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mercoledì 29 dicembre 2010

DISCORSO DI NAPOLITANO ALL' INCONTRO CON LE ALTE MAGISTRATURE DELLA REPUBBLICA

Palazzo del Quirinale, 20/12/2010

Vengo dal rendere omaggio, che rinnovo qui a nome di voi tutti, alla memoria di una personalità di alto profilo europeo e internazionale come Tommaso Padoa Schioppa, repentinamente scomparso.

Nell'aprire questa cerimonia, desidero innanzitutto ringraziare vivamente il Presidente Schifani, che ha nel suo indirizzo di saluto evocato temi e formulato voti nei quali mi riconosco, e lo ha fatto rivolgendomi espressioni di caloroso apprezzamento per il ruolo che esercito in stretto rapporto con le altre istituzioni della Repubblica.

L'attenzione pubblica, in Italia e perfino fuori d'Italia, è stata largamente attratta dalle nostre recenti vicende politico-parlamentari, anche per i loro tratti piuttosto inconsueti. Ma sarebbe per me improprio e non avrebbe senso richiamarle oggi qui, se non per qualche riferimento obbligato nell'ambito di una riflessione che può e deve darsi un orizzonte più ampio.

Quali nodi sono per il nostro paese venuti al pettine nel corso di quest'anno e già si proiettano nell'anno che sta per iniziare? Non altro è il filo che cercherò di svolgere. Sono, a mio parere, i nodi del rapporto tra l'Italia e l'Europa in un mondo mai apparsoci così globalizzato e gravido di sfide, e i nodi del rapporto tra società, politica e istituzioni in una fase critica per la nostra economia, per il nostro sviluppo.

Parto dalla constatazione che è divenuto letteralmente impossibile disgiungere qualsiasi ragionamento sulle condizioni e sulle prospettive dell'Italia dalla considerazione del contesto e del possibile percorso dell'Europa, dell'Unione Europea. L'attenzione a tale contesto è stata, in effetti, discontinua e inadeguata anche nel corso del 2010, benché proprio nel corso di quest'anno abbiamo sentito stringersi attorno a noi il quadro dei condizionamenti, dei vincoli come degli stimoli al livello europeo.

Ha senza dubbio pesato, in modo particolare sul confronto politico, un serio deficit di analisi, di approfondimento, di assunzione impegnativa dei temi della realtà europea e dell'evoluzione in atto nell'Unione Europea.

La crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008 ha fin dall'inizio minacciato e ben presto provocato gravi ricadute sull'economia in Europa, ma è stato nella seconda metà del 2010 che ha specificamente e direttamente investito l'Euro e gli equilibri nell'Eurozona.

Non occorre rievocare le tensioni che hanno scosso la Grecia, una volta venuto alla luce il dissesto dei suoi conti pubblici, e poi l'Irlanda, in relazione al dissesto del suo sistema bancario, la cui spregiudicata gestione aveva come corresponsabili istituti creditizi di altri paesi europei. Quel che vale la pena di mettere in evidenza è che di fronte a queste tensioni e minacce di possibile estensione ad altri Stati membri dell'Unione, sono venute a nudo insufficienze strutturali della costruzione europea e ambiguità, debolezze, divisioni sul piano politico rispetto agli sviluppi da dare a quel processo.

Anche dopo la riunione del Consiglio Europeo di qualche giorno fa, rimangono aperte questioni relative all'impegno comune per affrontare e prevenire crisi finanziarie nei singoli Stati, per definire una governance efficace, per garantire a sostegno della moneta unica quell'indispensabile coordinamento delle politiche di bilancio ed economiche, per la stabilità e per la crescita, che è finora mancato.

Non si è ancora pienamente usciti, com'è invece necessario, da una situazione in cui è apparso a rischio, anche attraverso imprudenti esternazioni, il destino dell'Euro se non della stessa Unione, ed è apparso dubbio l'impegno a difendere e rafforzare entrambe quelle storiche, irrinunciabili conquiste.

Ebbene, l'Italia non può che essere - in coerenza con una scelta e una linea di condotta più che cinquantennali - in prima linea non solo nel sostenere le ragioni di fondo del processo di integrazione e del suo ulteriore sviluppo ma nel rivendicare la validità della scelta dell'Euro, ciò che essa ha significato, nell'interesse di tutti, per l'unità dell'Europa, per la sua stabilità e per la sua crescita, per il suo ruolo nel mondo.

Perciò l'Italia sostiene oggi proposte come quella prospettata da una nostra autorevole personalità europeista, e avanzata dal nostro ministro dell'Economia insieme col presidente dell'Eurogruppo Junker, per soluzioni non attendiste, d'incerta e insufficiente portata, ancora caso per caso, ma organiche e credibili, dinanzi alla crisi dell'Euro.

Voci significative si sono levate in questo senso - e non c'è bisogno di segnalare l'importanza di ciò - anche in Germania, denunciando il rischio che può comportare "una mancanza di coraggio politico".

Il mio auspicio, e il mio personale impegno, è per una rinnovata capacità dell'Italia di contribuire al rilancio della volontà politica comune a sostegno dello sviluppo dell'integrazione europea. Ciò comporta però - sia chiaro - la massima serietà da parte nostra nel misurarci in Europa con una condivisa "cultura della stabilità", nel fare quindi i conti con l'imperativo di ridurre il così grave peso del debito pubblico accumulato dallo Stato italiano, che ovviamente penalizza anche il nostro sviluppo.

Noi abbiamo ragione di mettere in evidenza - lo ha ribadito di recente anche il governatore della Banca d'Italia, con parole che faccio mie - come "l'Italia abbia punti di forza che altri paesi non hanno", disponendo di una "struttura finanziaria robusta", registrando "il più basso indebitamento delle famiglie nell'Unione" e contando su banche "uscite indenni dalla crisi" grazie alla "qualità dei loro assets" e alla prudenza dei loro comportamenti.

E' giusto adoperarsi, come il governo ha fatto, perché questi punti di forza vengano riconosciuti nelle sedi europee. Ed è giusto ricordare e sottolineare che, come rilevano studiosi d'indubbio rigore, stabilità finanziaria e crescita economica sono inscindibili, che la spesa pubblica per investimenti andrebbe valutata e trattata distintamente dalla spesa corrente, che la traiettoria del rientro dal debito pubblico per ciascun paese va definita - tenendo conto della situazione complessiva che esso presenta - in tempi e termini tali da evitare una controproducente contrazione delle possibilità di crescita.

Ma detto tutto ciò non si può illusoriamente girare attorno alla necessità di un impegno forte e continuativo, in Italia, per la riduzione del debito pubblico. Il che richiede nuovi approfondimenti circa le strade da prendere, molti ripensamenti, correzioni, sacrifici rispetto ad abitudini e aspettative radicate, e discussioni più oggettive, concrete ed aperte sulle priorità da osservare nella destinazione delle risorse finanziarie pubbliche disponibili. Possibile che su questa questione non si pensi a una sede di riflessione e ricerca bipartisan?

E con essa va congiuntamente affrontata la questione di fondo, che neppure può più essere elusa, delle cause della bassa crescita, da troppo tempo stentata, della nostra economia, e della sua scarsa produttività. E sappiamo come la rimozione di quelle cause implichi un insieme di riforme, di varia natura, di cui ancora si parla senza riuscire ad assicurarne il decollo.

E' a queste questioni da me ora sommariamente richiamate che mi riferivo di recente nel sollecitare come essenziale un nuovo "spirito di condivisione", che conduca le forze politiche e le forze sociali a individuare, fuori di ogni schema e contrapposizione pregiudiziale, i temi, le esigenze, le sfide ineludibili per qualsiasi soggetto rappresentativo responsabile.

Si confrontino liberamente, s'intende, le diverse proposte configurabili per le riforme da adottare, per le politiche pubbliche di medio e lungo termine da perseguire, per i comportamenti collettivi da stimolare : ma nessuno si sottragga a questo esercizio di responsabilità.

L'Italia può e deve farcela nell'attuale, per quanto difficile fase storica : ne abbiamo le potenzialità, le risorse umane, le energie culturali, tecniche, imprenditoriali. E possiamo nuovamente esprimere lo stesso formidabile scatto di volontà, impegno costruttivo, slancio innovativo che ci portò a celebrare, nel 1961, centenario dell'Unità d'Italia, i risultati superiori a ogni previsione conseguiti uscendo dalla dittatura e da una guerra distruggitrice. Ma la condizione per farcela ora è guardare in modo impietoso alle debolezze da superare, alle sfide da non perdere. La condizione è prendere piena consapevolezza, noi tutti, dei rischi che corriamo e della durezza delle prove che ci attendono non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni.

Lasciatemi dire che da questa comune consapevolezza siamo oggi lontani. Ne sono lontani i fatti e le amare cronache della politica, i contenuti e i toni di una continua contesa che tanto incide negativamente sulla vita delle istituzioni repubblicane, soprattutto al livello nazionale, impedendo loro più fecondi confronti, precludendo loro più soddisfacenti risultati.

Decisivo è dunque, in Italia, un salto di qualità della politica. Decisivo per la stabilità e continuità della vita istituzionale, e per la tenuta del sistema Italia in un contesto europeo percorso da così forti scosse e tensioni. Ho naturalmente sempre presenti le distinzioni essenziali. La sorte di ogni governo è decisa dal Parlamento, che accorda e revoca la fiducia. La durata delle legislature parlamentari è fissata in Costituzione, in termini temporali analoghi a quelli fissati negli altri paesi democratici : termini non fissati casualmente, ma corrispondenti al tempo necessario per l'attuazione di un programma politico di adeguato respiro.

A esigenze di governabilità e di stabilità dell'Esecutivo ha mirato la riforma elettorale del 1993, cui non sono peraltro seguite coerenti riforme istituzionali. Ma l'esperienza compiuta ci dice che anche in Parlamenti eletti con leggi maggioritarie, è pur sempre la politica - è l'evolversi dei rapporti e dei conflitti politici, ed è la capacità di padroneggiarli - che determina la stabilità della coalizione di governo premiata dagli elettori.

Resta invece, nel nostro ordinamento, prerogativa del Capo dello Stato - poco importa che la si possa beceramente sminuire a parole - sancire l'impossibilità di completare una legislatura parlamentare e quindi sciogliere le Camere. Quella degli scioglimenti anticipati è stata un'improvvida prassi tutta italiana, da cui speravamo di esserci liberati e al cui ripetersi sono tenuto a resistere nell'interesse generale. Specie in periodi così gravidi di incognite. Non a caso io ritenni, a metà agosto - mentre, a seguito di una clamorosa rottura politica nel maggior partito di governo, già precipitosamente si evocavano elezioni anticipate - di dover chiamare tutte le forze politiche a riflettere sulle conseguenze per il paese dell'andare "verso un vuoto politico e verso un durissimo scontro elettorale".

La conquista, a partire dal 1994, di un'effettiva democrazia dell'alternanza, non deve essere messa in forse. Si guardi tuttavia a come in Europa paesi con sistemi politici da lungo tempo fondati su schemi bipolari o bipartitici consolidatisi nei decenni stiano conoscendo mutamenti di scenario e sperimentando le soluzioni che risultano possibili e opportune. E si torni a riflettere su esigenze di rinnovamento costituzionale, che sembrava non fosse difficile soddisfare in questa legislatura almeno con misure di riforma già apparentemente condivise.

Continuerò dal canto mio a sollecitare la continuità della vita istituzionale e dunque di una legislatura al cui termine mancano più di due anni : sempre che, beninteso, vi sia la prospettiva di un'efficace azione di governo e di un produttivo svolgimento dell'attività delle Camere. Opererò in ogni circostanza, secondo regole e prassi costituzionali cui intendo doverosamente attenermi, nei limiti del mio ruolo e delle obbiettive possibilità, tenendo ben conto della volontà espressa dal corpo elettorale nel 2008.

Opererò soprattutto perché ora e nel futuro - indipendentemente dalla definizione delle soluzioni di governo - si realizzi quello "spirito di condivisione" di cui ho detto chiarendo il senso di quell'espressione, il valore di quell'istanza. E' qui il "salto di qualità della politica" che in larga misura il paese si attende. Che esso si attende perché è in giuoco la moralità e dignità della politica. Che esso si attende perché c'è stanchezza verso la chiusura in sé stesso del mondo politico, verso la quotidiana gara delle opposte faziosità, verso il muro dell'incomunicabilità tra maggioranza e opposizione. C'è da colmare un distacco ormai allarmante tra la politica, le istituzioni e le forze sociali e culturali, in un paese che pure continua a dare tante prove di senso di responsabilità, di dinamismo, di coesione e di solidarietà.

Tante prove. Penso all'impegno delle imprese - in gran numero piccole e medie - che si lanciano ad esplorare lontani mercati in impetuoso sviluppo e a competere con successo. Penso al senso di responsabilità con cui tanti lavoratori stanno affrontando le dure prove della perdita dell'occupazione o della riduzione del salario in cassa integrazione. Penso allo sforzo delle rappresentanze sociali per concertare proposte sui principali temi economico-sociali : sforzo che mi auguro prosegua e trovi concrete risposte. Penso ai peculiari, qualificanti apporti dell'associazionismo, della cooperazione, del volontariato. Ma penso anche ai risultati della tenace quotidiana azione di quanti operano con scrupolo al servizio di fondamentali strutture dello Stato.

E a questo proposito mi limito a citare i preziosi esempi di dedizione delle nostre Forze Armate, e in prima linea dei militari che nelle missioni all'estero fanno in tutti i sensi onore all'Italia. E cito egualmente i rilevanti risultati conseguiti, con grande tenacia, perizia e passione dalla magistratura e dalle forze di polizia contro la criminalità organizzata, secondo misure e linee d'intervento che hanno ottenuto in Parlamento consensi ben oltre i confini della maggioranza di governo.

Si tratta di un insieme di realtà vive e di attive presenze, che hanno bisogno del riferimento e del sostegno del quadro politico-istituzionale nel suo insieme. Si possono da ciò ricavare sostanziali motivi di fiducia nelle forze e risorse del paese e insieme forti stimoli critici.

Tutte le considerazioni che sono venuto svolgendo si collegano a quel senso dell'unità nazionale che è per noi tutti naturale condividere e che uscirà - ne sono convinto - arricchito e rilanciato dalle celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Le celebrazioni - cui ha voluto significativamente concorrere la Chiesa italiana attraverso il suo "Progetto culturale" - hanno nel corso di quest'anno guadagnato via via in profondità e diffusione. Lo si deve soprattutto all'impegno delle istituzioni culturali, a cominciare dalle maggiori, della scuola, delle forze intellettuali e anche dell'editoria e dei mezzi di informazione. Lo si deve al moltiplicarsi di iniziative locali, promosse o sostenute dalle istituzioni rappresentative.

Insufficiente è rimasto l'impegno politico nazionale, che avrà modo di dispiegarsi attorno alle date emblematiche del prossimo anno e di correlarsi anche all'interesse che per il nostro anniversario si manifesta fuori d'Italia, in numerosi paesi amici memori della nostra storia.
Potremo in conclusione meglio misurare l'attaccamento a quel che storicamente ci unisce come Nazione e che fa del nostro Stato unitario un presidio irrinunciabile nell'era globale in cui siamo chiamati a misurarci.

E' un attaccamento più profondo di quanto talvolta sommariamente ci dicono gli schemi correnti : mi ha colpito, recandomi poco più di un mese fa nei Comuni veneti duramente colpiti dalle alluvioni, e incontrando diecine di Sindaci, sentire come da italiani lì si facesse appello all'Italia, anche denunciando incomprensioni ed esprimendo posizioni critiche, e lo si facesse nel momento stesso in cui ci si metteva comunque esemplarmente all'opera per superare l'emergenza.

Questo accade anche perché lo Stato nazionale è cambiato e sta cambiando, superando ogni residuo marchio storico di centralizzazione, evolvendo in senso ulteriormente autonomistico e federalistico, secondo un percorso finora ampiamente condiviso.
La più seria e preoccupante incompiutezza - non mi stanco di ripeterlo - del nostro processo unitario resta invece il divario tra Nord e Sud : un divario che si deve evitare assuma gli aspetti di una frattura e che quindi esige un approccio nuovo e risoluto come quello richiesto da altre debolezze strutturali destinate a diventare - ne ho parlato in precedenza - rischi fatali per il nostro paese, da disinnescare nei prossimi anni.

E infine : l'impegno per il centocinquantenario, il discorso sulla nostra storia, sulle radici e le ragioni della nostra unità, deve raggiungere i giovani e incrociare, dandovi valide risposte ideali, il loro crescente malessere. Guai a sottovalutarlo : è malessere concreto, per la disoccupazione e per la precarietà e scarsa qualità dell'occupazione, per l'inadeguata formazione, e più in generale per l'incertezza del futuro, per il vacillare delle speranze e degli slanci che dovrebbero accompagnare l'ingresso nell'età adulta.

Così dobbiamo leggere anche le recenti contestazioni, non riferibili solo a un singolo provvedimento di legge. C'è, al fondo, anche la reazione a una tendenza a trascurare, prestandovi scarsa attenzione e mezzi palesemente insufficienti, la risorsa cultura, in tutte le sue espressioni, a cominciare dalla ricerca e dall'alta formazione.

E' dunque necessario e urgente cercare, e aprire, nuovi canali di comunicazione e di scambio con le nuove generazioni. Invitando al tempo stesso i giovani che esercitano il diritto di riunirsi, manifestare, protestare, a stare in guardia, a tenere fermamente le distanze da gruppi portatori di una intollerabile illegalità e violenza distruttiva, foriera di sconfitta per le forze giovanili e di drammatico danno per la democrazia.

Ho concluso. A voi che reggete la trama delle istituzioni repubblicane, un grazie per l'ascolto, e il mio quinto augurio dal Quirinale per Natale e per il nuovo anno. Ed è per tutti noi l'augurio che qualche seme della riflessione di oggi possa essere raccolto nei fatti.

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