratto dal sito dell'Anpi di Lissone
L'ITALIA SONO ANCH'IO
A seguito del sostegno del Comitato Nazionale ANPI alla campagna “l’Italia sono anch’io” a favore dei i diritti di cittadinanza e del diritto di voto per le persone di origine straniera, si sono mobilitati nei territori, con raccolte di firme e adesioni ai Comitati locali che promuovono la campagna, le Sezioni e i Comitati provinciali di:
Reggio Emilia,Monza e Brianza,Forlì,Imola(BO),Voghera(PV),Magenta(MI),Empoli,Vinci, Montelupo, Fucecchio, Montaione(FI),Como,Brescia, Latina, Modena, Lecco, Grosseto, Orvieto, Salerno, Castegnato(BS).
PER UNA MANOVRA PIU' EQUA
Nei prossimi giorni, si verificheranno tre eventi di diverso contenuto e con diverse modalità, ma tutti estremamente importanti, di fronte ai quali l’ANPI non può che manifestare la sua piena, sentita, partecipe assonanza.
Lo sciopero di tre ore, proclamato per lunedì 12 dicembre dalle tre Confederazioni sindacali, è un fatto straordinario già per il fatto stesso della ritrovata unità, su temi di tanto rilievo e di così forte impatto sociale. Ma c’è di più. Questo sciopero non è di quelli che mirano a far cadere un Governo, ma costituisce un modo fermo e deciso per ottenere che nella manovra in corso ci sia – accanto al rigore – maggiore equità.
Non si chiede, dunque, nulla di impossibile, anche se è noto che i tempi stringono e che l’operazione non può che essere contrassegnata da una risolutezza e tempestività indispensabili; ottenere che non si colpiscano o si colpiscano meno i sacrificati di sempre, coloro che hanno sempre pagato, e si usi una maniera più forte nei confronti degli evasori fiscali, dei detentori di patrimoni immobiliari e finanziari rilevanti, vale a dire dei più abbienti, non significa negare la possibilità e l’urgenza di provvedimenti anche duri, ma solo pretendere che si mantenga soprattutto quell’equità sociale che lo stesso Governo Monti, all’atto della sua nascita, ha assunto come un impegno ineludibile.
Quanto al secondo evento, mi riferisco alle manifestazioni indette dalle donne per domenica 11 dicembre, “Se non ora, quando?”, a Roma e in tante piazze d’Italia. Le donne sono state le prime, il 13 febbraio scorso, a dare un grande segnale di risveglio e la dimostrazione concreta di un cambiamento possibile. Adesso tornano in piazza a chiedere ancora di più. Ma non è tanto la parola d’ordine che ci preme (spetta alle donne decidere ciò che vogliono e pretendono e fissare i loro obiettivi) quanto il fatto in sé di un forte appello, per una nuova e fortissima presenza delle donne sulla scena politica. Salutiamo, dunque, questa manifestazione non solo con piacere e soddisfazione, ma come il segno di una comune speranza di un futuro migliore.
Infine, lunedì 12 dicembre ricorrerà il 42° anniversario della strage di Piazza Fontana. Milano la ricorderà degnamente, come fa ogni anno; non si tratta, peraltro, solo di una questione milanese, ma di una questione nazionale. Piazza Fontana è stata non solo un attacco gravissimo e terribile alla vita di tante persone inermi, ma ha costituito uno dei più gravi attacchi alla stessa democrazia del nostro Paese. Come tale esso va rievocato, non solo per stringersi ancora una volta attorno ai sopravvissuti ed ai familiari delle vittime, che vanno sempre affettuosamente ricordati, ma anche perché non si può ammettere che su una simile, tragica vicenda, cada l’oblio; così come non è accettabile che non si conosca ancora tutta la verità.
A completare il quadro già in sé insufficiente (anche se ormai è pacifica la matrice, individuata nella destra nera), mancano ancora troppi tasselli (il ruolo di alcune parti dello Stato, i dirottamenti e le deviazioni, le responsabilità di esecutori e mandanti, ecc.), che vanno colmati, se non sul piano giudiziario, almeno su quello della verità storica, che è poi, ora e sempre, uno dei fondamenti della democrazia. Per questo, bisogna insistere ancora e con forza perché si elimini ogni forma di segreto, perché tutto divenga chiaro, limpido e trasparente; la verità serve non solo a completare la conoscenza storica ed a lenire, almeno in parte, il dolore, ma serve soprattutto come monito e deterrente per il futuro e per creare anticorpi idonei a difendere da ogni possibile attacco la nostra democrazia.
Il Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia.
Lo sciopero di tre ore, proclamato per lunedì 12 dicembre dalle tre Confederazioni sindacali, è un fatto straordinario già per il fatto stesso della ritrovata unità, su temi di tanto rilievo e di così forte impatto sociale. Ma c’è di più. Questo sciopero non è di quelli che mirano a far cadere un Governo, ma costituisce un modo fermo e deciso per ottenere che nella manovra in corso ci sia – accanto al rigore – maggiore equità.
Non si chiede, dunque, nulla di impossibile, anche se è noto che i tempi stringono e che l’operazione non può che essere contrassegnata da una risolutezza e tempestività indispensabili; ottenere che non si colpiscano o si colpiscano meno i sacrificati di sempre, coloro che hanno sempre pagato, e si usi una maniera più forte nei confronti degli evasori fiscali, dei detentori di patrimoni immobiliari e finanziari rilevanti, vale a dire dei più abbienti, non significa negare la possibilità e l’urgenza di provvedimenti anche duri, ma solo pretendere che si mantenga soprattutto quell’equità sociale che lo stesso Governo Monti, all’atto della sua nascita, ha assunto come un impegno ineludibile.
Quanto al secondo evento, mi riferisco alle manifestazioni indette dalle donne per domenica 11 dicembre, “Se non ora, quando?”, a Roma e in tante piazze d’Italia. Le donne sono state le prime, il 13 febbraio scorso, a dare un grande segnale di risveglio e la dimostrazione concreta di un cambiamento possibile. Adesso tornano in piazza a chiedere ancora di più. Ma non è tanto la parola d’ordine che ci preme (spetta alle donne decidere ciò che vogliono e pretendono e fissare i loro obiettivi) quanto il fatto in sé di un forte appello, per una nuova e fortissima presenza delle donne sulla scena politica. Salutiamo, dunque, questa manifestazione non solo con piacere e soddisfazione, ma come il segno di una comune speranza di un futuro migliore.
Infine, lunedì 12 dicembre ricorrerà il 42° anniversario della strage di Piazza Fontana. Milano la ricorderà degnamente, come fa ogni anno; non si tratta, peraltro, solo di una questione milanese, ma di una questione nazionale. Piazza Fontana è stata non solo un attacco gravissimo e terribile alla vita di tante persone inermi, ma ha costituito uno dei più gravi attacchi alla stessa democrazia del nostro Paese. Come tale esso va rievocato, non solo per stringersi ancora una volta attorno ai sopravvissuti ed ai familiari delle vittime, che vanno sempre affettuosamente ricordati, ma anche perché non si può ammettere che su una simile, tragica vicenda, cada l’oblio; così come non è accettabile che non si conosca ancora tutta la verità.
A completare il quadro già in sé insufficiente (anche se ormai è pacifica la matrice, individuata nella destra nera), mancano ancora troppi tasselli (il ruolo di alcune parti dello Stato, i dirottamenti e le deviazioni, le responsabilità di esecutori e mandanti, ecc.), che vanno colmati, se non sul piano giudiziario, almeno su quello della verità storica, che è poi, ora e sempre, uno dei fondamenti della democrazia. Per questo, bisogna insistere ancora e con forza perché si elimini ogni forma di segreto, perché tutto divenga chiaro, limpido e trasparente; la verità serve non solo a completare la conoscenza storica ed a lenire, almeno in parte, il dolore, ma serve soprattutto come monito e deterrente per il futuro e per creare anticorpi idonei a difendere da ogni possibile attacco la nostra democrazia.
Il Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia.
mercoledì 7 dicembre 2011
REVISIONISMO A SEREGNO, PATROCINATO DAL COMUNE
Lo scorso 3 dicembre a Seregno si è tenuta la presentazione del libro “Sconosciuti” di Norberto Bergna. L’ANPI provinciale di Monza e Brianza esprime la propria preoccupazione ed il proprio disappunto in seguito alla decisione dell’amministrazione comunale di Seregno di patrocinare l’iniziativa.
Il contenuto del libro presentato e il contesto dell’ iniziativa svolta si inserisce in un quadro di tentativo di riscrivere e falsificare la verità storica. Attribuire ai partigiani, ricorrendo al “nesso di causalità”, la responsabilità delle rappresaglie compiute dalle truppe nazifasciste rappresenta un oltraggio alla verità dei fatti. Così come è storicamente un falso definire guerra civile la lotta di Liberazione dalla dittatura nazifascista.
E’ fuori discussione che ciascuno ha la libertà di esprimere le proprie opinioni. Ma è profondamente diverso distorcere deliberatamente la storia, definita, da un relatore intervenuto all’iniziativa, con il termine “vulgata”.
Ci stupisce che un’amministrazione pubblica abbia concesso il patrocinio ad una iniziativa di tal genere, manifestamente di parte.
Ci auguriamo che, nel rispetto della storia e del sacrificio dei partigiani e nello spirito delle parole espresse da Arrigo Boldrini, “ Abbiamo combattuto per riconquistare la libertà per tutti: per chi c’era, per chi non c’era e per chi era contro”, in futuro non si verifichino più episodi simili.
ANPI provinciale Monza e Brianza
Qui sotto i contributi audio relativi all'iniziativa.
La presentazione da parte del direttore responsabile del periodico "Brianze", Domenico Flavio Ronzoni, l'intervento dell'autore del libro Norberto Bergna,
i contributi di Paolo Pisanò e le testimonianze di due ausiliarie della RSI.
Il contenuto del libro presentato e il contesto dell’ iniziativa svolta si inserisce in un quadro di tentativo di riscrivere e falsificare la verità storica. Attribuire ai partigiani, ricorrendo al “nesso di causalità”, la responsabilità delle rappresaglie compiute dalle truppe nazifasciste rappresenta un oltraggio alla verità dei fatti. Così come è storicamente un falso definire guerra civile la lotta di Liberazione dalla dittatura nazifascista.
E’ fuori discussione che ciascuno ha la libertà di esprimere le proprie opinioni. Ma è profondamente diverso distorcere deliberatamente la storia, definita, da un relatore intervenuto all’iniziativa, con il termine “vulgata”.
Ci stupisce che un’amministrazione pubblica abbia concesso il patrocinio ad una iniziativa di tal genere, manifestamente di parte.
Ci auguriamo che, nel rispetto della storia e del sacrificio dei partigiani e nello spirito delle parole espresse da Arrigo Boldrini, “ Abbiamo combattuto per riconquistare la libertà per tutti: per chi c’era, per chi non c’era e per chi era contro”, in futuro non si verifichino più episodi simili.
ANPI provinciale Monza e Brianza
Qui sotto i contributi audio relativi all'iniziativa.
La presentazione da parte del direttore responsabile del periodico "Brianze", Domenico Flavio Ronzoni, l'intervento dell'autore del libro Norberto Bergna,
i contributi di Paolo Pisanò e le testimonianze di due ausiliarie della RSI.
martedì 6 dicembre 2011
EQUITA' E GIUSTIZIA SOCIALE
Il direttivo provinciale dell'ANPI provinciale di Monza e Brianza ha approvato il seguente ordine del giorno.
Il direttivo provinciale dell’ANPI di Monza e Brianza condivide il giudizio espresso dall’ANPI nazionale in merito alla nascita del nuovo governo.
Questo ha consentito al nostro paese di recuperare fiducia e speranza ,di ripristinare il prestigio e la credibilità delle istituzioni e di recuperare la credibilità internazionale ,tutte cose che, con il precedente governo erano state gravemente compromesse.
Il comitato provinciale ritiene, tuttavia, che sia necessario esaminare in maniera rigorosa il merito dei provvedimenti che il nuovo governo adotterà nei prossimi giorni, esprimendo con chiarezza il proprio giudizio sia sulle cose che si condividono sia su quelle che non si condividono.
In particolare per l’ANPI deve valere il principio che i provvedimenti adottati tengano conto dell’esigenza di seguire criteri di equità e di giustizia sociale, colpendo sprechi e privilegi .
Il comitato provinciale ritiene opportuno che l’ANPI nazionale esprima anche un giudizio critico in merito alla proposta di introdurre in Costituzione il criterio del pareggio di bilancio, perché questo toglierebbe possibilità di ogni flessibilità nella gestione futura del bilancio dello stato,cosa che in periodi di crisi colpirebbe in particolare l’area dei servizi sociali.
Infine il comitato provinciale chiede a tutte le sezioni :
-di organizzare l’assemblea annuale entro il mese di febbraio 2012
-di attivarsi per organizzare la raccolta di firme per affermare il diritto alla cittadinanza italiana per i figli di immigrati nati nel nostro paese
Monza 4.12.2011
Il direttivo provinciale dell’ANPI di Monza e Brianza condivide il giudizio espresso dall’ANPI nazionale in merito alla nascita del nuovo governo.
Questo ha consentito al nostro paese di recuperare fiducia e speranza ,di ripristinare il prestigio e la credibilità delle istituzioni e di recuperare la credibilità internazionale ,tutte cose che, con il precedente governo erano state gravemente compromesse.
Il comitato provinciale ritiene, tuttavia, che sia necessario esaminare in maniera rigorosa il merito dei provvedimenti che il nuovo governo adotterà nei prossimi giorni, esprimendo con chiarezza il proprio giudizio sia sulle cose che si condividono sia su quelle che non si condividono.
In particolare per l’ANPI deve valere il principio che i provvedimenti adottati tengano conto dell’esigenza di seguire criteri di equità e di giustizia sociale, colpendo sprechi e privilegi .
Il comitato provinciale ritiene opportuno che l’ANPI nazionale esprima anche un giudizio critico in merito alla proposta di introdurre in Costituzione il criterio del pareggio di bilancio, perché questo toglierebbe possibilità di ogni flessibilità nella gestione futura del bilancio dello stato,cosa che in periodi di crisi colpirebbe in particolare l’area dei servizi sociali.
Infine il comitato provinciale chiede a tutte le sezioni :
-di organizzare l’assemblea annuale entro il mese di febbraio 2012
-di attivarsi per organizzare la raccolta di firme per affermare il diritto alla cittadinanza italiana per i figli di immigrati nati nel nostro paese
Monza 4.12.2011
lunedì 5 dicembre 2011
42° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA
Il Comitato Permanente Antifascista nella riunione del 12 Ottobre scorso, alla quale ha partecipato l’Associazione Familiari di Piazza Fontana, ha delineato il programma per il 12 Dicembre 2011 nella ricorrenza del 42° anniversario della strage di Piazza Fontana.
“Il 12 dicembre del 1969 una bomba ad alto potenziale e di chiara matrice neofascista esplodeva nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano provocando 17 morti e 84 feriti.
Fu l’inizio della strategia della tensione e il preludio alla stagione del terrorismo e dell’eversione in Italia.
Nonostante numerosi processi e diverse sentenze, nonostante i colpevoli siano stati chiaramente individuati, per questa strage nessuno ha pagato.
A 42 anni dalla strage, il Comitato Permanente Antifascista contro il terrorismo e per la difesa dell’ordine repubblicano, d’intesa con i Familiari delle Vittime promuove una serie di iniziative non solo per rendere il doveroso tributo di memoria ai caduti, ai feriti ed ai familiari, ma anche per riflettere su una vicenda che presenta ancora troppi lati oscuri, anche per ciò che attiene al ruolo svolto da parti dello Stato.
Vogliamo verità e giustizia, vogliamo che si aprano tutti gli armadi e si svelino tutti i segreti, anche per essere certi che queste tragiche vicende non possano verificarsi mai più.
Alle iniziative in programma sono vivamente invitati a partecipare tutti i cittadini.”
Il programma dei giorni 12 e 13 dicembre 2011:
Lunedì 12 dicembre 2011
ore 14,30 Consiglio Comunale straordinario.
Sono previsti gli interventi di:
• Basilio Rizzo, Presidente del Consiglio Comunale
• Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano
• Carlo Arnoldi, Presidente dell’Associazione Vittime di Piazza Fontana
ore 16,30 appuntamento in Piazza Fontana con i Gonfaloni dei Comuni, e le bandiere delle Associazioni Partigiane
ore 16,37 deposizione delle corone alla presenza delle Autorità;
ore 17,30 Corteo con partenza da Piazza della Scala;
ore 18,00 Piazza Fontana interventi di:
- Carlo Arnoldi, Presidente dell’Associazione Vittime di Piazza Fontana
- Danilo Galvagni, Segretario Generale della CISL
- Prof. Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale ANPI
- Presenta Carla Bianchi Iacono Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
Martedì 13 dicembre 2011
ore 18,00 presso sala Buozzi Camera del Lavoro di Milano Corso di Porta Vittoria 43
In apertura: Monologo di Daniele Biacchessi
“Piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta“
Presentazione del libro di Fortunato Zinni:
“Piazza Fontana nessuno è Stato“
Partecipano con l’autore:
• Carlo Arnoldi, Presidente dell’Associazione Vittime di Piazza Fontana
• Pietro Chiesa, figlio di Francesca Dendena
• Federica Dendena, nipote di Francesca Dendena
• Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano
• Onorio Rosati, Segretario Generale della Camera del Lavoro di Milano
• Guido Salvini, Magistrato
• Coordina Roberto Cenati, Presidente ANPI Provinciale di Milano
lunedì 28 novembre 2011
TORNIM A BAITA, REPORT VIDEO
Proponiamo i contributi filmati della presentazione del libro "Tornim a baita" di Giovanni Battista Stucchi.
Nella prima parte l'intervento dello storico Giorgio Rochat.
A seguire Pierfranco Bertazzini e Rosella Stucchi, presidente dell'Anpi di Monza e figlia di G.B. Stucchi.
Nella prima parte l'intervento dello storico Giorgio Rochat.
A seguire Pierfranco Bertazzini e Rosella Stucchi, presidente dell'Anpi di Monza e figlia di G.B. Stucchi.
venerdì 25 novembre 2011
CASA POUND, REVOCATA LA CONCESSIONE DI PALAZZO ISIMBARDI
Dopo le proteste la Provincia di Milano non concederà a Casa Pound la prestigiosa Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi per una manifestazione. Ad annunciarlo è "con grande soddisfazione" Roberto Cenati, presidente ANPI Milano e Provincia.
La manifestazione del gruppo neofascista era prevista per sabato 3 dicembre.
Ma le pressioni esercitate con continuità e in modo unitario da parte dell'ANPI, delle Associazioni Resistenziali, della Comunita Ebraica Milanese, del sindacato, dei gruppi consiliari di centro-sinistra della Provincia di Milano hanno portato alla revoca.
"Continueremo - sottolinea Cenati - a batterci perchè la Provincia di Milano, che proprio recentemente ha ospitato a Palazzo Isimbardi una mostra che, nella parte riguardante la seconda guerra mondiale ha costituito una grave offesa a coloro che hanno sacrificato la vità per restituire la libertà e la democrazia al nostro Paese, torni a svolgere il suo fondamentale ruolo di Istituzione della Repubblica nata dalla Resistenza".
La manifestazione del gruppo neofascista era prevista per sabato 3 dicembre.
Ma le pressioni esercitate con continuità e in modo unitario da parte dell'ANPI, delle Associazioni Resistenziali, della Comunita Ebraica Milanese, del sindacato, dei gruppi consiliari di centro-sinistra della Provincia di Milano hanno portato alla revoca.
"Continueremo - sottolinea Cenati - a batterci perchè la Provincia di Milano, che proprio recentemente ha ospitato a Palazzo Isimbardi una mostra che, nella parte riguardante la seconda guerra mondiale ha costituito una grave offesa a coloro che hanno sacrificato la vità per restituire la libertà e la democrazia al nostro Paese, torni a svolgere il suo fondamentale ruolo di Istituzione della Repubblica nata dalla Resistenza".
giovedì 24 novembre 2011
SMURAGLIA SCRIVE A MONTI
Lettera al presidente del Consiglio Mario Monti da parte del presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia.
Essa esprime non solo l’augurio non rituale ad un Governo di impegno e di svolta ma anche rappresenta la posizione dell’ANPI di fronte ad una situazione politica nuova, carica di attese e di speranze.
Questo il testo.
“Signor Presidente,
ho aspettato che cessassero le consuete ritualità, dopo la definitiva approvazione del Suo Governo, da parte del Parlamento, per esprimerLe - al di fuori di ogni convenzionalità - i sentimenti e le speranze sincere dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e miei personali.
Anzitutto, desideriamo rallegrarci sinceramente con Lei per il Suo impegno e la Sua disponibilità, in un momento così grave e difficile; e desideriamo esprimere il nostro compiacimento per l'autorevolezza, la serietà e lo stile con cui Lei ed i Suoi Colleghi di Governo avete affrontato un compito così oneroso, anche se, nello stesso tempo, così esaltante, almeno per chi crede nel nostro Paese e nei valori fondamentali che lo reggono.
Non entrerò nel merito di ciò che Lei farà e potrà fare col Suo Governo. Per noi è fondamentale che Lei possa riuscire a risollevare il nostro Paese dal baratro in cui era caduto, restituendo fiducia e speranza - che sembravano smarrite - a tante cittadine e cittadini e soprattutto ai giovani. Questo sarebbe già molto, soprattutto se si realizzasse in concreto quel richiamo al rigore (in cui noi leggiamo non solo e non tanto sacrifici, quanto serietà, dignità e correttezza) ed alla equità (in cui ravvisiamo un forte connotato di socialità e solidarietà) a cui Lei si è più volte riferito fin dal primo momento del conferimento dell'incarico da parte del Presidente della Repubblica.
Ma debbo dirLe con franchezza che la nostra Associazione si aspetta ancora di più dal Suo Governo: il Paese ha bisogno non solo di risolvere
una grave crisi economica, ma anche di uscire da una profonda crisi etica e di valori. In questi anni, il richiamo alla Costituzione ed ai suoi principi è risultato troppo spesso sbiadito; altrettanto spesso il ricordo delle origini della nostra democrazia è stato negletto e deformato, al punto che talora è sembrato che quella carica ideale che animò i Combattenti per la libertà e costituì lo spirito di fondo di tutta l'Assemblea costituente, fosse affievolita e perfino esposta a gravi pericoli. Il risultato peggiore di questa situazione è stata l'affermazione di una serie di cosiddetti valori, in realtà inesistenti, e di una fortissima carica di antipolitica.
Potrà sembrare paradossale che proprio da un Governo di "tecnici" ci si possa aspettare non solo la riaffermazione dei valori fondanti del nostro sistema costituzionale, ma addirittura il rilancio della "buona politica", con conseguente avvio al progressivo ricupero della fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e di un rinnovato sistema politico. Ma in realtà, il paradosso non esiste perché questa attesa trae fondamento proprio dai connotati complessivi del Suo Governo e della Sua stessa persona, che garantiscono la concreta possibilità di quel "riscatto" del nostro Paese, che non può essere solo economico, ma deve essere anche morale ed ideale.
Ecco perché, lasciando a coloro a cui compete ogni valutazione sulle misure che verranno adottate, ho voluto esprimerLe, signor Presidente, questi sentimenti, queste speranze e queste attese, condivise da tutta l'A.N.P.I., che da sempre si impegna, con tutte le sue forze, per il consolidamento e lo sviluppo della democrazia e per l'intransigente difesa dei valori costituzionali di fondo, a partire, ovviamente, dal lavoro, dalla legalità e dalla dignità della persona.
Come vede, Signor Presidente, non c'è nulla di convenzionale e di formale nell'augurio sincero, che Le rivolgo a nome di tutta l'Associazione da me presieduta, di riuscire a realizzare le finalità e gli intenti che hanno ispirato la Sua discesa in campo, in stretta corrispondenza con le reiterate indicazioni e con gli accorati ammonimenti rivolti a tutto il Paese dal Presidente della Repubblica, a cui va - ancora una volta - la gratitudine e la fiducia di tutte le italiane e di tutti gli italiani.
Con viva cordialità.”
Essa esprime non solo l’augurio non rituale ad un Governo di impegno e di svolta ma anche rappresenta la posizione dell’ANPI di fronte ad una situazione politica nuova, carica di attese e di speranze.
Questo il testo.
“Signor Presidente,
ho aspettato che cessassero le consuete ritualità, dopo la definitiva approvazione del Suo Governo, da parte del Parlamento, per esprimerLe - al di fuori di ogni convenzionalità - i sentimenti e le speranze sincere dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e miei personali.
Anzitutto, desideriamo rallegrarci sinceramente con Lei per il Suo impegno e la Sua disponibilità, in un momento così grave e difficile; e desideriamo esprimere il nostro compiacimento per l'autorevolezza, la serietà e lo stile con cui Lei ed i Suoi Colleghi di Governo avete affrontato un compito così oneroso, anche se, nello stesso tempo, così esaltante, almeno per chi crede nel nostro Paese e nei valori fondamentali che lo reggono.
Non entrerò nel merito di ciò che Lei farà e potrà fare col Suo Governo. Per noi è fondamentale che Lei possa riuscire a risollevare il nostro Paese dal baratro in cui era caduto, restituendo fiducia e speranza - che sembravano smarrite - a tante cittadine e cittadini e soprattutto ai giovani. Questo sarebbe già molto, soprattutto se si realizzasse in concreto quel richiamo al rigore (in cui noi leggiamo non solo e non tanto sacrifici, quanto serietà, dignità e correttezza) ed alla equità (in cui ravvisiamo un forte connotato di socialità e solidarietà) a cui Lei si è più volte riferito fin dal primo momento del conferimento dell'incarico da parte del Presidente della Repubblica.
Ma debbo dirLe con franchezza che la nostra Associazione si aspetta ancora di più dal Suo Governo: il Paese ha bisogno non solo di risolvere
una grave crisi economica, ma anche di uscire da una profonda crisi etica e di valori. In questi anni, il richiamo alla Costituzione ed ai suoi principi è risultato troppo spesso sbiadito; altrettanto spesso il ricordo delle origini della nostra democrazia è stato negletto e deformato, al punto che talora è sembrato che quella carica ideale che animò i Combattenti per la libertà e costituì lo spirito di fondo di tutta l'Assemblea costituente, fosse affievolita e perfino esposta a gravi pericoli. Il risultato peggiore di questa situazione è stata l'affermazione di una serie di cosiddetti valori, in realtà inesistenti, e di una fortissima carica di antipolitica.
Potrà sembrare paradossale che proprio da un Governo di "tecnici" ci si possa aspettare non solo la riaffermazione dei valori fondanti del nostro sistema costituzionale, ma addirittura il rilancio della "buona politica", con conseguente avvio al progressivo ricupero della fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e di un rinnovato sistema politico. Ma in realtà, il paradosso non esiste perché questa attesa trae fondamento proprio dai connotati complessivi del Suo Governo e della Sua stessa persona, che garantiscono la concreta possibilità di quel "riscatto" del nostro Paese, che non può essere solo economico, ma deve essere anche morale ed ideale.
Ecco perché, lasciando a coloro a cui compete ogni valutazione sulle misure che verranno adottate, ho voluto esprimerLe, signor Presidente, questi sentimenti, queste speranze e queste attese, condivise da tutta l'A.N.P.I., che da sempre si impegna, con tutte le sue forze, per il consolidamento e lo sviluppo della democrazia e per l'intransigente difesa dei valori costituzionali di fondo, a partire, ovviamente, dal lavoro, dalla legalità e dalla dignità della persona.
Come vede, Signor Presidente, non c'è nulla di convenzionale e di formale nell'augurio sincero, che Le rivolgo a nome di tutta l'Associazione da me presieduta, di riuscire a realizzare le finalità e gli intenti che hanno ispirato la Sua discesa in campo, in stretta corrispondenza con le reiterate indicazioni e con gli accorati ammonimenti rivolti a tutto il Paese dal Presidente della Repubblica, a cui va - ancora una volta - la gratitudine e la fiducia di tutte le italiane e di tutti gli italiani.
Con viva cordialità.”
CENTO E PIU' PIAZZE
Domenica scorsa si è svolta, in oltre cento piazze d’Italia, la nostra “giornata nazionale del tesseramento”. Avevamo detto che il tesseramento non è un problema burocratico-amministrativo o semplicemente economico, ma un atto di grande rilevanza politica. E così è stato. I nostri Comitati provinciali, o almeno la grande maggioranza di essi, hanno scatenato la fantasia e sperimentato mille modi diversi per fare di questa giornata un momento di incontro e di riflessione politica, nella certezza che ciò si sarebbe concretato anche nella richiesta di nuove iscrizioni.
Stiamo raccogliendo i dati e li pubblicheremo fra breve. Fin d’ora, possiamo dichiararci pienamente soddisfatti, perché abbiamo raccolto molti cittadini e cittadine attorno ai nostri simboli e alle nostre pubblicazioni, talvolta persino davanti a cori quasi professionali. Nel nord, tante persone sono passate e si sono fermate anche a lungo davanti ai nostri gazebo, chiedendo, informandosi, discutendo, nonostante la giornata freddissima. In una sola città sono state raccolte oltre cento nuove domande di iscrizione. E così è avvenuto in tante altre, con nostra vivissima e giustificata soddisfazione.
Ancora una volta, possiamo dire che in qualunque momento, in qualunque occasione, l’ANPI “c’è”. E tanti cittadini, giovani e meno giovani, lo capiscono e manifestano fiducia e speranza.
Se siamo riusciti in ciò che ci eravamo prefissi (una grande “giornata” popolare) il merito va ai nostri Comitati Provinciali, alle nostre Sezioni, ai tanti militanti che si sono impegnati a costruire i gazebo, a presidiarli, a ricevere gente per illustrare le nostre finalità e il nostro messaggio antifascista e democratico. A tutti va rivolto il sincero ringraziamento e apprezzamento da parte mia, della Segreteria e del Comitato Nazionale; ringraziamento tanto più sentito e affettuoso quanto più si pensa che tutto questo è frutto di un volontariato, lontanissimo da ogni scopo personale, fatto di fiducia nella democrazia, nella Costituzione, nei valori fondamentali che ci guidano, dalla Resistenza alla pratica quotidiana di antifascismo. Un lavoro che non si aspetta ricompense né mira ad ottenere vantaggi, ma si propone solo di agire per potenziare l’ANPI, nell’interesse del Paese.
Grazie, dunque, cari compagni e amici; e avanti ancora, sempre più avanti per un futuro migliore, con un’ANPI sempre più solida e forte.
Il Presidente Nazionale dell’ANPI
Carlo Smuraglia
Stiamo raccogliendo i dati e li pubblicheremo fra breve. Fin d’ora, possiamo dichiararci pienamente soddisfatti, perché abbiamo raccolto molti cittadini e cittadine attorno ai nostri simboli e alle nostre pubblicazioni, talvolta persino davanti a cori quasi professionali. Nel nord, tante persone sono passate e si sono fermate anche a lungo davanti ai nostri gazebo, chiedendo, informandosi, discutendo, nonostante la giornata freddissima. In una sola città sono state raccolte oltre cento nuove domande di iscrizione. E così è avvenuto in tante altre, con nostra vivissima e giustificata soddisfazione.
Ancora una volta, possiamo dire che in qualunque momento, in qualunque occasione, l’ANPI “c’è”. E tanti cittadini, giovani e meno giovani, lo capiscono e manifestano fiducia e speranza.
Se siamo riusciti in ciò che ci eravamo prefissi (una grande “giornata” popolare) il merito va ai nostri Comitati Provinciali, alle nostre Sezioni, ai tanti militanti che si sono impegnati a costruire i gazebo, a presidiarli, a ricevere gente per illustrare le nostre finalità e il nostro messaggio antifascista e democratico. A tutti va rivolto il sincero ringraziamento e apprezzamento da parte mia, della Segreteria e del Comitato Nazionale; ringraziamento tanto più sentito e affettuoso quanto più si pensa che tutto questo è frutto di un volontariato, lontanissimo da ogni scopo personale, fatto di fiducia nella democrazia, nella Costituzione, nei valori fondamentali che ci guidano, dalla Resistenza alla pratica quotidiana di antifascismo. Un lavoro che non si aspetta ricompense né mira ad ottenere vantaggi, ma si propone solo di agire per potenziare l’ANPI, nell’interesse del Paese.
Grazie, dunque, cari compagni e amici; e avanti ancora, sempre più avanti per un futuro migliore, con un’ANPI sempre più solida e forte.
Il Presidente Nazionale dell’ANPI
Carlo Smuraglia
martedì 22 novembre 2011
domenica 20 novembre 2011
ANPI, WORK IN PROGRESS A VERANO BRIANZA
In occasione della Giornata nazionale del tesseramento indetta dall'Anpi, a Verano Brianza si sono gettate le basi per la costituzione di una sezione della nostra associazione. Molti i cittadini che si sono avvicinati al gazebo per iscriversi o semplicemente per chiedere informazioni sull'Anpi. Work in progress... Grazie a tutti gli intervenuti.
NO A FORZA NUOVA
Como, 18 novembre 2011
La Sezione ANPI di Como, unitamente al Comitato Provinciale, ha appreso con viva preoccupazione l'apertura in Como, a partire dal 19 novembre, di una sede di Forza Nuova, movimento neofascista che ha dimostrato, in questi ultimi anni, la volontà di una restaurazione autoritaria contraria ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Forza Nuova intende rinverdire le tradizioni complottistiche e ultra nazionaliste che già furono caratteristiche di Ordine Nuovo le cui azioni irresponsabili e delittuose hanno caratterizzato la stagione dello stragismo nero e della politica della tensione.
Como città democratica, custode del Monumento alla Resistenza Europea, non può tollerare un simile affronto, anche se l'Amministrazione Comunale sembra più impegnata a combattere la "movida" che a difendere i coposaldi della democrazia. Lo dimostra la colpevole trascuratezza e l'indifferenza per i monumenti e le ricorrenze che ricordano la lotta per la libertà.
L'ANPI ha fatto presente al Prefetto, che è il responsabile dell'ordine democratico, le sue preoccupazioni e lo ha invitato ad attivare misure preventive di vigilanza in una città per nulla interessata all'affermazione dei diritti di libertà anche di quella religiosa per gli Islamici come i fatti dimostrano.
L'ANPI invita i cittadini a ricordare che il sacrificio di tante vite umane durante la resistenza, non può patire l'oblio, anche se incombono preoccupazioni economiche.
La libertà è premessa di ogni desiderato progresso
Comitato Provinciale Anpi di Como
Sezione Anpi di Como
La Sezione ANPI di Como, unitamente al Comitato Provinciale, ha appreso con viva preoccupazione l'apertura in Como, a partire dal 19 novembre, di una sede di Forza Nuova, movimento neofascista che ha dimostrato, in questi ultimi anni, la volontà di una restaurazione autoritaria contraria ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Forza Nuova intende rinverdire le tradizioni complottistiche e ultra nazionaliste che già furono caratteristiche di Ordine Nuovo le cui azioni irresponsabili e delittuose hanno caratterizzato la stagione dello stragismo nero e della politica della tensione.
Como città democratica, custode del Monumento alla Resistenza Europea, non può tollerare un simile affronto, anche se l'Amministrazione Comunale sembra più impegnata a combattere la "movida" che a difendere i coposaldi della democrazia. Lo dimostra la colpevole trascuratezza e l'indifferenza per i monumenti e le ricorrenze che ricordano la lotta per la libertà.
L'ANPI ha fatto presente al Prefetto, che è il responsabile dell'ordine democratico, le sue preoccupazioni e lo ha invitato ad attivare misure preventive di vigilanza in una città per nulla interessata all'affermazione dei diritti di libertà anche di quella religiosa per gli Islamici come i fatti dimostrano.
L'ANPI invita i cittadini a ricordare che il sacrificio di tante vite umane durante la resistenza, non può patire l'oblio, anche se incombono preoccupazioni economiche.
La libertà è premessa di ogni desiderato progresso
Comitato Provinciale Anpi di Como
Sezione Anpi di Como
PROVINCIA DI MILANO REVISIONISTA
L'ANPI di Milano esprime la propria viva e ferma indignazione per i contenuti della mostra allestita dalla Provincia di Milano a Palazzo Isimbardi, nella parte riguardante la Seconda Guerra Mondiale. Il testo costituisce una grave offesa alla Resistenza italiana e a coloro che hanno sacrificato la propria vita per restituire la libertà e la democrazia al nostro Paese.
"L'entrata in guerra dell'Italia - si spiega in un comunicato - non fu "imposta dalle contingenze politiche e accettata in nome del realismo politico", come si legge in uno dei pannelli. La verità è che, fin dalla sua nascita, il fascismo si caratterizza per il suo spirito guerrafondaio e antidemocratico, per l'esaltazione della disuguaglianza tra gli uomini e per l'affermazione della grandezza dell'Italia nel mondo. La partecipazione dell'Italia alla Seconda Guerra Mondiale non è, purtroppo, che l' inevitabile conseguenza dell'ideologia nazionalistica del fascismo".
"Nella mostra, "all'alleato tedesco" è riservata soltanto una riga nella quale si dice che fu "inadeguato"e "criminali le sue politiche". Si ignora completamente la tragedia vissuta in quegli anni dall'Europa, rappresentata dal trionfo dei regimi nazi-fascisti. La Seconda Guerra Mondiale non fu solo un conflitto sanguinoso. Fu anche un vero e proprio scontro planetario tra le forze della coalizione antifascista che si richiamavano agli ideali di democrazia e libertà e quelle, nazifasciste e hitleriane che volevano imporre in Europa e nel mondo un regime antidemocratico, oppressivo, fondato sul razzismo, sull'antisemitismo e sul terrore. Se avessero vinto le forze che si richiamavano alle ideologie nazifasciste, l'Europa si sarebbe trasformata in un immenso campo di concentramento".
"Nei paesi europei occupati dai tedeschi - si spiega ancora - si sviluppa un forte moto resistenziale, determinante, insieme all'intervento delle potenze alleate, per la liberazione del nostro continente dal nazifascismo".
Con l'8 settembre 1943 inizia in Italia la Resistenza armata contro tedeschi e repubblichini. Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato autobiograficamente quel momento del "collasso dello Stato", quando trovò, insieme a tanti altri, nella sua coscienza l'orientamento, perché in essa "vibrava profondo il senso della Patria" assai diverso dalla concezione retorica e tronfia del fascismo.
"Riteniamo inaccettabile la definizione che si dà della Resistenza, come "guerra civile terribile e orrenda che si conclude in un bagno di sangue". La Resistenza fu guerra patriottica di liberazione dall'oppressione nazifascista, nella quale gli italiani riscattarono la dignità del Paese e contrapposizione di culture: da una parte la cultura della forza, della violenza, della subordinazione dell?individuo allo stato, il nazionalismo, il razzismo, l'antisemitismo, dall'altra la cultura della pace, della democrazia, della tolleranza, della solidarietà e la lotta per una società libera e giusta. La Resistenza italiana ha fornito un determinante aiuto militare agli eserciti alleati e tuttavia, ciò che più la caratterizza, è la volontà di tanti, uomini e donne, di reagire, a costo di grandissimi sacrifici, alla sopraffazione e di costruire un progetto di libertà per il futuro del proprio paese".
Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti o mutilati, settecentomila soldati italiani internati nei lager tedeschi dopo l'8 settembre 1943, 40.000 cittadini italiani, tra ebrei, oppositori politici, operai in sciopero, deportati nei lager tedeschi dai quali ben pochi ritornarono, gli operai e i contadini, per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica: questa fu la Resistenza italiana.
"Da essa - si sottolinea - è nata la Costituzione repubblicana che Piero Calamandrei ha definito come "Resistenza tradotta in formule giuridiche" ed è la Resistenza che ha consentito, il 25 Aprile del 1945, la riunificazione dell'Italia per 20 mesi spaccata in due, nella libertà e nell'indipendenza. Se ciò non fosse accaduto la nostra nazione sarebbe scomparsa dalla scena della storia, su cui si era finalmente affacciata come stato moderno nel 1861, con il compimento del moto risorgimentale.
"L'entrata in guerra dell'Italia - si spiega in un comunicato - non fu "imposta dalle contingenze politiche e accettata in nome del realismo politico", come si legge in uno dei pannelli. La verità è che, fin dalla sua nascita, il fascismo si caratterizza per il suo spirito guerrafondaio e antidemocratico, per l'esaltazione della disuguaglianza tra gli uomini e per l'affermazione della grandezza dell'Italia nel mondo. La partecipazione dell'Italia alla Seconda Guerra Mondiale non è, purtroppo, che l' inevitabile conseguenza dell'ideologia nazionalistica del fascismo".
"Nella mostra, "all'alleato tedesco" è riservata soltanto una riga nella quale si dice che fu "inadeguato"e "criminali le sue politiche". Si ignora completamente la tragedia vissuta in quegli anni dall'Europa, rappresentata dal trionfo dei regimi nazi-fascisti. La Seconda Guerra Mondiale non fu solo un conflitto sanguinoso. Fu anche un vero e proprio scontro planetario tra le forze della coalizione antifascista che si richiamavano agli ideali di democrazia e libertà e quelle, nazifasciste e hitleriane che volevano imporre in Europa e nel mondo un regime antidemocratico, oppressivo, fondato sul razzismo, sull'antisemitismo e sul terrore. Se avessero vinto le forze che si richiamavano alle ideologie nazifasciste, l'Europa si sarebbe trasformata in un immenso campo di concentramento".
"Nei paesi europei occupati dai tedeschi - si spiega ancora - si sviluppa un forte moto resistenziale, determinante, insieme all'intervento delle potenze alleate, per la liberazione del nostro continente dal nazifascismo".
Con l'8 settembre 1943 inizia in Italia la Resistenza armata contro tedeschi e repubblichini. Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato autobiograficamente quel momento del "collasso dello Stato", quando trovò, insieme a tanti altri, nella sua coscienza l'orientamento, perché in essa "vibrava profondo il senso della Patria" assai diverso dalla concezione retorica e tronfia del fascismo.
"Riteniamo inaccettabile la definizione che si dà della Resistenza, come "guerra civile terribile e orrenda che si conclude in un bagno di sangue". La Resistenza fu guerra patriottica di liberazione dall'oppressione nazifascista, nella quale gli italiani riscattarono la dignità del Paese e contrapposizione di culture: da una parte la cultura della forza, della violenza, della subordinazione dell?individuo allo stato, il nazionalismo, il razzismo, l'antisemitismo, dall'altra la cultura della pace, della democrazia, della tolleranza, della solidarietà e la lotta per una società libera e giusta. La Resistenza italiana ha fornito un determinante aiuto militare agli eserciti alleati e tuttavia, ciò che più la caratterizza, è la volontà di tanti, uomini e donne, di reagire, a costo di grandissimi sacrifici, alla sopraffazione e di costruire un progetto di libertà per il futuro del proprio paese".
Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti o mutilati, settecentomila soldati italiani internati nei lager tedeschi dopo l'8 settembre 1943, 40.000 cittadini italiani, tra ebrei, oppositori politici, operai in sciopero, deportati nei lager tedeschi dai quali ben pochi ritornarono, gli operai e i contadini, per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica: questa fu la Resistenza italiana.
"Da essa - si sottolinea - è nata la Costituzione repubblicana che Piero Calamandrei ha definito come "Resistenza tradotta in formule giuridiche" ed è la Resistenza che ha consentito, il 25 Aprile del 1945, la riunificazione dell'Italia per 20 mesi spaccata in due, nella libertà e nell'indipendenza. Se ciò non fosse accaduto la nostra nazione sarebbe scomparsa dalla scena della storia, su cui si era finalmente affacciata come stato moderno nel 1861, con il compimento del moto risorgimentale.
giovedì 17 novembre 2011
mercoledì 16 novembre 2011
domenica 13 novembre 2011
SALVO IL MUSEO DI S.ANNA DI STAZZEMA
Il Museo di Sant'Anna resterà aperto, non chiuderà grazie all'intervento della Regione Toscana.
La Regione Toscana adotterà un provvedimento, probabilmente lunedì prossimo, 14 novembre, per stanziare le risorse necessarie a scongiurare la chiusura del Museo di Sant'Anna di Stazzema. Lo ha detto il presidente della Regione, Enrico Rossi, in visita a S.Anna di Stazzema. Insieme a lui, il sindaco di Stazzema, Michele Silicani, il vicepresidente della Provincia di Lucca, Maura Cavallaro,il presidente dell'associazione Martiri di Sant'Anna, Enrico Pieri, l'on. Carlo Carli, primo firmatario della legge istitutiva del Parco.
Si colmerà così la lacuna derivante dai mancati finanziamenti dello stato per due annualità, pari a 100 mila euro, previsti dalla legge 381/2000 con cui venne istituito il Parco Nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema. La Regione Toscana ha sempre mantenuto i suoi impegni erogando ogni anno 130 mila euro a sostegno del Parco della Pace e si propone di rimediare alla situazione con un intervento aggiuntivo. "E' un dovere istituzionale riparare a questa offesa verso la memoria, le vittime e i superstiti"- ha detto il presidente Enrico Rossi - "e lo faremo con un contributo che consentirà al Museo di restare aperto. Sono qui a S.Anna assumendomi la responsabilità di chiedere scusa a nome della Repubblica italiana, certo di interpretare il sentimento della stragrande maggioranza dei cittadini".
"Il nostro vuole essere un atto riparatore: non possiamo smarrire i riferimenti essenziali da cui è nata la nostra Repubblica e i luoghi che simboleggiano questi valori, come Sant'Anna di Stazzema". Rossi ha ribadito l'importanza per la Regione del Parco Nazionale della Pace. "Insieme a Marzabotto, Boves e le altre località di stragi, è uno dei luoghi fondanti per le ragioni dello stare insieme come cittadini. Tenere aperto il museo è un atto di rispetto per la memoria e di riscatto per il nostro Paese: non possiamo permetterci di dimenticare, non c'è futuro per un paese che smarrisce la memoria. I valori sanciti nella Costituzione nascono dal ripudio della guerra e dai valori dell'antifascismo".
Il Comune ha aperto in queste ore un conto corrente a sostegno del Museo e del Parco (al quale lo stesso presidente Rossi parteciperà a titolo personale), gli estremi sono: IT06L0872670250000000730185- Banca Versilia Lunigiana Garfagnana -Agenzia Pontestazzemese - causale "Salviamo il Parco Nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema" .
Commosso Enrico Pieri, superstite e presidente dell'associazione Martiri di Sant'Anna. "Le parole del presidente mi hanno emozionato: non avevo dubbi che la Regione Toscana intervenisse con prontezza. E' necessario anche un impegno concreto da parte dell'Unione Europea verso S.Anna e tutti i luoghi di strage: è da qui che nasce la Costituzione Italiana ed è da questi valori che deve nascere la Costituzione Europea" .
Il sindaco di Stazzema, Michele Silicani, ha rimarcato l'importanza dell'annuncio di Rossi. "Sant'Anna è stata definita la capitale morale della Toscana. E' fondamentale portare avanti i valori della pace, come stiamo facendo da anni grazie al Museo e lavorare con i giovani: in tutto il mondo è in atto una fase epocale di cambiamenti e rivoluzione e ora più che mai si avverte il bisogno di formazione verso i valori della pace. Con l'Unione Europea i contatti sono stretti: a fine novembre saremo ricevuti dall'eurodeputato Leonardo Domenici e da Martin Schultz, futuro presidente del Parlamento Europeo. Sono questi i progetti che intendiamo portare avanti e il contributo della Regione Toscana è determinante. Sono orgoglioso di avere Enrico Rossi come presidente".
Per la Provincia di Lucca era presente il vicepresidente Maura Cavallaro,che ha confermato "la vicinanza della Provincia a Sant'Anna di Stazzema e alle iniziative che promuovono i valori di pace, la memoria e la solidarietà". Carlo Carli, primo firmatario della legge che ha sancito il Parco si è detto "indignato e addolorato" per la mancata erogazione dei fondi da parte del Governo, che "sono previsti per legge. Il presidente Rossi, al contrario, ha ribadito che i valori di pace devono essere al centro della nostra vita comunitaria. Non dubitavo della prontezza di Rossi e della Regione che si è impegnato a mantenere aperto il Museo".
La Regione Toscana adotterà un provvedimento, probabilmente lunedì prossimo, 14 novembre, per stanziare le risorse necessarie a scongiurare la chiusura del Museo di Sant'Anna di Stazzema. Lo ha detto il presidente della Regione, Enrico Rossi, in visita a S.Anna di Stazzema. Insieme a lui, il sindaco di Stazzema, Michele Silicani, il vicepresidente della Provincia di Lucca, Maura Cavallaro,il presidente dell'associazione Martiri di Sant'Anna, Enrico Pieri, l'on. Carlo Carli, primo firmatario della legge istitutiva del Parco.
Si colmerà così la lacuna derivante dai mancati finanziamenti dello stato per due annualità, pari a 100 mila euro, previsti dalla legge 381/2000 con cui venne istituito il Parco Nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema. La Regione Toscana ha sempre mantenuto i suoi impegni erogando ogni anno 130 mila euro a sostegno del Parco della Pace e si propone di rimediare alla situazione con un intervento aggiuntivo. "E' un dovere istituzionale riparare a questa offesa verso la memoria, le vittime e i superstiti"- ha detto il presidente Enrico Rossi - "e lo faremo con un contributo che consentirà al Museo di restare aperto. Sono qui a S.Anna assumendomi la responsabilità di chiedere scusa a nome della Repubblica italiana, certo di interpretare il sentimento della stragrande maggioranza dei cittadini".
"Il nostro vuole essere un atto riparatore: non possiamo smarrire i riferimenti essenziali da cui è nata la nostra Repubblica e i luoghi che simboleggiano questi valori, come Sant'Anna di Stazzema". Rossi ha ribadito l'importanza per la Regione del Parco Nazionale della Pace. "Insieme a Marzabotto, Boves e le altre località di stragi, è uno dei luoghi fondanti per le ragioni dello stare insieme come cittadini. Tenere aperto il museo è un atto di rispetto per la memoria e di riscatto per il nostro Paese: non possiamo permetterci di dimenticare, non c'è futuro per un paese che smarrisce la memoria. I valori sanciti nella Costituzione nascono dal ripudio della guerra e dai valori dell'antifascismo".
Il Comune ha aperto in queste ore un conto corrente a sostegno del Museo e del Parco (al quale lo stesso presidente Rossi parteciperà a titolo personale), gli estremi sono: IT06L0872670250000000730185- Banca Versilia Lunigiana Garfagnana -Agenzia Pontestazzemese - causale "Salviamo il Parco Nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema" .
Commosso Enrico Pieri, superstite e presidente dell'associazione Martiri di Sant'Anna. "Le parole del presidente mi hanno emozionato: non avevo dubbi che la Regione Toscana intervenisse con prontezza. E' necessario anche un impegno concreto da parte dell'Unione Europea verso S.Anna e tutti i luoghi di strage: è da qui che nasce la Costituzione Italiana ed è da questi valori che deve nascere la Costituzione Europea" .
Il sindaco di Stazzema, Michele Silicani, ha rimarcato l'importanza dell'annuncio di Rossi. "Sant'Anna è stata definita la capitale morale della Toscana. E' fondamentale portare avanti i valori della pace, come stiamo facendo da anni grazie al Museo e lavorare con i giovani: in tutto il mondo è in atto una fase epocale di cambiamenti e rivoluzione e ora più che mai si avverte il bisogno di formazione verso i valori della pace. Con l'Unione Europea i contatti sono stretti: a fine novembre saremo ricevuti dall'eurodeputato Leonardo Domenici e da Martin Schultz, futuro presidente del Parlamento Europeo. Sono questi i progetti che intendiamo portare avanti e il contributo della Regione Toscana è determinante. Sono orgoglioso di avere Enrico Rossi come presidente".
Per la Provincia di Lucca era presente il vicepresidente Maura Cavallaro,che ha confermato "la vicinanza della Provincia a Sant'Anna di Stazzema e alle iniziative che promuovono i valori di pace, la memoria e la solidarietà". Carlo Carli, primo firmatario della legge che ha sancito il Parco si è detto "indignato e addolorato" per la mancata erogazione dei fondi da parte del Governo, che "sono previsti per legge. Il presidente Rossi, al contrario, ha ribadito che i valori di pace devono essere al centro della nostra vita comunitaria. Non dubitavo della prontezza di Rossi e della Regione che si è impegnato a mantenere aperto il Museo".
martedì 8 novembre 2011
MONZA, MARIANI SI RICONFERMA REVISIONISTA
Ancora una volta Mariani, sindaco di Monza, si è rifiutato di rendere omaggio, in occasione della celebrazione del 4 novembre, ai caduti Partigiani.
Gran parte della cittadinanza presente alla celebrazione ha seguito l' Anpi monzese presso il monumento ai caduti della Resistenza mentre il sindaco usciva dal cimitero cittadino.
Proponiamo l'intervento della presidente della sezione Anpi di Monza, Rosella Stucchi.
Gran parte della cittadinanza presente alla celebrazione ha seguito l' Anpi monzese presso il monumento ai caduti della Resistenza mentre il sindaco usciva dal cimitero cittadino.
Proponiamo l'intervento della presidente della sezione Anpi di Monza, Rosella Stucchi.
FASCISTI A MILANO, REPORT VIDEO DELL'INIZIATIVA
Grande partecipazione, venerdì 4 novembre a Monza, all'iniziativa di presentazione del libro di Saverio Ferrari "Fascisti a Milano", organizzata dall'Anpi e dal Comitato Unitario Antifascista locali.
Proponiamo i contributi video della serata: introduzione di Marco Fraceti, relazione di Milena Bracesco relativamente alla "questione Lealtà Azione" e la preziosa analisi di Saverio Ferrari.
Proponiamo i contributi video della serata: introduzione di Marco Fraceti, relazione di Milena Bracesco relativamente alla "questione Lealtà Azione" e la preziosa analisi di Saverio Ferrari.
lunedì 7 novembre 2011
CIAO NORI !
Onorina Brambilla Pesce
Milano 1923 - 2011
«Avevamo tutti un nome di battaglia, io mi ero scelto Sandra; ho fatto una ricerca: mentre gli uomini partigiani si sceglievano nomi fantasiosi, Tarzan, Saetta, Lupo, la maggior parte delle ragazze avevano nomi normali...Elsa... ecco, il massimo era Katia!»[1]
Di famiglia antifascista e comunista, abita con i genitori e la sorella Wanda in una casa di ringhiera ai Tre Furcei, quartiere operaio di Lambrate a Milano. Il padre Romeo, “specializzato” alla Bianchi, fabbrica di biciclette, rifiuta di prendere la tessera del partito fascista; ne conseguono anni di disoccupazione e miseria.
Con la guerra di aggressione all'Abissinia, nel 1935, viene però a mancare la mano d'opera ed è assunto alla Breda. La madre Maria (il suo nome di battaglia negli anni della Resistenza sarà Tatiana) insegna alle figlie Onorina e alla più piccola Wanda a dubitare della propaganda del regime; è operaia, prima alla Agretta, nota per le bibite, e poi alla Safar che produce radio: «Aveva una voce così bella che veniva chiamata a cantare per testare certi microfoni». Desidera per la figlia l'istruzione che la allontani dal duro lavoro della fabbrica.
Onorina frequenta per tre anni una scuola professionale; le piacerebbe continuare a studiare ma i genitori possono solo iscriverla a un corso trimestrale di stenodattilografia dopo il quale, a 14 anni, deve cercare un lavoro.
Viene assunta dalla Paronitti come impiegata: «Non arrivavo neanche alla scrivania e i colleghi mi chiamavano Topolino, dovevano mettermi dei cuscini sulla sedia per alzarmi».
Dal 10 giugno 1940 l'Italia è in guerra.
Onorina rimane in quella ditta 4 anni, ma viene licenziata nel 1941 a causa di un diverbio con il padrone. Trova presto un nuovo impiego in una ditta che produce binari, è incaricata di compilare un inventario, frequenta i capannoni annotando tutto, conosce gli operai, impara a individuare chi è antifascista e chi no. Comincia a studiare l'inglese al Circolo Filologico di Via Clerici: in quella biblioteca circolano ancora, incredibilmente, molti libri vietati dal regime, preziosi per la sua formazione.
La fame si fa sempre più sentire, la gente non ne può più, la guerra toglie il velo a tutte le menzogne della propaganda di regime. La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 coglie la gente di sorpresa, festa e disorientamento sono tutt’uno, i carri armati vengono usati per disperdere la folla. Nell'Agosto 1943 Milano viene bombardata.
La città è in fiamme, colpiti il Duomo, Palazzo Reale, il Castello Sforzesco, la Scala, Sant'Ambrogio, la Pinacoteca di Brera; a Santa Maria delle Grazie il Cenacolo di Leonardo è salvo per puro caso.
Nel rifugio affollato, una sera Onorina non riesce a trattenere la gran rabbia e, salita su un tavolo, senza curarsi dei molti fascisti presenti, grida «È ora di finirla con questa guerra!» È contenta, ha tenuto il suo primo comizio antifascista.
«Secondo me sono state le donne a dare inizio alla Resistenza... la loro partecipazione fu dovuta a motivazioni personali; a differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento nell'esercito di Salò, nessun obbligo le costringeva ad una scelta di parte; fu anche l'occasione per affermare quei diritti che non avevamo mai avuto, mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all'uomo...»
Dopo l'Armistizio dell'8 Settembre 1943 (in effetti una resa senza condizioni), i tedeschi occupano Milano, è finita una guerra ma ne sta iniziando un'altra. I soldati dell'esercito Italiano abbandonano le divise, molti diventano partigiani; i Gruppi di Difesa della Donna (che arrivano a mobilitare, fino all’aprile ’45, almeno 24.ooo donne) si occupano di procurare loro denaro, cibo, vestiti; il compito di Onorina è distribuire la stampa clandestina. Desidera raggiungere in montagna una Brigata Garibaldi, ma la sua amica Vera (nome di battaglia di Francesca Ciceri, comunista) le presenta Visone (Giovanni Pesce) che sarà il suo Comandante e futuro marito. Lui la convince a combattere nella propria città, e Onorina a marzo 1944 lascia il lavoro. “Sandra” diventa Ufficiale di collegamento del III° ー Gap “Egisto Rubini”, equivalente al grado di sottotenente dell'Esercito Italiano, decisamente più che una staffetta. Con la sua bicicletta Bianchi color azzurro cielo[2] trasporta armi, munizioni ed esplosivo, passa spesso, con il cuore in gola, in mezzo ai rastrellamenti nazifascisti. Sono le staffette a portare le armi e a prenderle in consegna dopo un'azione per evitare che i gappisti vengano sorpresi armati e fucilati sul posto.
«C'erano le rappresaglie ma, cosa avremmo dovuto fare? Smettere la lotta? In ogni caso i nazifascisti non avrebbero cessato di fare quello che facevano. Non ho mai provato pena per chi colpivamo. La guerra non l'avevamo voluta noi. Loro ogni giorno fucilavano, deportavano, torturavano. Si dovevano vincere due cose, la pietà e la paura.»
Il 24 giugno 1944 nella “battaglia dei binari” alla stazione di Greco, un bersaglio di straordinaria importanza, Sandra è il collegamento tra i ferrovieri e i gappisti e con la compagna Narva porta i 14 ordigni che, piazzati nei forni di combustione delle locomotive scoppiano simultaneamente; l'azione dei Gap viene citata da Radio Londra.
Il 12 Settembre 1944, a 21 anni, tradita da un partigiano passato al nemico (“Arconati”, Giovanni Jannelli) viene catturata dalle SS nei pressi del Cinema Argentina, nel cuore di Milano. Inizia la prigionia, la sofferenza, il distacco dalla famiglia, la tortura e la violenza fisica subita dalle SS nella Casa del Balilla di Monza, trasformata in carcere.
In attesa dell'interrogatorio cerca di farsi coraggio. Ai gappisti arrestati il Comando chiede di resistere 24 o 48 ore per permettere ai compagni di mettersi in salvo. L'interrogatorio è terribile, vogliono che lei consegni Visone, ore e ore di percosse, torture. Non parla, nessuno dei suoi compagni è compromesso.
Rimane in isolamento totale nel carcere di Monza due mesi, giornate lunghe e vuote, non può comunicare con l'esterno o ricevere notizie. È trasferita a San Vittore per soli due giorni e, l'11 novembre 1944, caricata, con altri prigionieri, su un pullman senza conoscere la destinazione.
Viene imprigionata a Bolzano in un campo di transito. Ancora oggi non si spiega perché le 500 prigioniere politiche che lì si trovavano non furono mai deportate in Germania, diversamente dalle altre 2700 donne che dall’Italia raggiungeranno i campi di concentramento. Mantiene contatti epistolari con la madre, la rassicura sul suo stato fisico e psicologico, riesce persino a scherzare: «se non fosse perché abbiamo sempre fame sembrerebbe una villeggiatura...» Lavora dapprima alla sartoria del campo, in un ambiente stretto e soffocante ma poi riesce a farsi assegnare ai lavori esterni. I tedeschi, prima di fuggire, le rilasciano persino un documento che attesta la prigionia e grazie al quale riuscirà in seguito a dimostrare la sua deportazione.
Milano era stata liberata dei Partigiani e dall'insurrezione popolare il 25 aprile. Onorina decide di non attendere l'arrivo degli americani; con alcuni compagni, sotto la neve, si inerpica sul passo della Mendola, attraversa la Val di Non e il Tonale; si fermano la notte presso i contadini ai quali chiedono cibo e riparo, sono d'aiuto i posti di ristoro dei partigiani delle Fiamme Verdi. Finalmente un pullman fornito dai comuni della zona fino a Ponte di Legno, li porta da lì a Lovere; poi in treno fino a Milano, Stazione Centrale: era il 7 maggio 1945. Con un'assurda “normalità” arriva a Lambrate, a casa, con il tram n. 7. Dalla finestra, vicina a Wanda, guarda emozionata la manifestazione dei Partigiani, rivede Visone, corre in strada, si abbracciano. Nori (come la chiamerà il marito) e Giovanni Pesce, finalmente liberi, si sposano il 14 luglio 1945, non possiedono niente, solo gioia per la ritrovata libertà e speranza per una nuova vita.
Si trasferiscono per un breve periodo a Roma, dopo l'attentato del 1948 a Togliatti, Giovanni guida la Commissione di Vigilanza, a protezione dei maggiori dirigenti del Pci. Nori trova impiego nella segreteria di Pietro Secchia, commissario politico delle Divisioni Garibaldi.
Tornata a Milano lavora alla Federazione del Pci e nella Commissione Femminile della Camera del Lavoro. Successivamente entra a far parte del Comitato Centrale Fiom metalmeccanici, dirige i lavori sindacali, organizza convegni, incontri e scioperi in difesa del posto di lavoro.
Nel 1951 Giovanni Pesce lascia il partito e trova lavoro come rappresentante di caffè; riescono a comprare casa, nasce la figlia Tiziana, non ne avranno altri, «un po' per le ristrettezze economiche e un po' perché eravamo talmente impegnati a fare i rivoluzionari di professione da non avere il tempo utile per essere genitori. Una sera Tiziana ancora bambina mi disse a bruciapelo: io ti ho conosciuto a 8 anni, mamma!»
Nel tempo il commercio di Giovanni si sviluppa e Onorina, per seguirne la parte amministrativa, lascia la sua attività politico-sindacale ma continua ad essere, per 8 anni segretaria nella sezione Pci di Via Don Bosco. Il 27 gennaio 1962 le viene assegnata la Croce di guerra per la sua attività di partigiana.
Nel 1969 Nori e Giovanni aprono un locale di liquori e vini, il Bistrot in Via Zecca Vecchia, dura solo due anni ma è una parentesi felice. Lì si ritrovano scrittori, pittori, studenti, operai. La sera, chiuso il locale, vanno in sezione a fare attività per il Pci e per il Sindacato.
Nori Brambilla Pesce è stata Responsabile della Commissione femminile dell'ANPI, Presidente dell'Associazione ex perseguitati politici italiani antifascisti per la sede di Milano e Presidente onorario A.I.C.V.A.S., l'Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.
«Si vuole falsificare la Resistenza, lo chiamano revisionismo ma spesso è falsificazione della storia. Noi siamo stati impegnati per tutta la vita per difendere la libertà, oggi ho 87 anni, non ho rimorsi, ho un rimpianto ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane perché non amo il buio della notte...»
Onorina ci ha lasciato il 6 Novembre 2011.
Mercoledì 9 novembre 2011 dalle ore 11.00 camera ardente e dalle ore 15.00 cerimonia funebre. Camera del lavoro di Milano - Salone: Di Vittorio. Corso di Porta Vittoria 43.
“Eravamo giovani, ci sentivamo belle, allegre. E’ giusto che venga fuori anche questa nostra normalità. Non eravamo incoscienti, sapevamo di correre dei rischi. Ma volevamo un’Italia diversa, libera, e non c’era altra scelta oltre a quella di resistere e combattere”. Onorina Brambilla Pesce
Milano 1923 - 2011
«Avevamo tutti un nome di battaglia, io mi ero scelto Sandra; ho fatto una ricerca: mentre gli uomini partigiani si sceglievano nomi fantasiosi, Tarzan, Saetta, Lupo, la maggior parte delle ragazze avevano nomi normali...Elsa... ecco, il massimo era Katia!»[1]
Di famiglia antifascista e comunista, abita con i genitori e la sorella Wanda in una casa di ringhiera ai Tre Furcei, quartiere operaio di Lambrate a Milano. Il padre Romeo, “specializzato” alla Bianchi, fabbrica di biciclette, rifiuta di prendere la tessera del partito fascista; ne conseguono anni di disoccupazione e miseria.
Con la guerra di aggressione all'Abissinia, nel 1935, viene però a mancare la mano d'opera ed è assunto alla Breda. La madre Maria (il suo nome di battaglia negli anni della Resistenza sarà Tatiana) insegna alle figlie Onorina e alla più piccola Wanda a dubitare della propaganda del regime; è operaia, prima alla Agretta, nota per le bibite, e poi alla Safar che produce radio: «Aveva una voce così bella che veniva chiamata a cantare per testare certi microfoni». Desidera per la figlia l'istruzione che la allontani dal duro lavoro della fabbrica.
Onorina frequenta per tre anni una scuola professionale; le piacerebbe continuare a studiare ma i genitori possono solo iscriverla a un corso trimestrale di stenodattilografia dopo il quale, a 14 anni, deve cercare un lavoro.
Viene assunta dalla Paronitti come impiegata: «Non arrivavo neanche alla scrivania e i colleghi mi chiamavano Topolino, dovevano mettermi dei cuscini sulla sedia per alzarmi».
Dal 10 giugno 1940 l'Italia è in guerra.
Onorina rimane in quella ditta 4 anni, ma viene licenziata nel 1941 a causa di un diverbio con il padrone. Trova presto un nuovo impiego in una ditta che produce binari, è incaricata di compilare un inventario, frequenta i capannoni annotando tutto, conosce gli operai, impara a individuare chi è antifascista e chi no. Comincia a studiare l'inglese al Circolo Filologico di Via Clerici: in quella biblioteca circolano ancora, incredibilmente, molti libri vietati dal regime, preziosi per la sua formazione.
La fame si fa sempre più sentire, la gente non ne può più, la guerra toglie il velo a tutte le menzogne della propaganda di regime. La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 coglie la gente di sorpresa, festa e disorientamento sono tutt’uno, i carri armati vengono usati per disperdere la folla. Nell'Agosto 1943 Milano viene bombardata.
La città è in fiamme, colpiti il Duomo, Palazzo Reale, il Castello Sforzesco, la Scala, Sant'Ambrogio, la Pinacoteca di Brera; a Santa Maria delle Grazie il Cenacolo di Leonardo è salvo per puro caso.
Nel rifugio affollato, una sera Onorina non riesce a trattenere la gran rabbia e, salita su un tavolo, senza curarsi dei molti fascisti presenti, grida «È ora di finirla con questa guerra!» È contenta, ha tenuto il suo primo comizio antifascista.
«Secondo me sono state le donne a dare inizio alla Resistenza... la loro partecipazione fu dovuta a motivazioni personali; a differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento nell'esercito di Salò, nessun obbligo le costringeva ad una scelta di parte; fu anche l'occasione per affermare quei diritti che non avevamo mai avuto, mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all'uomo...»
Dopo l'Armistizio dell'8 Settembre 1943 (in effetti una resa senza condizioni), i tedeschi occupano Milano, è finita una guerra ma ne sta iniziando un'altra. I soldati dell'esercito Italiano abbandonano le divise, molti diventano partigiani; i Gruppi di Difesa della Donna (che arrivano a mobilitare, fino all’aprile ’45, almeno 24.ooo donne) si occupano di procurare loro denaro, cibo, vestiti; il compito di Onorina è distribuire la stampa clandestina. Desidera raggiungere in montagna una Brigata Garibaldi, ma la sua amica Vera (nome di battaglia di Francesca Ciceri, comunista) le presenta Visone (Giovanni Pesce) che sarà il suo Comandante e futuro marito. Lui la convince a combattere nella propria città, e Onorina a marzo 1944 lascia il lavoro. “Sandra” diventa Ufficiale di collegamento del III° ー Gap “Egisto Rubini”, equivalente al grado di sottotenente dell'Esercito Italiano, decisamente più che una staffetta. Con la sua bicicletta Bianchi color azzurro cielo[2] trasporta armi, munizioni ed esplosivo, passa spesso, con il cuore in gola, in mezzo ai rastrellamenti nazifascisti. Sono le staffette a portare le armi e a prenderle in consegna dopo un'azione per evitare che i gappisti vengano sorpresi armati e fucilati sul posto.
«C'erano le rappresaglie ma, cosa avremmo dovuto fare? Smettere la lotta? In ogni caso i nazifascisti non avrebbero cessato di fare quello che facevano. Non ho mai provato pena per chi colpivamo. La guerra non l'avevamo voluta noi. Loro ogni giorno fucilavano, deportavano, torturavano. Si dovevano vincere due cose, la pietà e la paura.»
Il 24 giugno 1944 nella “battaglia dei binari” alla stazione di Greco, un bersaglio di straordinaria importanza, Sandra è il collegamento tra i ferrovieri e i gappisti e con la compagna Narva porta i 14 ordigni che, piazzati nei forni di combustione delle locomotive scoppiano simultaneamente; l'azione dei Gap viene citata da Radio Londra.
Il 12 Settembre 1944, a 21 anni, tradita da un partigiano passato al nemico (“Arconati”, Giovanni Jannelli) viene catturata dalle SS nei pressi del Cinema Argentina, nel cuore di Milano. Inizia la prigionia, la sofferenza, il distacco dalla famiglia, la tortura e la violenza fisica subita dalle SS nella Casa del Balilla di Monza, trasformata in carcere.
In attesa dell'interrogatorio cerca di farsi coraggio. Ai gappisti arrestati il Comando chiede di resistere 24 o 48 ore per permettere ai compagni di mettersi in salvo. L'interrogatorio è terribile, vogliono che lei consegni Visone, ore e ore di percosse, torture. Non parla, nessuno dei suoi compagni è compromesso.
Rimane in isolamento totale nel carcere di Monza due mesi, giornate lunghe e vuote, non può comunicare con l'esterno o ricevere notizie. È trasferita a San Vittore per soli due giorni e, l'11 novembre 1944, caricata, con altri prigionieri, su un pullman senza conoscere la destinazione.
Viene imprigionata a Bolzano in un campo di transito. Ancora oggi non si spiega perché le 500 prigioniere politiche che lì si trovavano non furono mai deportate in Germania, diversamente dalle altre 2700 donne che dall’Italia raggiungeranno i campi di concentramento. Mantiene contatti epistolari con la madre, la rassicura sul suo stato fisico e psicologico, riesce persino a scherzare: «se non fosse perché abbiamo sempre fame sembrerebbe una villeggiatura...» Lavora dapprima alla sartoria del campo, in un ambiente stretto e soffocante ma poi riesce a farsi assegnare ai lavori esterni. I tedeschi, prima di fuggire, le rilasciano persino un documento che attesta la prigionia e grazie al quale riuscirà in seguito a dimostrare la sua deportazione.
Milano era stata liberata dei Partigiani e dall'insurrezione popolare il 25 aprile. Onorina decide di non attendere l'arrivo degli americani; con alcuni compagni, sotto la neve, si inerpica sul passo della Mendola, attraversa la Val di Non e il Tonale; si fermano la notte presso i contadini ai quali chiedono cibo e riparo, sono d'aiuto i posti di ristoro dei partigiani delle Fiamme Verdi. Finalmente un pullman fornito dai comuni della zona fino a Ponte di Legno, li porta da lì a Lovere; poi in treno fino a Milano, Stazione Centrale: era il 7 maggio 1945. Con un'assurda “normalità” arriva a Lambrate, a casa, con il tram n. 7. Dalla finestra, vicina a Wanda, guarda emozionata la manifestazione dei Partigiani, rivede Visone, corre in strada, si abbracciano. Nori (come la chiamerà il marito) e Giovanni Pesce, finalmente liberi, si sposano il 14 luglio 1945, non possiedono niente, solo gioia per la ritrovata libertà e speranza per una nuova vita.
Si trasferiscono per un breve periodo a Roma, dopo l'attentato del 1948 a Togliatti, Giovanni guida la Commissione di Vigilanza, a protezione dei maggiori dirigenti del Pci. Nori trova impiego nella segreteria di Pietro Secchia, commissario politico delle Divisioni Garibaldi.
Tornata a Milano lavora alla Federazione del Pci e nella Commissione Femminile della Camera del Lavoro. Successivamente entra a far parte del Comitato Centrale Fiom metalmeccanici, dirige i lavori sindacali, organizza convegni, incontri e scioperi in difesa del posto di lavoro.
Nel 1951 Giovanni Pesce lascia il partito e trova lavoro come rappresentante di caffè; riescono a comprare casa, nasce la figlia Tiziana, non ne avranno altri, «un po' per le ristrettezze economiche e un po' perché eravamo talmente impegnati a fare i rivoluzionari di professione da non avere il tempo utile per essere genitori. Una sera Tiziana ancora bambina mi disse a bruciapelo: io ti ho conosciuto a 8 anni, mamma!»
Nel tempo il commercio di Giovanni si sviluppa e Onorina, per seguirne la parte amministrativa, lascia la sua attività politico-sindacale ma continua ad essere, per 8 anni segretaria nella sezione Pci di Via Don Bosco. Il 27 gennaio 1962 le viene assegnata la Croce di guerra per la sua attività di partigiana.
Nel 1969 Nori e Giovanni aprono un locale di liquori e vini, il Bistrot in Via Zecca Vecchia, dura solo due anni ma è una parentesi felice. Lì si ritrovano scrittori, pittori, studenti, operai. La sera, chiuso il locale, vanno in sezione a fare attività per il Pci e per il Sindacato.
Nori Brambilla Pesce è stata Responsabile della Commissione femminile dell'ANPI, Presidente dell'Associazione ex perseguitati politici italiani antifascisti per la sede di Milano e Presidente onorario A.I.C.V.A.S., l'Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.
«Si vuole falsificare la Resistenza, lo chiamano revisionismo ma spesso è falsificazione della storia. Noi siamo stati impegnati per tutta la vita per difendere la libertà, oggi ho 87 anni, non ho rimorsi, ho un rimpianto ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane perché non amo il buio della notte...»
Onorina ci ha lasciato il 6 Novembre 2011.
Mercoledì 9 novembre 2011 dalle ore 11.00 camera ardente e dalle ore 15.00 cerimonia funebre. Camera del lavoro di Milano - Salone: Di Vittorio. Corso di Porta Vittoria 43.
“Eravamo giovani, ci sentivamo belle, allegre. E’ giusto che venga fuori anche questa nostra normalità. Non eravamo incoscienti, sapevamo di correre dei rischi. Ma volevamo un’Italia diversa, libera, e non c’era altra scelta oltre a quella di resistere e combattere”. Onorina Brambilla Pesce
giovedì 3 novembre 2011
IL REPORT VIDEO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE FEMMINILE DELL'ANPI
Domenica 30 ottobre 2011 si è riunito a Milano il Coordinamento nazionale femminile dell'Anpi cui hanno partecipato le componenti del Comitato nazionale,del Consiglio nazionale,le donne presidenti di Comitati provinciali e le componenti del gruppo di lavoro del precedente Coordinamento femminile.
E' intervenuto anche il presidente nazionale Carlo Smuraglia.
Il Congresso nazionale di Torino dello scorso marzo ha impegnato tutte le forze dell'Associazione a dare vita alla nuova stagione dell'Anpi, in un momento gravissimo della vita nazionale che richiede una profonda opera di ricostruzione etica, sociale e civile del paese, basata sui valori dell'antifascismo e della Costituzione. In tale contesto le donne possono giocare un ruolo importante, come ha dimostrato la loro entrata in campo il 13 febbraio scorso. Le donne dell'Anpi sono già parte attiva di questo "risveglio" e vogliono ulteriormente contribuire con idee ed esperienze concrete.
Dal 1981 esiste nell'Associazione un Coordinamento femminile nazionale che, ricostituito nel 2009 con la Conferenza Nazionale di organizzazione, ha svolto negli ultimi anni un significativo lavoro di elaborazione ed iniziativa politica, i cui contenuti sono stati recepiti nel documento conclusivo del Congresso nazionale.
E' necessario ora dare continuità e sviluppo a questa esperienza.
Nel corso della giornata ampio e proficuo è stato il dibattito che ha visto susseguirsi più di venti interventi, su circa trenta partecipanti.
Qui sotto trovate alcuni contributi video dell'intensa giornata di lavoro.
L'introduzione di Marisa Ombra, la relazione di Eletta Bertani, l'intervento di Carlo Smuraglia e le relative conclusioni.
FASCISTI A MILANO. INTERVISTA A SAVERIO FERRARI SU "IL FATTO QUOTIDIANO"
Il libro di Saverio Ferrari, curatore anche del sito osservatoriodemocratico, ricostruisce la storia di un mondo in cui nomi e gesta si ripetono nei decenni, anche se spesso con stanchi e macabri rituali.
È la storia milanese di quelli che Renato Sarti, a ragione, ha chiamato i “mai morti”. E che Saverio Ferrari, in Fascisti a Milano, da Ordine Nuovo a Cuore Nero, descrive come un mondo in cui nomi e gesta si ripetono nei decenni, anche se spesso con stanchi e macabri rituali. È un sottobosco che oggi si muove tra locali bene e palestre di boxe, tra lamate ai compagni e pistolettate ai camerati infedeli, tra spaccio e vendita di armi. L’innegabile capacità mimetica, proprio come si confà a un soldato politico, permette loro di riemergere in modo carsico dai rivoli putrescenti della storia. Come? Come sempre: infiltrandosi nella pieghe del potere (oggi Lega Nord o Pdl), dividendosi in piccole frazioni pronte ad agire come irrazionali squadracce, cooptando la malavita e scendendo a patti con le mafie. Oppure arruolando politicamente le curve degli stadi. Sono gli stessi, per intenderci, che ogni primo novembre sfilano al cimitero Maggiore (talvolta insieme al sindaco con la fascia tricolore a tracolla) per rendere omaggio, tra labari e bandiere con il gladio, agli aguzzini della Repubblica di Salò. Gli stessi che accoltellano un consigliere comunale di Rifondazione comunista intento ad attaccare manifesti, oppure mettono per due volte una bomba nella sede dell’Associazione Naga, colpevole di occuparsi dei diritti degli immigrati. Sono i “mai morti”, insomma. A Milano, non su Marte.
Saverio Ferrari che differenza c’è tra i fascisti di oggi e quelli degli anni Settanta?
La stagione degli anni Settanta è sepolta. Allora i neofascisti furono utilizzati per compiti che oggi non servono più. Non dimentichiamo che Ordine nuovo era stato allevato dai servizi segreti ai fini della guerra psicologica. La strategia della tensione, infatti, non fu la follia di un pazzo isolato, ma un progetto ben pianificato e cominciato al convegno dell’Hotel Parco dei principi a Roma nel 1965. Poi quelle stesse organizzazioni furono combattute dalla magistratura e sciolte dal ministero degli interni. Oggi invece notiamo come ci sia una maggiore vicinanza, diciamo ideologica, tra la destra di governo e quella fascista. Basti pensare al rifiuto della società multiculturale, alla difesa dell’Occidente, della cristianità e della famiglia. Ma anche il tentativo di modificare la costituzione, di rivedere la resistenza facendola passare per banditismo e di riscrivere la storia degli anni Settanta, coprendo le responsabilità della destra e colpevolizzando le sinistre. In un certo senso un denominatore comune con i fascisti del passato è il fatto che c’è sempre una cittadella da difendere.
Eppure il neofascismo continua a frazionarsi…
Be’, quello è un mondo in cui ognuno vuole fare il duce. Però si frazionano anche per divergenze culturali. Forza nuova, ad esempio, ha forti connotazioni cristiane, altri invece sono legati a riti pagani. C’è poi in loro una vocazione elitaria, quindi si comportano come gli squadristi degli anni Venti, cercando di ripeterne la storia in base all’assunto che pochi elementi possono sconfiggere grandi masse. Insomma, vecchi miti riproposti senza grande fantasia. Il 23 marzo scorso, addirittura, per il 91° anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, una decina di camerati ha tenuto una commemorazione in onore degli squadristi della prima ora. Alla cerimonia ha partecipato un vecchio “mutino” (della Legione Muti, famigerata a Milano per le torture inflitte agli antifascisti durante la Repubblica di Salò, NdR). Si dà il caso, infatti, che al cimitero monumentale di Milano esista ancora un sacrario dei martiri fascisti della “rivoluzione”, eretto durante il regime. Si tratta di 13 giovani che si erano macchiati di efferatezze: bombe, omicidi, spedizioni punitive, assalti a redazioni di giornali e camere del lavoro, botte a dirigenti politici nemici e a sindaci regolarmente eletti. Tutti morti in “incidenti sul lavoro”.
Il libro racconta anche la storia politica delle due curve milanesi. È quello il principale luogo di reclutamento del neofascismo milanese?
Le curve degli stadi in verità non sono un buon luogo di proselitismo. Servono per far passare alcuni messaggi, ma poi non tutti diventano fascisti. È uno spazio dove far vivere certi rituali, non un luogo di reclutamento. Anche perché a Milano le curve sono oramai preda delle organizzazioni criminali. C’è però un’ambizione a entrare in relazione con le nuove generazioni, perché arruolare giovani è sempre stato un problema per la destra. Ecco perché le discoteche, le palestre, gli stadi. Ma anche i centri sociali, come Casa Pound. Sembra che, non avendo strumenti loro, si mettano a copiare. E allora diventano anticapitalisti, anti globalizzazione, arruolano miti giovanili come Rino Gaetano e addirittura Che Guevara. Contestano perfino la Gelmini. È un giovanilismo fine a se stesso, certo, ma molto in sintonia con il fascismo degli anni Venti.
Un’altra questione che si evince dal suo libro è il rapporto che c’è oggi tra neofascismo e mafie.
Che poi non è una novità. Da sempre le ‘ndrine hanno avuto rapporti con i fascisti, come a Reggio Calabria nel 1970. E per il golpe borghese si mosse la mafia, che fece un summit in via General Govone a Milano. Oggi la Dia ha scoperto la contiguità tra neofascisti milanesi e organizzazioni mafiose. Non è un rapporto di tipo eversivo, ma legato ad affari, ricchezza e potere. E a rapporti personali. Per esempio a Domenico Magnetta (uomo di fiducia di Lino Guaglianone, tesoriere dei Nar condannato dalla Cassazione nel 1995) hanno trovato un arsenale. Progettavano un attentato a un magistrato con tanto di auto clonata. E forse non è un caso che Guaglianone (candidato per AN nel 2005, NdR) abbia preso voti a Buccinasco.
Un pentito sembra voler fornire nuove informazioni sulla strage di Brescia. L’impressione è che si cerchi di tenere in vita un processo per una strage i cui responsabili sono già stati processati.
In realtà ci sono due nuovi pentiti. Uno avrebbe sentito casualmente un imputato per la strage dire di aver mentito perché sotto ricatto. Ma non penso che questo possa avere ripercussioni sul processo d’appello. La Cassazione ha già condannato come esecutore Ermanno Buzzi, che poi fu ucciso in carcere da Tuti e Concutelli. Altri invece sono stati addirittura già processati e assolti. La fonte Tritone, cioè Maurizio Tramonte, che disse cose molto importanti a ridosso della strage, poi ritrattò. Un prete affermò di aver visto lo stragista, ma non venne creduto. Tutto ha sempre concorso a intorpidire le acque e a fornire verità. Ciò nonostante in questi ultimi 15 anni gli elementi per esprimere un giudizio storico ci sono tutti. Alla sbarra sono state portate parecchie persone che però, ad eccezione di Rauti e Delfino, non erano che meri esecutori. Mancano le figure di raccordo con le istituzioni, e le coperture. Perché è chiaro che gli apparati di intelligence e i servizi segreti erano conoscenze delle trame eversive. Un po’ lasciavano fare, un po’ orientavano. È una storia che ancora deve essere scritta. Mancano i nomi dei piani alti. Questi di sicuro non sono stati ancora processati.
tratto dal Fatto quotidiano on line
Ricordiamo che Saverio Ferrari presenterà il suo libro a Monza venerdì 4 novembre !
lunedì 31 ottobre 2011
MILANO, APPELLO DELL'ANPI CONTRO IL NEOFASCISMO
Promossa dal Comitato permanente antifascista, partecipata manifestazione sabato 29 ottobre alla Loggia dei Mercanti di Milano per protestare contro il moltiplicarsi delle iniziative neofasciste.
Qui di seguito l'intervento di Roberto Cenati, presidente ANPI Provinciale di Milano.
Ancora una volta siamo chiamati a rendere omaggio alla memoria dei Caduti per la Libertà e ai deportati scomparsi nei lager nazisti, in questa giornata in cui a Milano, Città medaglia d’Oro della Resistenza si stanno svolgendo iniziative del gruppo neofascista Forza Nuova, contro banche e usura, proprio in coincidenza con l’infausto anniversario della Marcia su Roma, con il quale è iniziato il tragico periodo della dittatura fascista che tante sciagure ha provocato nel nostro Paese. La nostra città rende sempre omaggio, nelle date poste a fondamento della nostra democrazia, e nei momenti difficili che la nostra città ha attraversato e attraversa a seguito del ripetersi di preoccupanti rigurgiti neofascisti e neonazisti, con l’apertura di nuove sedi e di nuovi punti di riferimento, al sacrario della Loggia dei Mercanti.
Questo luogo ha un grande significato per Milano. A poca distanza da qui, fuori da Palazzo Marino è affissa la motivazione della Medaglia d’Oro alla città di Milano che lega le epiche Cinque Giornate e il primo Risorgimento (quest’anno ricorre il 150° dell’Unità d’Italia) al Secondo Risorgimento, alla Resistenza.
La deriva revisionista - Negli ultimi anni si è fatta sempre più intensa, nel nostro Paese, l’offensiva revisionista, volta, non solo a mettere sullo stesso piano repubblichini e partigiani, ma a rivalutare pienamente il fascismo e i suoi simboli.
La proposta di Legge 3442 e i disegni di legge della destra - Alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati è stata approvata la proposta di legge a firma Cirielli e Fontana che vuole disciplinare le associazioni combattenti e reduci affidando il tutto alla regia del Ministero della Difesa. Il punto grave è che chiunque abbia svolto attività militare, può reclamare il diritto di formare un’associazione di combattenti e reduci a prescindere da un criterio fondamentale: l’adesione ai valori della Costituzione. Questa norma può costituire la via per dare ai repubblichini di Salò il riconoscimento che cercano da anni.
Il 29 marzo 2011 viene presentato un altro progetto di legge, questa volta al Senato, che propone di abolire la XII norma transitoria e finale della Costituzione che “vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”.
In piena estate, poi, il governo aveva previsto l’abolizione delle festività laiche: 25 Aprile (data alla quale qualcuno vorrebbe sostituire il 18 aprile che ricorda la sconfitta del Fronte Popolare), 1° Maggio e 2 Giugno, suscitando l’immediata protesta e mobilitazione delle Associazioni resistenziali, delle forze politiche democratiche, e della stessa opinione pubblica. Le tre date, infatti, costituiscono qualcosa di più di semplici festività: si tratta di vere e proprie ricorrenze della civiltà, di date fondanti della nostra democrazia.
C’è quindi un clima favorevole ai rigurgiti, non solo per la deriva revisionistica cui sopra accennavo, ma anche per gli attacchi reiterati alla Costituzione, alle istituzioni di garanzia, alla magistratura, al capo dello Stato, che da mesi sono portati avanti con continuità dal Presidente del Consiglio.
L’ultra destra in Europa - Quello che maggiormente preoccupa è la presenza di un vento reazionario e populista che rischia di contagiare l’intera Europa. In Finlandia i Veri finlandesi, euroscettici e anti-immigrazione, sono la terza forza politica del Paese; in Ungheria, con il 16,7% dei voti il partito di estrema destra Jobbik (estimatore delle Croci frecciate, collaborazioniste dei nazisti durante l’occupazione tedesca) anti-rom e antisemita è entrato in Parlamento nel 2010. Lo stesso terribile eccidio compiuto ad Oslo è stato forse opera di una sola persona che però è rappresentativa di un segmento oscuro della società norvegese. Lo dimostra il fatto che l’autore di quella sanguinosa strage fosse attivo su un sito dell’estrema destra norvegese che ospitava interventi caratterizzati da sentimenti contrari all’immigrazione e xenofobi. Non è un caso che siano stati presi di mira proprio i giovani laburisti norvegesi proprio perché chiedevano una maggiore apertura e più multiculturalismo
Il rifiuto dello straniero, la chiusura delle frontiere mentali prima ancora che geografiche caratterizzano questi movimenti.
I movimenti neofascisti in Italia - Nel neofascismo italiano è in atto un’evoluzione: sempre più marcate si stanno manifestando le tendenze ad assumere o ricercare riferimenti non più solo nel ventennio mussoliniano, ma direttamente nel nazismo.
Milano dice no al neofascismo - Non c’è dubbio che questi rigurgiti debbano essere considerati per quello che sono: cioè qualcosa di più e peggio di forme ascrivibili alla nostalgia. Occorre un impegno comune, delle istituzioni, dell’associazionismo, dei cittadini affinché queste iniziative neofasciste abbiano finalmente a cessare e diventino improponibili nella nostra città.
Chiediamo quindi alle istituzioni e alle Forze preposte alla difesa dell’Ordine Pubblico di dedicare particolare attenzione a questo preoccupante fenomeno e di intervenire per impedire che si svolgano a Milano manifestazioni pubbliche di matrice neofascista, perché in contrasto con lo spirito e i principi della nostra Carta Costituzionale.
Uno sforzo particolare va inoltre compiuto nella direzione di comprendere le ragioni di questi rinascenti fenomeni, denunciando le tolleranze, le connivenze, le protezioni, nella consapevolezza che il modo migliore per combattere ogni forma di fascismo è quello di togliergli l’humus su cui affonda le sue radici, il terreno su cui può attecchire, il clima complessivo che lo rende audace, le protezioni in cui confida.
Il Comitato Permanente Antifascista - Il reiterarsi di manifestazioni e iniziative di tipo dichiaratamente fascista va contrastato con la più ampia unità dei democratici, degli antifascisti, delle forze politiche, sociali e sindacali realizzatasi nel Comitato Permanente Antifascista costituitosi a Milano, nel maggio 1969, all’indomani delle bombe neofasciste alla Fiera Campionaria e alla Stazione Centrale. Da allora il Comitato Permanente Antifascista è intervenuto puntualmente in tutte le gravi e laceranti vicende che, dalla strage di piazza Fontana, hanno segnato la vita della Repubblica. Per la sua iniziativa politica unitaria, forza mobilitativa e coerente fermezza, il Comitato è divenuto nella fase della strategia della tensione prima, e del terrorismo poi, punto di riferimento qualificato e riconosciuto dalle diverse componenti politiche, sociali e civili milanesi nella lotta contro il fascismo e il terrorismo, in difesa della repubblica e della democrazia.
L’iniziativa culturale - Accanto alla indispensabile unità di tutti i democratici per contrastare questi preoccupanti fenomeni, è necessario sviluppare una intensa e continuativa iniziativa di carattere storico, culturale e ideale per vincere l’indifferenza di tanti nostri concittadini: dobbiamo far conoscere quello che è stato davvero il fascismo e per quale ragione ci siano ben pochi motivi per ricordarlo con nostalgia. La versione di un fascismo buono è falsa: lo dimostrano alcuni dati: 3.000 uccisi dal 1920 al 1925; 16.000 oppositori deferiti al Tribunale speciale, che ha comminato complessivamente 28.000 anni di carcere; 12.000 antifascisti inviati al confino; per non parlare delle leggi antisemite del 1938 con la partecipazione attiva dei repubblichini nella delazione e nella consegna ai tedeschi di nostri concittadini. A tutto ciò si devono aggiungere le drammatiche conseguenze provocate dalla Seconda Guerra Mondiale con la serie infinita di lutti, sofferenze e tragedie inflitte alla popolazione.
La Costituzione Repubblicana: punto di riferimento imprescindibile - Nostro imprescindibile punto di riferimento deve essere la nostra Costituzione Repubblicana che, in tutto il suo spirito, nei suoi valori, nel suo complessivo sistema, contrasta con ogni forma di autoritarismo, di populismo, di intolleranza, e dunque con ogni tipo di fascismo, comunque si atteggi e di qualunque camicia si rivesta.
E’ mia profonda convinzione che non ci si debba limitare al fascismo in camicia nera, ma che sia necessario estendere la nostra azione a tutto ciò che sa di limitazione della libertà, di contestazione dei principi di fondo della nostra Costituzione, di disprezzo delle regole. Ciò che conta è tenere sempre presente la storia e ricordarci che essa ci insegna che i pericoli per la democrazia possono assumere aspetti multiformi e non debbono mai essere sottovalutati. Quando si osa proporre di modificare interi articoli della Carta Costituzionale, come l’articolo 1 o il 41, vuol dire che siamo già oltre il limite della tollerabilità ed è indispensabile reagire con forza e con fermezza.
La Loggia dei Mercanti - Restituire dignità e decoro alla Loggia dei Mercanti, sotto la quale sorge il sacrario dei Caduti per la Libertà, come abbiamo richiesto nell’incontro con il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, e rendere la Loggia un luogo della Memoria viva della nostra città, significa fare un importante passo avanti nella direzione di quella battaglia culturale cui prima accennavo. Qui sorgono il palazzo dei Giureconsulti e il Palazzo della Ragione, eretto nel 1233 e rimasto sede del Comune fino al 1770. Con il Castello, e Palazzo Marino, la Loggia costituisce il segno dei tre poteri civili di Milano che affermano la continuità della storia della nostra città, della sua tradizione civica, del suo essere luogo di emancipazione e progresso.
Milano è la città delle Cinque Giornate - E’ a Milano che si registra l’ingresso dei Socialisti a Palazzo Marino a seguito delle elezioni amministrative del 1889, è a Milano che avviene la prima solenne celebrazione del Primo Maggio nel 1890 e che viene costituita, sotto gli auspici del Comune, la prima Camera del Lavoro italiana, nel 1891 (di cui ricorre quest’anno il 120° anniversario della sua costituzione).
Ecco perché vogliamo rendere la Loggia dei Mercanti non solo luogo della memoria viva di Milano, ma anche della cultura, della storia della nostra città, nella consapevolezza che la conoscenza storica e culturale delle gloriose vicende cittadine possa costituire il miglior antidoto contro pericolosi richiami di natura eversiva e antidemocratica. La memoria, legata alla storia e alla iniziativa culturale sono la risposta più valida ed efficace che possiamo dare al preoccupante manifestarsi e rinnovarsi dei movimenti neofascisti e neonazisti a Milano.
Roberto Cenati
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