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lunedì 28 novembre 2011

TORNIM A BAITA, REPORT VIDEO

Proponiamo i contributi filmati della presentazione del libro "Tornim a baita" di Giovanni Battista Stucchi.

Nella prima parte l'intervento dello storico Giorgio Rochat.
A seguire Pierfranco Bertazzini e Rosella Stucchi, presidente dell'Anpi di Monza e figlia di G.B. Stucchi.











venerdì 25 novembre 2011

CASA POUND, REVOCATA LA CONCESSIONE DI PALAZZO ISIMBARDI

Dopo le proteste la Provincia di Milano non concederà a Casa Pound la prestigiosa Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi per una manifestazione. Ad annunciarlo è "con grande soddisfazione" Roberto Cenati, presidente ANPI Milano e Provincia.

La manifestazione del gruppo neofascista era prevista per sabato 3 dicembre.

Ma le pressioni esercitate con continuità e in modo unitario da parte dell'ANPI, delle Associazioni Resistenziali, della Comunita Ebraica Milanese, del sindacato, dei gruppi consiliari di centro-sinistra della Provincia di Milano hanno portato alla revoca.

"Continueremo - sottolinea Cenati - a batterci perchè la Provincia di Milano, che proprio recentemente ha ospitato a Palazzo Isimbardi una mostra che, nella parte riguardante la seconda guerra mondiale ha costituito una grave offesa a coloro che hanno sacrificato la vità per restituire la libertà e la democrazia al nostro Paese, torni a svolgere il suo fondamentale ruolo di Istituzione della Repubblica nata dalla Resistenza".

giovedì 24 novembre 2011

SMURAGLIA SCRIVE A MONTI

Lettera al presidente del Consiglio Mario Monti da parte del presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia.

Essa esprime non solo l’augurio non rituale ad un Governo di impegno e di svolta ma anche rappresenta la posizione dell’ANPI di fronte ad una situazione politica nuova, carica di attese e di speranze.

Questo il testo.

“Signor Presidente,
ho aspettato che cessassero le consuete ritualità, dopo la definitiva approvazione del Suo Governo, da parte del Parlamento, per esprimerLe - al di fuori di ogni convenzionalità - i sentimenti e le speranze sincere dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e miei personali.
Anzitutto, desideriamo rallegrarci sinceramente con Lei per il Suo impegno e la Sua disponibilità, in un momento così grave e difficile; e desideriamo esprimere il nostro compiacimento per l'autorevolezza, la serietà e lo stile con cui Lei ed i Suoi Colleghi di Governo avete affrontato un compito così oneroso, anche se, nello stesso tempo, così esaltante, almeno per chi crede nel nostro Paese e nei valori fondamentali che lo reggono.

Non entrerò nel merito di ciò che Lei farà e potrà fare col Suo Governo. Per noi è fondamentale che Lei possa riuscire a risollevare il nostro Paese dal baratro in cui era caduto, restituendo fiducia e speranza - che sembravano smarrite - a tante cittadine e cittadini e soprattutto ai giovani. Questo sarebbe già molto, soprattutto se si realizzasse in concreto quel richiamo al rigore (in cui noi leggiamo non solo e non tanto sacrifici, quanto serietà, dignità e correttezza) ed alla equità (in cui ravvisiamo un forte connotato di socialità e solidarietà) a cui Lei si è più volte riferito fin dal primo momento del conferimento dell'incarico da parte del Presidente della Repubblica.

Ma debbo dirLe con franchezza che la nostra Associazione si aspetta ancora di più dal Suo Governo: il Paese ha bisogno non solo di risolvere
una grave crisi economica, ma anche di uscire da una profonda crisi etica e di valori. In questi anni, il richiamo alla Costituzione ed ai suoi principi è risultato troppo spesso sbiadito; altrettanto spesso il ricordo delle origini della nostra democrazia è stato negletto e deformato, al punto che talora è sembrato che quella carica ideale che animò i Combattenti per la libertà e costituì lo spirito di fondo di tutta l'Assemblea costituente, fosse affievolita e perfino esposta a gravi pericoli. Il risultato peggiore di questa situazione è stata l'affermazione di una serie di cosiddetti valori, in realtà inesistenti, e di una fortissima carica di antipolitica.

Potrà sembrare paradossale che proprio da un Governo di "tecnici" ci si possa aspettare non solo la riaffermazione dei valori fondanti del nostro sistema costituzionale, ma addirittura il rilancio della "buona politica", con conseguente avvio al progressivo ricupero della fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e di un rinnovato sistema politico. Ma in realtà, il paradosso non esiste perché questa attesa trae fondamento proprio dai connotati complessivi del Suo Governo e della Sua stessa persona, che garantiscono la concreta possibilità di quel "riscatto" del nostro Paese, che non può essere solo economico, ma deve essere anche morale ed ideale.

Ecco perché, lasciando a coloro a cui compete ogni valutazione sulle misure che verranno adottate, ho voluto esprimerLe, signor Presidente, questi sentimenti, queste speranze e queste attese, condivise da tutta l'A.N.P.I., che da sempre si impegna, con tutte le sue forze, per il consolidamento e lo sviluppo della democrazia e per l'intransigente difesa dei valori costituzionali di fondo, a partire, ovviamente, dal lavoro, dalla legalità e dalla dignità della persona.

Come vede, Signor Presidente, non c'è nulla di convenzionale e di formale nell'augurio sincero, che Le rivolgo a nome di tutta l'Associazione da me presieduta, di riuscire a realizzare le finalità e gli intenti che hanno ispirato la Sua discesa in campo, in stretta corrispondenza con le reiterate indicazioni e con gli accorati ammonimenti rivolti a tutto il Paese dal Presidente della Repubblica, a cui va - ancora una volta - la gratitudine e la fiducia di tutte le italiane e di tutti gli italiani.

Con viva cordialità.”

CENTO E PIU' PIAZZE

Domenica scorsa si è svolta, in oltre cento piazze d’Italia, la nostra “giornata nazionale del tesseramento”. Avevamo detto che il tesseramento non è un problema burocratico-amministrativo o semplicemente economico, ma un atto di grande rilevanza politica. E così è stato. I nostri Comitati provinciali, o almeno la grande maggioranza di essi, hanno scatenato la fantasia e sperimentato mille modi diversi per fare di questa giornata un momento di incontro e di riflessione politica, nella certezza che ciò si sarebbe concretato anche nella richiesta di nuove iscrizioni.
Stiamo raccogliendo i dati e li pubblicheremo fra breve. Fin d’ora, possiamo dichiararci pienamente soddisfatti, perché abbiamo raccolto molti cittadini e cittadine attorno ai nostri simboli e alle nostre pubblicazioni, talvolta persino davanti a cori quasi professionali. Nel nord, tante persone sono passate e si sono fermate anche a lungo davanti ai nostri gazebo, chiedendo, informandosi, discutendo, nonostante la giornata freddissima. In una sola città sono state raccolte oltre cento nuove domande di iscrizione. E così è avvenuto in tante altre, con nostra vivissima e giustificata soddisfazione.
Ancora una volta, possiamo dire che in qualunque momento, in qualunque occasione, l’ANPI “c’è”. E tanti cittadini, giovani e meno giovani, lo capiscono e manifestano fiducia e speranza.
Se siamo riusciti in ciò che ci eravamo prefissi (una grande “giornata” popolare) il merito va ai nostri Comitati Provinciali, alle nostre Sezioni, ai tanti militanti che si sono impegnati a costruire i gazebo, a presidiarli, a ricevere gente per illustrare le nostre finalità e il nostro messaggio antifascista e democratico. A tutti va rivolto il sincero ringraziamento e apprezzamento da parte mia, della Segreteria e del Comitato Nazionale; ringraziamento tanto più sentito e affettuoso quanto più si pensa che tutto questo è frutto di un volontariato, lontanissimo da ogni scopo personale, fatto di fiducia nella democrazia, nella Costituzione, nei valori fondamentali che ci guidano, dalla Resistenza alla pratica quotidiana di antifascismo. Un lavoro che non si aspetta ricompense né mira ad ottenere vantaggi, ma si propone solo di agire per potenziare l’ANPI, nell’interesse del Paese.
Grazie, dunque, cari compagni e amici; e avanti ancora, sempre più avanti per un futuro migliore, con un’ANPI sempre più solida e forte.

Il Presidente Nazionale dell’ANPI
Carlo Smuraglia

domenica 20 novembre 2011

ANPI, WORK IN PROGRESS A VERANO BRIANZA


In occasione della Giornata nazionale del tesseramento indetta dall'Anpi, a Verano Brianza si sono gettate le basi per la costituzione di una sezione della nostra associazione. Molti i cittadini che si sono avvicinati al gazebo per iscriversi o semplicemente per chiedere informazioni sull'Anpi. Work in progress... Grazie a tutti gli intervenuti.










NO A FORZA NUOVA

Como, 18 novembre 2011

La Sezione ANPI di Como, unitamente al Comitato Provinciale, ha appreso con viva preoccupazione l'apertura in Como, a partire dal 19 novembre, di una sede di Forza Nuova, movimento neofascista che ha dimostrato, in questi ultimi anni, la volontà di una restaurazione autoritaria contraria ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Forza Nuova intende rinverdire le tradizioni complottistiche e ultra nazionaliste che già furono caratteristiche di Ordine Nuovo le cui azioni irresponsabili e delittuose hanno caratterizzato la stagione dello stragismo nero e della politica della tensione.
Como città democratica, custode del Monumento alla Resistenza Europea, non può tollerare un simile affronto, anche se l'Amministrazione Comunale sembra più impegnata a combattere la "movida" che a difendere i coposaldi della democrazia. Lo dimostra la colpevole trascuratezza e l'indifferenza per i monumenti e le ricorrenze che ricordano la lotta per la libertà.
L'ANPI ha fatto presente al Prefetto, che è il responsabile dell'ordine democratico, le sue preoccupazioni e lo ha invitato ad attivare misure preventive di vigilanza in una città per nulla interessata all'affermazione dei diritti di libertà anche di quella religiosa per gli Islamici come i fatti dimostrano.
L'ANPI invita i cittadini a ricordare che il sacrificio di tante vite umane durante la resistenza, non può patire l'oblio, anche se incombono preoccupazioni economiche.
La libertà è premessa di ogni desiderato progresso

Comitato Provinciale Anpi di Como

Sezione Anpi di Como

PROVINCIA DI MILANO REVISIONISTA

L'ANPI di Milano esprime la propria viva e ferma indignazione per i contenuti della mostra allestita dalla Provincia di Milano a Palazzo Isimbardi, nella parte riguardante la Seconda Guerra Mondiale. Il testo costituisce una grave offesa alla Resistenza italiana e a coloro che hanno sacrificato la propria vita per restituire la libertà e la democrazia al nostro Paese.

"L'entrata in guerra dell'Italia - si spiega in un comunicato - non fu "imposta dalle contingenze politiche e accettata in nome del realismo politico", come si legge in uno dei pannelli. La verità è che, fin dalla sua nascita, il fascismo si caratterizza per il suo spirito guerrafondaio e antidemocratico, per l'esaltazione della disuguaglianza tra gli uomini e per l'affermazione della grandezza dell'Italia nel mondo. La partecipazione dell'Italia alla Seconda Guerra Mondiale non è, purtroppo, che l' inevitabile conseguenza dell'ideologia nazionalistica del fascismo".

"Nella mostra, "all'alleato tedesco" è riservata soltanto una riga nella quale si dice che fu "inadeguato"e "criminali le sue politiche". Si ignora completamente la tragedia vissuta in quegli anni dall'Europa, rappresentata dal trionfo dei regimi nazi-fascisti. La Seconda Guerra Mondiale non fu solo un conflitto sanguinoso. Fu anche un vero e proprio scontro planetario tra le forze della coalizione antifascista che si richiamavano agli ideali di democrazia e libertà e quelle, nazifasciste e hitleriane che volevano imporre in Europa e nel mondo un regime antidemocratico, oppressivo, fondato sul razzismo, sull'antisemitismo e sul terrore. Se avessero vinto le forze che si richiamavano alle ideologie nazifasciste, l'Europa si sarebbe trasformata in un immenso campo di concentramento".

"Nei paesi europei occupati dai tedeschi - si spiega ancora - si sviluppa un forte moto resistenziale, determinante, insieme all'intervento delle potenze alleate, per la liberazione del nostro continente dal nazifascismo".

Con l'8 settembre 1943 inizia in Italia la Resistenza armata contro tedeschi e repubblichini. Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato autobiograficamente quel momento del "collasso dello Stato", quando trovò, insieme a tanti altri, nella sua coscienza l'orientamento, perché in essa "vibrava profondo il senso della Patria" assai diverso dalla concezione retorica e tronfia del fascismo.

"Riteniamo inaccettabile la definizione che si dà della Resistenza, come "guerra civile terribile e orrenda che si conclude in un bagno di sangue". La Resistenza fu guerra patriottica di liberazione dall'oppressione nazifascista, nella quale gli italiani riscattarono la dignità del Paese e contrapposizione di culture: da una parte la cultura della forza, della violenza, della subordinazione dell?individuo allo stato, il nazionalismo, il razzismo, l'antisemitismo, dall'altra la cultura della pace, della democrazia, della tolleranza, della solidarietà e la lotta per una società libera e giusta. La Resistenza italiana ha fornito un determinante aiuto militare agli eserciti alleati e tuttavia, ciò che più la caratterizza, è la volontà di tanti, uomini e donne, di reagire, a costo di grandissimi sacrifici, alla sopraffazione e di costruire un progetto di libertà per il futuro del proprio paese".

Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti o mutilati, settecentomila soldati italiani internati nei lager tedeschi dopo l'8 settembre 1943, 40.000 cittadini italiani, tra ebrei, oppositori politici, operai in sciopero, deportati nei lager tedeschi dai quali ben pochi ritornarono, gli operai e i contadini, per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica: questa fu la Resistenza italiana.

"Da essa - si sottolinea - è nata la Costituzione repubblicana che Piero Calamandrei ha definito come "Resistenza tradotta in formule giuridiche" ed è la Resistenza che ha consentito, il 25 Aprile del 1945, la riunificazione dell'Italia per 20 mesi spaccata in due, nella libertà e nell'indipendenza. Se ciò non fosse accaduto la nostra nazione sarebbe scomparsa dalla scena della storia, su cui si era finalmente affacciata come stato moderno nel 1861, con il compimento del moto risorgimentale.

domenica 13 novembre 2011

SALVO IL MUSEO DI S.ANNA DI STAZZEMA

Il Museo di Sant'Anna resterà aperto, non chiuderà grazie all'intervento della Regione Toscana.

La Regione Toscana adotterà un provvedimento, probabilmente lunedì prossimo, 14 novembre, per stanziare le risorse necessarie a scongiurare la chiusura del Museo di Sant'Anna di Stazzema. Lo ha detto il presidente della Regione, Enrico Rossi, in visita a S.Anna di Stazzema. Insieme a lui, il sindaco di Stazzema, Michele Silicani, il vicepresidente della Provincia di Lucca, Maura Cavallaro,il presidente dell'associazione Martiri di Sant'Anna, Enrico Pieri, l'on. Carlo Carli, primo firmatario della legge istitutiva del Parco.

Si colmerà così la lacuna derivante dai mancati finanziamenti dello stato per due annualità, pari a 100 mila euro, previsti dalla legge 381/2000 con cui venne istituito il Parco Nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema. La Regione Toscana ha sempre mantenuto i suoi impegni erogando ogni anno 130 mila euro a sostegno del Parco della Pace e si propone di rimediare alla situazione con un intervento aggiuntivo. "E' un dovere istituzionale riparare a questa offesa verso la memoria, le vittime e i superstiti"- ha detto il presidente Enrico Rossi - "e lo faremo con un contributo che consentirà al Museo di restare aperto. Sono qui a S.Anna assumendomi la responsabilità di chiedere scusa a nome della Repubblica italiana, certo di interpretare il sentimento della stragrande maggioranza dei cittadini".

"Il nostro vuole essere un atto riparatore: non possiamo smarrire i riferimenti essenziali da cui è nata la nostra Repubblica e i luoghi che simboleggiano questi valori, come Sant'Anna di Stazzema". Rossi ha ribadito l'importanza per la Regione del Parco Nazionale della Pace. "Insieme a Marzabotto, Boves e le altre località di stragi, è uno dei luoghi fondanti per le ragioni dello stare insieme come cittadini. Tenere aperto il museo è un atto di rispetto per la memoria e di riscatto per il nostro Paese: non possiamo permetterci di dimenticare, non c'è futuro per un paese che smarrisce la memoria. I valori sanciti nella Costituzione nascono dal ripudio della guerra e dai valori dell'antifascismo".

Il Comune ha aperto in queste ore un conto corrente a sostegno del Museo e del Parco (al quale lo stesso presidente Rossi parteciperà a titolo personale), gli estremi sono: IT06L0872670250000000730185- Banca Versilia Lunigiana Garfagnana -Agenzia Pontestazzemese - causale "Salviamo il Parco Nazionale della Pace di Sant'Anna di Stazzema" .

Commosso Enrico Pieri, superstite e presidente dell'associazione Martiri di Sant'Anna. "Le parole del presidente mi hanno emozionato: non avevo dubbi che la Regione Toscana intervenisse con prontezza. E' necessario anche un impegno concreto da parte dell'Unione Europea verso S.Anna e tutti i luoghi di strage: è da qui che nasce la Costituzione Italiana ed è da questi valori che deve nascere la Costituzione Europea" .

Il sindaco di Stazzema, Michele Silicani, ha rimarcato l'importanza dell'annuncio di Rossi. "Sant'Anna è stata definita la capitale morale della Toscana. E' fondamentale portare avanti i valori della pace, come stiamo facendo da anni grazie al Museo e lavorare con i giovani: in tutto il mondo è in atto una fase epocale di cambiamenti e rivoluzione e ora più che mai si avverte il bisogno di formazione verso i valori della pace. Con l'Unione Europea i contatti sono stretti: a fine novembre saremo ricevuti dall'eurodeputato Leonardo Domenici e da Martin Schultz, futuro presidente del Parlamento Europeo. Sono questi i progetti che intendiamo portare avanti e il contributo della Regione Toscana è determinante. Sono orgoglioso di avere Enrico Rossi come presidente".

Per la Provincia di Lucca era presente il vicepresidente Maura Cavallaro,che ha confermato "la vicinanza della Provincia a Sant'Anna di Stazzema e alle iniziative che promuovono i valori di pace, la memoria e la solidarietà". Carlo Carli, primo firmatario della legge che ha sancito il Parco si è detto "indignato e addolorato" per la mancata erogazione dei fondi da parte del Governo, che "sono previsti per legge. Il presidente Rossi, al contrario, ha ribadito che i valori di pace devono essere al centro della nostra vita comunitaria. Non dubitavo della prontezza di Rossi e della Regione che si è impegnato a mantenere aperto il Museo".

martedì 8 novembre 2011

MONZA, MARIANI SI RICONFERMA REVISIONISTA

Ancora una volta Mariani, sindaco di Monza, si è rifiutato di rendere omaggio, in occasione della celebrazione del 4 novembre, ai caduti Partigiani.
Gran parte della cittadinanza presente alla celebrazione ha seguito l' Anpi monzese presso il monumento ai caduti della Resistenza mentre il sindaco usciva dal cimitero cittadino.

Proponiamo l'intervento della presidente della sezione Anpi di Monza, Rosella Stucchi.





FASCISTI A MILANO, REPORT VIDEO DELL'INIZIATIVA

Grande partecipazione, venerdì 4 novembre a Monza, all'iniziativa di presentazione del libro di Saverio Ferrari "Fascisti a Milano", organizzata dall'Anpi e dal Comitato Unitario Antifascista locali.

Proponiamo i contributi video della serata: introduzione di Marco Fraceti, relazione di Milena Bracesco relativamente alla "questione Lealtà Azione" e la preziosa analisi di Saverio Ferrari.















lunedì 7 novembre 2011

CIAO NORI !

Onorina Brambilla Pesce

Milano 1923 - 2011

«Avevamo tutti un nome di battaglia, io mi ero scelto Sandra; ho fatto una ricerca: mentre gli uomini partigiani si sceglievano nomi fantasiosi, Tarzan, Saetta, Lupo, la maggior parte delle ragazze avevano nomi normali...Elsa... ecco, il massimo era Katia!»[1]
Di famiglia antifascista e comunista, abita con i genitori e la sorella Wanda in una casa di ringhiera ai Tre Furcei, quartiere operaio di Lambrate a Milano. Il padre Romeo, “specializzato” alla Bianchi, fabbrica di biciclette, rifiuta di prendere la tessera del partito fascista; ne conseguono anni di disoccupazione e miseria.
Con la guerra di aggressione all'Abissinia, nel 1935, viene però a mancare la mano d'opera ed è assunto alla Breda. La madre Maria (il suo nome di battaglia negli anni della Resistenza sarà Tatiana) insegna alle figlie Onorina e alla più piccola Wanda a dubitare della propaganda del regime; è operaia, prima alla Agretta, nota per le bibite, e poi alla Safar che produce radio: «Aveva una voce così bella che veniva chiamata a cantare per testare certi microfoni». Desidera per la figlia l'istruzione che la allontani dal duro lavoro della fabbrica.
Onorina frequenta per tre anni una scuola professionale; le piacerebbe continuare a studiare ma i genitori possono solo iscriverla a un corso trimestrale di stenodattilografia dopo il quale, a 14 anni, deve cercare un lavoro.
Viene assunta dalla Paronitti come impiegata: «Non arrivavo neanche alla scrivania e i colleghi mi chiamavano Topolino, dovevano mettermi dei cuscini sulla sedia per alzarmi».
Dal 10 giugno 1940 l'Italia è in guerra.
Onorina rimane in quella ditta 4 anni, ma viene licenziata nel 1941 a causa di un diverbio con il padrone. Trova presto un nuovo impiego in una ditta che produce binari, è incaricata di compilare un inventario, frequenta i capannoni annotando tutto, conosce gli operai, impara a individuare chi è antifascista e chi no. Comincia a studiare l'inglese al Circolo Filologico di Via Clerici: in quella biblioteca circolano ancora, incredibilmente, molti libri vietati dal regime, preziosi per la sua formazione.
La fame si fa sempre più sentire, la gente non ne può più, la guerra toglie il velo a tutte le menzogne della propaganda di regime. La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 coglie la gente di sorpresa, festa e disorientamento sono tutt’uno, i carri armati vengono usati per disperdere la folla. Nell'Agosto 1943 Milano viene bombardata.
La città è in fiamme, colpiti il Duomo, Palazzo Reale, il Castello Sforzesco, la Scala, Sant'Ambrogio, la Pinacoteca di Brera; a Santa Maria delle Grazie il Cenacolo di Leonardo è salvo per puro caso.
Nel rifugio affollato, una sera Onorina non riesce a trattenere la gran rabbia e, salita su un tavolo, senza curarsi dei molti fascisti presenti, grida «È ora di finirla con questa guerra!» È contenta, ha tenuto il suo primo comizio antifascista.
«Secondo me sono state le donne a dare inizio alla Resistenza... la loro partecipazione fu dovuta a motivazioni personali; a differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento nell'esercito di Salò, nessun obbligo le costringeva ad una scelta di parte; fu anche l'occasione per affermare quei diritti che non avevamo mai avuto, mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all'uomo...»
Dopo l'Armistizio dell'8 Settembre 1943 (in effetti una resa senza condizioni), i tedeschi occupano Milano, è finita una guerra ma ne sta iniziando un'altra. I soldati dell'esercito Italiano abbandonano le divise, molti diventano partigiani; i Gruppi di Difesa della Donna (che arrivano a mobilitare, fino all’aprile ’45, almeno 24.ooo donne) si occupano di procurare loro denaro, cibo, vestiti; il compito di Onorina è distribuire la stampa clandestina. Desidera raggiungere in montagna una Brigata Garibaldi, ma la sua amica Vera (nome di battaglia di Francesca Ciceri, comunista) le presenta Visone (Giovanni Pesce) che sarà il suo Comandante e futuro marito. Lui la convince a combattere nella propria città, e Onorina a marzo 1944 lascia il lavoro. “Sandra” diventa Ufficiale di collegamento del III° ー Gap “Egisto Rubini”, equivalente al grado di sottotenente dell'Esercito Italiano, decisamente più che una staffetta. Con la sua bicicletta Bianchi color azzurro cielo[2] trasporta armi, munizioni ed esplosivo, passa spesso, con il cuore in gola, in mezzo ai rastrellamenti nazifascisti. Sono le staffette a portare le armi e a prenderle in consegna dopo un'azione per evitare che i gappisti vengano sorpresi armati e fucilati sul posto.
«C'erano le rappresaglie ma, cosa avremmo dovuto fare? Smettere la lotta? In ogni caso i nazifascisti non avrebbero cessato di fare quello che facevano. Non ho mai provato pena per chi colpivamo. La guerra non l'avevamo voluta noi. Loro ogni giorno fucilavano, deportavano, torturavano. Si dovevano vincere due cose, la pietà e la paura.»
Il 24 giugno 1944 nella “battaglia dei binari” alla stazione di Greco, un bersaglio di straordinaria importanza, Sandra è il collegamento tra i ferrovieri e i gappisti e con la compagna Narva porta i 14 ordigni che, piazzati nei forni di combustione delle locomotive scoppiano simultaneamente; l'azione dei Gap viene citata da Radio Londra.
Il 12 Settembre 1944, a 21 anni, tradita da un partigiano passato al nemico (“Arconati”, Giovanni Jannelli) viene catturata dalle SS nei pressi del Cinema Argentina, nel cuore di Milano. Inizia la prigionia, la sofferenza, il distacco dalla famiglia, la tortura e la violenza fisica subita dalle SS nella Casa del Balilla di Monza, trasformata in carcere.
In attesa dell'interrogatorio cerca di farsi coraggio. Ai gappisti arrestati il Comando chiede di resistere 24 o 48 ore per permettere ai compagni di mettersi in salvo. L'interrogatorio è terribile, vogliono che lei consegni Visone, ore e ore di percosse, torture. Non parla, nessuno dei suoi compagni è compromesso.
Rimane in isolamento totale nel carcere di Monza due mesi, giornate lunghe e vuote, non può comunicare con l'esterno o ricevere notizie. È trasferita a San Vittore per soli due giorni e, l'11 novembre 1944, caricata, con altri prigionieri, su un pullman senza conoscere la destinazione.
Viene imprigionata a Bolzano in un campo di transito. Ancora oggi non si spiega perché le 500 prigioniere politiche che lì si trovavano non furono mai deportate in Germania, diversamente dalle altre 2700 donne che dall’Italia raggiungeranno i campi di concentramento. Mantiene contatti epistolari con la madre, la rassicura sul suo stato fisico e psicologico, riesce persino a scherzare: «se non fosse perché abbiamo sempre fame sembrerebbe una villeggiatura...» Lavora dapprima alla sartoria del campo, in un ambiente stretto e soffocante ma poi riesce a farsi assegnare ai lavori esterni. I tedeschi, prima di fuggire, le rilasciano persino un documento che attesta la prigionia e grazie al quale riuscirà in seguito a dimostrare la sua deportazione.
Milano era stata liberata dei Partigiani e dall'insurrezione popolare il 25 aprile. Onorina decide di non attendere l'arrivo degli americani; con alcuni compagni, sotto la neve, si inerpica sul passo della Mendola, attraversa la Val di Non e il Tonale; si fermano la notte presso i contadini ai quali chiedono cibo e riparo, sono d'aiuto i posti di ristoro dei partigiani delle Fiamme Verdi. Finalmente un pullman fornito dai comuni della zona fino a Ponte di Legno, li porta da lì a Lovere; poi in treno fino a Milano, Stazione Centrale: era il 7 maggio 1945. Con un'assurda “normalità” arriva a Lambrate, a casa, con il tram n. 7. Dalla finestra, vicina a Wanda, guarda emozionata la manifestazione dei Partigiani, rivede Visone, corre in strada, si abbracciano. Nori (come la chiamerà il marito) e Giovanni Pesce, finalmente liberi, si sposano il 14 luglio 1945, non possiedono niente, solo gioia per la ritrovata libertà e speranza per una nuova vita.
Si trasferiscono per un breve periodo a Roma, dopo l'attentato del 1948 a Togliatti, Giovanni guida la Commissione di Vigilanza, a protezione dei maggiori dirigenti del Pci. Nori trova impiego nella segreteria di Pietro Secchia, commissario politico delle Divisioni Garibaldi.
Tornata a Milano lavora alla Federazione del Pci e nella Commissione Femminile della Camera del Lavoro. Successivamente entra a far parte del Comitato Centrale Fiom metalmeccanici, dirige i lavori sindacali, organizza convegni, incontri e scioperi in difesa del posto di lavoro.
Nel 1951 Giovanni Pesce lascia il partito e trova lavoro come rappresentante di caffè; riescono a comprare casa, nasce la figlia Tiziana, non ne avranno altri, «un po' per le ristrettezze economiche e un po' perché eravamo talmente impegnati a fare i rivoluzionari di professione da non avere il tempo utile per essere genitori. Una sera Tiziana ancora bambina mi disse a bruciapelo: io ti ho conosciuto a 8 anni, mamma!»
Nel tempo il commercio di Giovanni si sviluppa e Onorina, per seguirne la parte amministrativa, lascia la sua attività politico-sindacale ma continua ad essere, per 8 anni segretaria nella sezione Pci di Via Don Bosco. Il 27 gennaio 1962 le viene assegnata la Croce di guerra per la sua attività di partigiana.
Nel 1969 Nori e Giovanni aprono un locale di liquori e vini, il Bistrot in Via Zecca Vecchia, dura solo due anni ma è una parentesi felice. Lì si ritrovano scrittori, pittori, studenti, operai. La sera, chiuso il locale, vanno in sezione a fare attività per il Pci e per il Sindacato.
Nori Brambilla Pesce è stata Responsabile della Commissione femminile dell'ANPI, Presidente dell'Associazione ex perseguitati politici italiani antifascisti per la sede di Milano e Presidente onorario A.I.C.V.A.S., l'Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.
«Si vuole falsificare la Resistenza, lo chiamano revisionismo ma spesso è falsificazione della storia. Noi siamo stati impegnati per tutta la vita per difendere la libertà, oggi ho 87 anni, non ho rimorsi, ho un rimpianto ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane perché non amo il buio della notte...»

Onorina ci ha lasciato il 6 Novembre 2011.

Mercoledì 9 novembre 2011 dalle ore 11.00 camera ardente e dalle ore 15.00 cerimonia funebre. Camera del lavoro di Milano - Salone: Di Vittorio. Corso di Porta Vittoria 43.

“Eravamo giovani, ci sentivamo belle, allegre. E’ giusto che venga fuori anche questa nostra normalità. Non eravamo incoscienti, sapevamo di correre dei rischi. Ma volevamo un’Italia diversa, libera, e non c’era altra scelta oltre a quella di resistere e combattere”. Onorina Brambilla Pesce



giovedì 3 novembre 2011

IL REPORT VIDEO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE FEMMINILE DELL'ANPI


Domenica 30 ottobre 2011 si è riunito a Milano il Coordinamento nazionale femminile dell'Anpi cui hanno partecipato le componenti del Comitato nazionale,del Consiglio nazionale,le donne presidenti di Comitati provinciali e le componenti del gruppo di lavoro del precedente Coordinamento femminile.
E' intervenuto anche il presidente nazionale Carlo Smuraglia.

Il Congresso nazionale di Torino dello scorso marzo ha impegnato tutte le forze dell'Associazione a dare vita alla nuova stagione dell'Anpi, in un momento gravissimo della vita nazionale che richiede una profonda opera di ricostruzione etica, sociale e civile del paese, basata sui valori dell'antifascismo e della Costituzione. In tale contesto le donne possono giocare un ruolo importante, come ha dimostrato la loro entrata in campo il 13 febbraio scorso. Le donne dell'Anpi sono già parte attiva di questo "risveglio" e vogliono ulteriormente contribuire con idee ed esperienze concrete.
Dal 1981 esiste nell'Associazione un Coordinamento femminile nazionale che, ricostituito nel 2009 con la Conferenza Nazionale di organizzazione, ha svolto negli ultimi anni un significativo lavoro di elaborazione ed iniziativa politica, i cui contenuti sono stati recepiti nel documento conclusivo del Congresso nazionale.
E' necessario ora dare continuità e sviluppo a questa esperienza.

Nel corso della giornata ampio e proficuo è stato il dibattito che ha visto susseguirsi più di venti interventi, su circa trenta partecipanti.

Qui sotto trovate alcuni contributi video dell'intensa giornata di lavoro.

L'introduzione di Marisa Ombra, la relazione di Eletta Bertani, l'intervento di Carlo Smuraglia e le relative conclusioni.












FASCISTI A MILANO. INTERVISTA A SAVERIO FERRARI SU "IL FATTO QUOTIDIANO"



Il libro di Saverio Ferrari, curatore anche del sito osservatoriodemocratico, ricostruisce la storia di un mondo in cui nomi e gesta si ripetono nei decenni, anche se spesso con stanchi e macabri rituali.

È la storia milanese di quelli che Renato Sarti, a ragione, ha chiamato i “mai morti”. E che Saverio Ferrari, in Fascisti a Milano, da Ordine Nuovo a Cuore Nero, descrive come un mondo in cui nomi e gesta si ripetono nei decenni, anche se spesso con stanchi e macabri rituali. È un sottobosco che oggi si muove tra locali bene e palestre di boxe, tra lamate ai compagni e pistolettate ai camerati infedeli, tra spaccio e vendita di armi. L’innegabile capacità mimetica, proprio come si confà a un soldato politico, permette loro di riemergere in modo carsico dai rivoli putrescenti della storia. Come? Come sempre: infiltrandosi nella pieghe del potere (oggi Lega Nord o Pdl), dividendosi in piccole frazioni pronte ad agire come irrazionali squadracce, cooptando la malavita e scendendo a patti con le mafie. Oppure arruolando politicamente le curve degli stadi. Sono gli stessi, per intenderci, che ogni primo novembre sfilano al cimitero Maggiore (talvolta insieme al sindaco con la fascia tricolore a tracolla) per rendere omaggio, tra labari e bandiere con il gladio, agli aguzzini della Repubblica di Salò. Gli stessi che accoltellano un consigliere comunale di Rifondazione comunista intento ad attaccare manifesti, oppure mettono per due volte una bomba nella sede dell’Associazione Naga, colpevole di occuparsi dei diritti degli immigrati. Sono i “mai morti”, insomma. A Milano, non su Marte.

Saverio Ferrari che differenza c’è tra i fascisti di oggi e quelli degli anni Settanta?

La stagione degli anni Settanta è sepolta. Allora i neofascisti furono utilizzati per compiti che oggi non servono più. Non dimentichiamo che Ordine nuovo era stato allevato dai servizi segreti ai fini della guerra psicologica. La strategia della tensione, infatti, non fu la follia di un pazzo isolato, ma un progetto ben pianificato e cominciato al convegno dell’Hotel Parco dei principi a Roma nel 1965. Poi quelle stesse organizzazioni furono combattute dalla magistratura e sciolte dal ministero degli interni. Oggi invece notiamo come ci sia una maggiore vicinanza, diciamo ideologica, tra la destra di governo e quella fascista. Basti pensare al rifiuto della società multiculturale, alla difesa dell’Occidente, della cristianità e della famiglia. Ma anche il tentativo di modificare la costituzione, di rivedere la resistenza facendola passare per banditismo e di riscrivere la storia degli anni Settanta, coprendo le responsabilità della destra e colpevolizzando le sinistre. In un certo senso un denominatore comune con i fascisti del passato è il fatto che c’è sempre una cittadella da difendere.

Eppure il neofascismo continua a frazionarsi…

Be’, quello è un mondo in cui ognuno vuole fare il duce. Però si frazionano anche per divergenze culturali. Forza nuova, ad esempio, ha forti connotazioni cristiane, altri invece sono legati a riti pagani. C’è poi in loro una vocazione elitaria, quindi si comportano come gli squadristi degli anni Venti, cercando di ripeterne la storia in base all’assunto che pochi elementi possono sconfiggere grandi masse. Insomma, vecchi miti riproposti senza grande fantasia. Il 23 marzo scorso, addirittura, per il 91° anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, una decina di camerati ha tenuto una commemorazione in onore degli squadristi della prima ora. Alla cerimonia ha partecipato un vecchio “mutino” (della Legione Muti, famigerata a Milano per le torture inflitte agli antifascisti durante la Repubblica di Salò, NdR). Si dà il caso, infatti, che al cimitero monumentale di Milano esista ancora un sacrario dei martiri fascisti della “rivoluzione”, eretto durante il regime. Si tratta di 13 giovani che si erano macchiati di efferatezze: bombe, omicidi, spedizioni punitive, assalti a redazioni di giornali e camere del lavoro, botte a dirigenti politici nemici e a sindaci regolarmente eletti. Tutti morti in “incidenti sul lavoro”.

Il libro racconta anche la storia politica delle due curve milanesi. È quello il principale luogo di reclutamento del neofascismo milanese?

Le curve degli stadi in verità non sono un buon luogo di proselitismo. Servono per far passare alcuni messaggi, ma poi non tutti diventano fascisti. È uno spazio dove far vivere certi rituali, non un luogo di reclutamento. Anche perché a Milano le curve sono oramai preda delle organizzazioni criminali. C’è però un’ambizione a entrare in relazione con le nuove generazioni, perché arruolare giovani è sempre stato un problema per la destra. Ecco perché le discoteche, le palestre, gli stadi. Ma anche i centri sociali, come Casa Pound. Sembra che, non avendo strumenti loro, si mettano a copiare. E allora diventano anticapitalisti, anti globalizzazione, arruolano miti giovanili come Rino Gaetano e addirittura Che Guevara. Contestano perfino la Gelmini. È un giovanilismo fine a se stesso, certo, ma molto in sintonia con il fascismo degli anni Venti.

Un’altra questione che si evince dal suo libro è il rapporto che c’è oggi tra neofascismo e mafie.

Che poi non è una novità. Da sempre le ‘ndrine hanno avuto rapporti con i fascisti, come a Reggio Calabria nel 1970. E per il golpe borghese si mosse la mafia, che fece un summit in via General Govone a Milano. Oggi la Dia ha scoperto la contiguità tra neofascisti milanesi e organizzazioni mafiose. Non è un rapporto di tipo eversivo, ma legato ad affari, ricchezza e potere. E a rapporti personali. Per esempio a Domenico Magnetta (uomo di fiducia di Lino Guaglianone, tesoriere dei Nar condannato dalla Cassazione nel 1995) hanno trovato un arsenale. Progettavano un attentato a un magistrato con tanto di auto clonata. E forse non è un caso che Guaglianone (candidato per AN nel 2005, NdR) abbia preso voti a Buccinasco.

Un pentito sembra voler fornire nuove informazioni sulla strage di Brescia. L’impressione è che si cerchi di tenere in vita un processo per una strage i cui responsabili sono già stati processati.

In realtà ci sono due nuovi pentiti. Uno avrebbe sentito casualmente un imputato per la strage dire di aver mentito perché sotto ricatto. Ma non penso che questo possa avere ripercussioni sul processo d’appello. La Cassazione ha già condannato come esecutore Ermanno Buzzi, che poi fu ucciso in carcere da Tuti e Concutelli. Altri invece sono stati addirittura già processati e assolti. La fonte Tritone, cioè Maurizio Tramonte, che disse cose molto importanti a ridosso della strage, poi ritrattò. Un prete affermò di aver visto lo stragista, ma non venne creduto. Tutto ha sempre concorso a intorpidire le acque e a fornire verità. Ciò nonostante in questi ultimi 15 anni gli elementi per esprimere un giudizio storico ci sono tutti. Alla sbarra sono state portate parecchie persone che però, ad eccezione di Rauti e Delfino, non erano che meri esecutori. Mancano le figure di raccordo con le istituzioni, e le coperture. Perché è chiaro che gli apparati di intelligence e i servizi segreti erano conoscenze delle trame eversive. Un po’ lasciavano fare, un po’ orientavano. È una storia che ancora deve essere scritta. Mancano i nomi dei piani alti. Questi di sicuro non sono stati ancora processati.

tratto dal Fatto quotidiano on line

Ricordiamo che Saverio Ferrari presenterà il suo libro a Monza venerdì 4 novembre !